lunedì 28 ottobre 2013

La vittoria delle stelle alpine


 
A Trento è nettissima la vittoria del candidato governatore Ugo Rossi esponente del Partito autonomista Trentino che si è presentato in un’alleanza che ha visto protagonista il Pd, risultato il primo partito per numero di voti, assieme ad altre liste tra cui l’Upt di Lorenzo Dellai trasferitosi nel frattempo armi e bagagli a Roma tra gli uomini di Monti. In Alto Adige tiene ancora la Svp, pur perdendo un consigliere e quindi, per la prima volta, anche la maggioranza assoluta dei seggi all’interno del consiglio provinciale. 

Il «partito di raccolta» degli altoatesini di lingua tedesca si è presentato di fronte agli elettori all’insegna di un fortissimo rinnovamento per il cambio della guardia che vede il governatore Luis Durnwalder lasciare la guida della Provincia Autonoma dopo un quarto di secolo. I voti persi dalla Svp si distribuiscono nei partiti della destra di lingua tedesca, dai Freiheitlichen un tempo gemellati con i Liberal Nazionali del defunto Joerg Haider, alla Suedtiroler Freiheit della pasionaria separatista Eva Klotz. Tiene in Alto Adige anche il Pd che incrementa i suffragi pur nella disaffezione dell’elettorato di lingua italiana. Crescono inoltre i Verdi, che qui si sono presentati assieme alla Sel di Niki Vendola. 

Il simbolo dell'Unione Autonomista Ladina, componente della coalizione di Ugo Rossi


Va da scriversi ad un calo nettissimo dell’elettorato nel suo complesso in Trentino e di quello italiano in Alto Adige il risultato deludente del Centrodestra, che si è presentato alle elezioni molto frammentato, ben oltre alla semplice distinzione tra «falchi» e «colombe». Probabilmente la protesta di trentini e altoatesini di lingua italiana è rimasta inespressa, alimentando dunque il non voto, visto che il partito di Beppe Grillo non è decollato né a Trento né a Bolzano, nonostante che il leader si sia speso personalmente con la sua presenza nelle piazze alla vigilia della consultazione elettorale. 

Ora che il Trentino ha incoronato il suo nuovo presidente nella figura di Ugo Rossi, il consiglio provinciale di Bolzano nelle prossime sedute avrà il compito di attribuire lo scettro che fu di Luis Durnwalder ad Arno Kompatscher, uscito vittorioso dalle primarie Svp e confermato nella sua funzione di leader dal suffragio degli elettori.  

fonte: La Stampa 

 

domenica 27 ottobre 2013

Come le più alte montagne

 


Signore, il tuo amore è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi,

la tua giustizia è come le più alte montagne,
il tuo giudizio come l'abisso profondo.

(dal salmo 35)

Al voto in vetta



Apparentemente sembra tutto scontato: la vittoria di Ugo Rossi candidato presidente del centrosinistra autonomista a Trento e il successo a governatore di Arno Kompatscher della Svp, la Südtiroler Volkspartei, a Bolzano. Le chiamano elezioni regionali in Trentino Alto Adige ma di regionale non c’è quasi traccia. Verranno, infatti, eletti due consigli provinciali, autonomi l’uno dall’altro con competenze regionali e con poteri quasi assoluti. Se si toglie la giustizia, la Rai e poco altro, tutto il resto è gestito dalle due Province. Anche i sistemi elettorali sono diversi: proporzionale in Alto Adige e non è prevista l’elezione diretta del presidente. In Trentino, invece, si elegge direttamente il governatore e c’è il premio di maggioranza se ha ottenuto più del 40 per cento. Istituzionalmente non c’è quasi nulla che tenga assieme Trento e Bolzano, a parte la Regione.

Il consiglio regionale è, infatti, formato dai due consigli provinciali, ma è una scatola vuota e costosa e nessuno sa che cosa farne. Conta meno di una qualsiasi Provincia italiana spogliata di competenze. Se in apparenza sembra scontato, c’è però un dato politico importante: l’uscita di scena dei due precedenti governatori. A Bolzano, Luis Durnwalder (presidente per 25 anni) lascia la scena; a Trento, Lorenzo Dellai non si ricandida dopo 14 anni al comando. Cambia anche lo stile: Durnwalder era soprannominato il “Kaiser”, Dellai il “Principe”, due leader carismatici e un po’ autòcrati. Mentre i due attuali candidati hanno una condotta molto più sobria e pacata, almeno finora. Pure la gestione del potere sembra più condivisa e non potrà che essere più contenuta, vista la forte sforbiciata ai bilanci pubblici.

