sabato 26 febbraio 2011

Saper guardare verso l'alto


"Prima che nascessero i monti, e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei Dio" (salmo 90)

Dinanzi al maestoso spettacolo di queste cime possenti e di queste nevi immacolate, il pensiero sale sponrtaneamente a Colui che di queste meraviglie è il Creatore: "Da sempre e per sempre tu sei, Dio". In ogni tempo l'umanità ha considerato i monti come il luogo di un'esperienza privilegiata con Dio e della sua immensurabile grandezza. L'esistenza dell'uomo è precaria e mutevole, quella dei monti stabile e duratura: eloquente immagine dell'immutabile eternità di Dio.

Sui monti tace il frastuono caotico delle città e domina il silenzio degli spazi sconfinati: un silenzio, in cui all'uomo è dato di udire più distintamente l'eco interiore della voce di Dio.

Guardando le cime dei monti si ha l'impressione che la terra si proietti verso l'alto quasi a voler toccare il cielo: in tale slancio l'uomo sente in qualche modo interpretata la sua ansia di trascendenza e di infinito. Quale suggestione si prova nel guardare il mondo dall'alto, e nel contemplare questo magnifico panorama da una prospettiva d'insieme! 

L'occhio non si sazia di ammirare nè il cuore di ascendere ancora; riecheggiano nell'animo le parole della liturgia: "Sursum corda", che invitano a salire sempre più in alto, verso le realtà che non passano e anche al di là del tempo, verso la vita futura.

"Sursum corda": e ciascuno è invitato a superare se stesso, a cercare "le cose di lassù", secondo l'espressione paolina "quae sursum sunt quaerite" (Col. 3,1), ad elevare lo sguardo al Cielo, dove è salito il Cristo "primogenito d'ogni creazione, giacché in Lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra" (Col. 1,16).

L'uomo contemporaneo, che sembra talora seguire il principio opposto, denunciato dallo stesso Apostolo del "sapere quae supra terram", cioè del rivolgersi unicamente alle cose della terra, in una visione materialistica della vita, deve di nuovo saper guardare verso l'alto, verso le vette della grazia e della gloria, per le quali è stato creato e a cui è chiamato dalla bontà e grandezza di Dio.

"Agnosce, christiane, dignitatem tuam": oltrepassa il creato, oltrepassa anche te stesso, per trovare l'orma del Dio vivente, impressa non soltanto in queste maestose bellezze naturali, ma soprattutto nel tuo spirito immortale! Cerca, come i tuoi padri, "le cose di lassù, non quelle della terra".

Giovanni Paolo II, discorso all'Angelus dal Mont Chétif, Valle d'Aosta 1986

domenica 20 febbraio 2011

Un dono per il Papa

 


Alcune settimane dopo la sua elezione avvenuta il 16 ottobre 1978, i maestri della Scuola di Sci di Roccaraso si recarono a Roma e offrirono in dono al Pontefice un paio di sci. L'evento fu immortalato da una istantanea giudicata «la foto più bella dell’anno» e utilizzata dal periodico “L’Europeo” come copertina del numero di febbraio dell’anno 1979, in occasione di un servizio che la redazione dedicò a Giovanni Paolo II.
I testimoni raccontano che Woytila affermò di aver avuto l’intenzione di abbandonare lo sci, ma, commosso per il regalo, si ripromise di tornare sulle piste, come infatti fece più volte negli anni a seguire.

(dal sito www.roccaraso.net)

martedì 15 febbraio 2011

Le giornate rubate

Il cardinale Stanislaw Dziwisz ha gli occhi che brillano, un po' di gioia, un po' di commozione: «Vorrei farle una confidenza: all'inizio, il Papa non sapeva nulla dell'Adamello, del suo valore storico e simbolico. Seppe tutto dopo. Venne qui perché non voleva deludere i giovani. L'iniziativa era loro, dei giovani, che desideravano tantissimo il Papa e sapevano che difficilmente avrebbe resistito alla prospettiva di una "gita" sulle montagne che tanto amava».
Quando papa Wojtyla saliva in montagna, cambiava. Il volto diventava più luminoso, il corpo stesso sembrava attraversato da una maggiore energia… Sono solo nostre fantasie? Che cosa accadeva al Papa quando saliva sui monti?

«Non che fosse facile per lui poterci salire… Ma glielo concedevano. Pensavano: questo Papa lavora così tanto, che deve pur avere qualche giorno di riposo. Il fatto è che Giovanni Paolo II nella natura ritrovava il Creatore. I monti, i laghi… erano tutte occasioni per poter stare con Dio. Ricordo bene ad esempio le giornate nel Cadore e in Val d'Aosta, o sulle nevi dell'Appennino: camminava, sciava, ma sempre qualche passo discosto da noi. Desiderava isolarsi per stare da solo con Lui. Ed anche, credo, per tenersi lontano, per pochissimo, dai problemi di ogni giorno».

Per lui la montagna e la natura avevano un valore soltanto metaforico? Oppure, come a noi sembra, sapeva godere dell'aria pura, dei suoni, dei profumi, della vista di panorami di per sé belli?

«Le cose belle della natura gli consentivano di vedere tutto il resto in modo più limpido e profondo. Gli permettevano di risalire alle sorgenti della vita stessa, ai significati ultimi. Però è vero, era capace di gioire per le cose più semplici. Durante le escursioni, e le giornate in montagna "rubate" alla "routine" vaticana, gli capitava di fermarsi a mangiare e bere qualcosa con i ragazzi della Vigilanza, e poi di cantare insieme. Gli piaceva tantissimo cantare i canti tipici, sia polacchi sia italiani. Era un Papa che accorciava sempre la distanza tra sé e gli altri. Che cercava il contatto».

Umberto Folena (Avvenire 7 luglio 2007)

sabato 12 febbraio 2011

La montagna come scuola di vita




Infaticabile camminatore. Pronto a cogliere le bellezze della natura in ogni loro sfumatura, dal fascino di un ghiacciaio al rumore di un ruscello fino al profumo dei prati. Con lo sguardo proteso verso l’alto e la mente immersa nella contemplazione del "Mistero" che si manifesta nella realtà.
Chi camminava con lui faceva esperienza concreta di quanto la montagna sia "maestra" di vita. Così viene descritto Giovanni Paolo II da uno che ha camminato al suo fianco in molte occasioni durante le vacanze trascorse in Valle d'Aosta.
Alberto Maria Careggio, che dal 2004 è Vescovo di Ventimiglia-Sanremo, all’epoca era il Sacerdote incaricato di curare l’organizzazione dei soggiorni papali nella regione. Un’esperienza che è rimasta indelebilmente impressa nella sua memoria di uomo e di appassionato di montagna.

Partenza di buon mattino, silenzio assoluto per almeno mezz’ora, dedicato alla preghiera e alla meditazione, col Papa che sgranava la corona del Rosario tra le mani. E poi su, sempre più su, senza soste, fino alla "meta": un rifugio, una cima, un punto panoramico. «Papa Wojtyla era una "sintesi" vivente di azione e contemplazione – ricorda Monsignor Careggio – . La fatica non lo impensieriva, abbiamo fatto gite che sono durate anche dieci ore. Anzi, più di una volta ci chiese di prolungare l’itinerario che era stato programmato per raggiungere un luogo che l’aveva colpito durante l’ascensione: "Possiamo salire fin lassù?". Quando s’incontrava qualcosa di affascinante non usava espressioni banali ("Che bello…"): ti fissava negli occhi con quel suo sguardo profondo e luminoso, poi ti invitava a guardare insieme a lui.
Camminando al suo fianco c’era sempre molto da imparare: era un "maestro" della montagna».
Il rapporto di Wojtyla con le "terre alte" risale agli anni della sua giovinezza quando, appena ordinato Sacerdote, in Polonia accompagnava gli studenti universitari sui Tatra. È nota la sua passione per lo sci e per l’esercizio fisico, che ne aveva fatto il simbolo di una "corporeità" senza precedenti ai vertici della Chiesa. E sull’argomento è intervenuto più volte, con parole da cui trapelava la sua grande passione.
Dopo avere recitato l’"Angelus" l’11 Luglio 1999, in occasione del suo settimo soggiorno nella "Vallée", Giovanni Paolo II pronunciò alcune frasi che dovrebbero sempre accompagnare i turisti che trascorrono le vacanze in quota, perché suggeriscono in maniera semplice e profonda lo "sguardo" da avere quando si ha la fortuna di gustare le bellezze della natura: «Ogni volta che ho la possibilità di recarmi in montagna e di contemplare questi paesaggi, ringrazio Dio per la maestosa bellezza del creato. Lo ringrazio per la sua stessa "Bellezza", di cui il cosmo è come un riflesso, capace di affascinare gli uomini e attirarli alla grandezza del "Creatore". La montagna, in particolare, non solo costituisce un magnifico scenario da contemplare, ma quasi una "scuola di vita". In essa si impara a faticare per raggiungere una "meta", ad aiutarsi a vicenda nei momenti di difficoltà, a gustare insieme il silenzio, a riconoscere la propria piccolezza in un ambiente maestoso».

Preghiera, contemplazione, silenzio, fatica. Ma anche il piacere della musica e del canto, commenta Careggio, che anni fa ha fissato i suoi ricordi nel libro "L’uomo delle alte vette": «Un giorno, dopo avere mangiato in una radura sulla via del ritorno da un’escursione, il Santo Padre andò a riposare sotto una tenda che era stata preparata per lui. Insieme agli uomini della "vigilanza pontificia" abbiamo intonato alcuni canti di montagna. Si avvicina Camillo Cibin, responsabile della "vigilanza", e ci chiede di abbassare il tono della voce "perché Sua Santità deve riposare". Noi, per rispetto, ci siamo zittiti del tutto. Dopo un po’ arriva il Papa e ci chiede, sorridendo: "Ma perché avete smesso di cantare?". Amava molto le canzoni di montagna: quando si era sulla via del ritorno di qualche gita Don Stanislao, il "Segretario", faceva ascoltare dei "cd" con brani eseguiti da qualche coro». La montagna rimane nel suo cuore anche quando il fisico vacilla.
Nell’Aprile del 1994 Wojtyla cade di notte nel suo appartamento in "Vaticano" e si rompe il femore destro. Resterà "claudicante" e comincerà ad appoggiarsi al bastone. «Quell’anno il soggiorno "valdostano" venne posticipato ad Agosto – ricorda Careggio – e in quell’occasione ho potuto ammirare la sua tenacia. La prima passeggiata, se così si può dire, non fu più lunga di cento metri, ma quando si rese conto che poteva di nuovo mettere i piedi su terreni "sconnessi" e non solo su un pavimento di casa, fu come se si riconciliasse con una parte di sé, quella del "montanaro". Mi guardò e disse: "Don Alberto, hai un Papa zoppo!". E io gli risposi: "Santità, è vero, il Papa è zoppo, ma fa camminare la Chiesa!"».

Giorgio Paolucci, da Avvenire 12 agosto 2009, ripreso da www.atma-o-jibon.org


mercoledì 9 febbraio 2011

L'omaggio del Clup Alpino Italiano

 

Alla figura di Giovanni Paolo II è stato reso omaggio sabato 2 aprile durante la riunione a Milano del Comitato centrale di indirizzo e controllo, poche ore prima che Karol Woytila cessasse di vivere gettando nello sconforto milioni di fedeli. Giustificato il compianto della comunità alpinistica, in occasione della scomparsa avvenuta nella serata di sabato 2 aprile davanti agli occhi trepidanti del mondo.
Il pontefice che tanto ha amato la montagna lascia immagini indimenticabili: il suo sostare in vetta al Monte Bianco immortalato dall’obiettivo di Lorenzino Cosson, l’escursione con gli sci tra le nevi dell’Adamello, le passeggiate durante i soggiorni estivi tra i monti della Valle d’Aosta o del Cadore.  
Come è stato ricordato nei giorni del lutto che ha fermato l’Italia, venti anni or sono furono le nevi dell’Adamello a costituire lo sfondo dello storico incontro tra il  papa polacco con il presidente Sandro Pertini: un abbraccio caloroso, pieno d'affetto e di stima, tra un grande spirito laico e la voce della fede e della speranza in nome della pace. 
Sulle nevi dell'Adamello Woytila ritornò nel 1988 a benedire l'altare in granito eretto in suo onore e la  Cresta Croce dal 31 dicembre 1999 è diventata Punta Giovanni Paolo II. Ed è stato ai piedi di queste nevi, a Pinzolo, che si è consumato nel 2004 in settembre l’omaggio probabilmente più sentito e commosso al “papa alpinista” con l’assegnazione della 33a Targa d'Argento, simbolo e testimonianza della Solidarietà alpina.
Nei sogni di Angiolino Binelli, ideatore del premio e presidente del comitato organizzatore, c’era probabilmente un pontefice intento a condividere l’atmosfera conviviale di questa cerimonia a gloria degli uomini del soccorso alpino di tutto il mondo. Ma la circostanza risultò evidentemente impossibile da realizzare per le precarie condizioni di salute dell’illustre premiato.
La targa venne perciò ritirata dal cardinale Crescenzio Sepe. E a Binellli non restò che leggere con voce commossa la dedica all’ideale compagno di scalate di quell’esercito silenzioso rappresentato dagli uomini del soccorso alpino, definendolo “testimone infaticabile, tenace e ispirato della Parola di Cristo che trova la sua più alta espressione nel donare la propria vita per gli altri, uomo di profondo sentire, amantissimo della montagna, di chi la vive quotidianamente, e dei valori di solidarietà e di fratellanza che da sempre essa conserva e trasmette nel silenzio rispettoso e sacro della sua spiritualità
Particolare significativo. Gli omaggi della comunità alpinistica a Giovanni Paolo II si moltiplicavano il 18 maggio, in occasione del suo compleanno. Nel 2004 Oreste Forno realizzò il progetto di dedicargli quel giorno una serie di scalate invocando la pace, iniziativa che viene riproposta anche nel 2005. Con gli auguri per il genetliaco, una scalata di notevoli contenuti tecnici è stata anche dedicata l’anno scorso a Giovanni Paolo II sulle montagne valdostane da Arnaud Clavel e Mario Mochet, guide di Courmayeur. 
La via si trova sul Père Eternel, ardita guglia di 3224 m nel cuore del massiccio del Monte Bianco.

Tratto dal comunicato stampa del CAI in data 4 aprile 2005


venerdì 4 febbraio 2011

La fuga in Abruzzo


La prima volta fu quasi una “fuga”. Da tempo desideravamo che il Santo Padre potesse non solo sciare, ma rituffarsi nella vita normale della gente, e perciò decidemmo di tentare.
Non ricordo di chi fosse stata l’idea iniziale, ma probabilmente fu una iniziativa collettiva, nata a tavola. E comunque, la località prescelta, Ovindoli, venne suggerita da don Tadeusz Rakoczy (ora è Vescovo di Bielsko-Zywiec, in Polonia), il quale conosceva quei luoghi perché ci andava a sciare. Ma, per sicurezza, due o tre giorni prima, lui e don Jozef Kowalczyk (l’attuale nunzio apostolico in Polonia) fecero una perlustrazione, a evitare imprevisti.
Se non ricordo male, era il 2 gennaio 1981. Partimmo verso le 9 con la machina di don Jozef, per non dare nell’occhio all’uscita dal palazzo di Castelgandolfo, dove c’erano le Guardie Svizzere. Don Jozef era l’autista e, accanto a lui, don Tadeusz faceva finta di leggere il giornale, tenendolo tutto aperto per “coprire” il Santo Padre, ch’era dietro, e io stavo vicino a lui.
Don Jozef guidava con estrema cautela, rispettando i limiti di velocità, rallentando alla vista delle strisce pedonali. Immaginiamoci che cosa sarebbe successo nel caso di un incidente, o se la macchina si fosse guastata!
Passammo per vari paesi, così il Papa, da dietro i vetri, poté gustarsi quelle scene di ordinaria vita quotidiana. All’arrivo, ci fermammo fuori Ovindoli, vicino a una delle piste, ma dove non c’era quasi nessuno. E lì cominciò quella giornata meravigliosa, indimenticabile.
Le montagne attorno. La natura tutta imbiancata. Quel gran silenzio che ti permetteva di concentrarti, di pregare. Il Santo Padre riuscì anche a sciare. Era contentissimo per quel “regalo” che gli avevamo fatto. Sulla via del ritorno, sorridendo, ci disse: “Eppure siamo riusciti!” E nei giorni seguenti continuò a ringraziarci, e a ricordare i momenti topici della “spedizione”.
Anche nelle escursioni successive cercammo di scegliere luoghi solitari. Ma, volendo andare su certe piste, non sempre potevamo evitare la gente. E poi, perché preoccuparsi tanto? Il Santo Padre si comportava come un normalissimo sciatore. Era vestito come tutti: tuta, berretto e occhiali scuri. Si metteva in fila con le altre persone – ma noi avevamo sempre l’accortezza di stargli uno davanti e un altro dietro – e con lo skipass si serviva degli impianti di risalita.
Sembrerà incredibile, ma nessuno lo riconosceva. Anche perché chi poteva immaginarsi che un Papa andasse a sciare?!
Uno dei primi a scoprirlo fu un bambino, non avrà avuto più di dieci anni.
Era pomeriggio tardi. Io e don Jozef eravamo andati avanti. Don Tadeusz, dopo aver fatto la discesa, s’era fermato sul pendio aspettando il Santo Padre. In quel momento, più sotto, era passato un gruppo di fondisti; e dopo un po’, rimasto evidentemente indietro, ecco quel ragazzino, trafelato, affannato. Chiese: “Li ha visti?”. E mentre don Tadeusz gli indicava il sentiero, quello si voltò a guardare il Santo Padre, giunto proprio allora. Rimase a bocca aperta, gli occhi stralunati, poi cominciò a urlare: “Il Papa! Il Papa!”. E don Tadeusz: “Ma che dici, stupido! Pensa piuttosto a spicciarti, guarda che quelli li perdi…”.
Il ragazzino sparì all’inseguimento degli amici, e noi, arrivati giù, ci sbrigammo a salire in macchina e a ripartire per Roma…

Card. Stanislao Dziwisz, già segretario personale di Giovanni Paolo II, in "Una vita con Karol", Rizzoli, 2007

martedì 1 febbraio 2011

Chiamatemi Karol



Correva l’anno 1984, luglio: stagione estiva sui ghiacciai dell’Adamello. In quel periodo Presidente della Repubblica Italiana era Sandro Pertini (morto nel 1990) , che amava spesso ricordare la sorpresa che lo colse nel ricevere un’indimenticabile telefonata: “Vorrebbe venire a sciare con me sull’Adamello questo fine settimana?” Dall’altra parte della cornetta c’era il Papa…

“Era venerdì – ricordava Sandro Pertini a proposito – e lì per lì rimasi attonito; ma accettai l’invito. Fintanto che lui sciava, io fumavo la pipa; e non potei non dirgli: Sua Santità, lei è un maestro; volteggia come una rondine. Fu un evento straordinario, rimasto nella memoria assieme ad altre divertenti situazioni, come, ad esempio, quando il Papa e il Presidente Pertini stavano mangiando insieme gli strozzapreti. Il Papa li apprezzò a tal punto che Sandro Pertini non si trattenne dal ridere; poco dopo entrambi se la ridevano di gusto.

Ma questi giorni lasciano nella nostra memoria qualcos’altro, di più profondo e spirituale legato al Papa Wojtyla: il custode del rifugio (a 3040 metri) Lino Zani, esperto alpinista e accompagnatore del Papa in occasione di questa vacanza ricorda alcuni fatti emblematici: “Naturalmente – dice – eravamo soliti rivolgerci a lui dandogli del Lei e usando espressioni quali ‘Sua Santità’… Egli cercò più volte di convincerci a chiamarlo semplicemente Karol. Era una delle personalità più importanti al mondo, eppure la sua semplicità ci spiazzò. Quando poi Pertini lasciò le montagne, io e la mia famiglia restammo soli col Papa: mangiavamo insieme in cucina e parlavamo come fossimo vecchi compagni di cordata. Una volta poi, mentre sciavamo, lui si fermò all’improvviso e disse di voler stare solo: si recò su un punto alto con un bel panorama e rimase piantato sui piedi per circa un’ora, assorto in preghiera e meditazione”.

brano tratto dal quotidiano polacco Rzeczpospolita del 7 aprile 2005, ripreso dal sito http://www.discoveryalps.it/