Se a Bolzano la Svp dovrebbe confermare i risultati passati e arrivare alla soglia del 50 per cento, in Trentino difficilmente Ugo Rossi potrà raggiungere il 57 per cento del suo predecessore. Ed è molto probabile che scenderà sotto il 50 per cento. Alle primarie in Trentino, Rossi l’ha spuntata sul candidato del Pd, pur essendo il partito largamente più votato e azionista di maggioranza della coalizione. Un crisi di leadership, quella del Pd, che si riscontra anche a Bolzano, dove, pur essendo in giunta con due assessori, è ininfluente e inesistente politicamente. Se Arno Kompatscher non ha avversari degni di nome, neanche Ugo Rossi sembra averne. C’è Diego Mosna, imprenditore, patron della Trentino Volley, pluricampione, ma è probabile che sparisca il giorno dopo le elezioni per sua stessa ammissione. Ha, infatti, dichiarato che se non viene eletto, si dimetterà subito. Guida delle liste civiche e dice di essere lontano dai partiti, tuttavia c’è una sfilza di riciclati.

Il più in vista è l’ex assessore Silvano Grisenti, ex Dc, ex Margherita, ex Upt (il partito di Dellai), inventore della “magnadora”, cioè la mangiatoia politica per come gestiva il potere da potente assessore ai lavori pubblici. Con lui c’è pure una fitta schiera di ex Pdl. Mentre il centrodestra è completamente disgregato, con Forza Trentino governata dall’amazzone di B., Michaela Biancofiore. Ma si sa, lei sparge sale dove passa e non cresce più nulla. Infatti è riuscita a portare scompiglio e a frazionare anche il centrodestra a Bolzano. Difficile che il M5S confermi il 19 per cento delle elezioni nazionali, probabile un forte ridimensionamento. Nei giorni scorsi Grillo ha compiuto un tour elettorale da quelle parti, ma non c’erano più le cinquemila persone ad ascoltarlo, forse erano meno della metà rispetto al comizio oceanico di appena un anno fa. E forse non è neppure colpa dei grillini. In Trentino, infatti, non hanno mai attecchito questi movimenti, anche la Lega, nel suo massimo fulgore, ha raggiunto percentuali bassine. Per le elezioni scende in campo un piccolo esercito di 784 candidati: uno ogni 640 persone. Tra i candidati a presidente c’è anche il musicista Ago Carollo, che gira per le strade del Trentino su un bus inglese rosso a due piani, accompagnato dalla sua musica. L’ambizione politica sarà, forse, tradita, ma almeno avrà fatto pubblicità ai suoi pezzi musicali.

fonte: il fatto quotidiano, 25 ottobre 2013

mercoledì 23 ottobre 2013

Principi inconciliabili



È stato chiesto se sia mutato il giudizio del Chiesa nei confronti della massoneria per il fatto che nel nuovo Codice di Diritto Canonico essa non viene espressamente menzionata come nel Codice anteriore.

Questa Congregazione è in grado di rispondere che tale circostanza è dovuta a un criterio redazionale seguito anche per altre associazioni ugualmente non menzionate in quanto comprese in categorie più ampie.

Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione.
 
Non compete alle autorità ecclesiastiche locali di pronunciarsi sulla natura delle associazioni massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto sopra stabilito, e ciò in linea con la Dichiarazione di questa S. Congregazione del 17 febbraio 1981 (Cf. AAS 73, 1981, p. 240-241).
 
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Dichiarazione, decisa nella riunione ordinaria di questa S. Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione. 

Roma, dalla Sede della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 26 novembre 1983.

Joseph Card. RATZINGER Prefetto
Fr. Jérôme Hamer, O.P.
Arcivescovo tit. di Lorium
Segretario

domenica 20 ottobre 2013

Monti contro i professionisti dello slalom !






Corriere della Sera, 19 ottobre 2013: Monti accusa Mauro e Casini, definiti con l'epiteto di "professionisti dello slalom"

sabato 19 ottobre 2013

Fa scendere la neve come lana



Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,

perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.

Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.

Fa scendere la neve come lana,
come polvere sparge la brina,


getta come briciole la grandine:
di fronte al suo gelo chi resiste?

Manda la sua parola ed ecco le scioglie,
fa soffiare il suo vento e scorrono le acque.

Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.

Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.

 
(Salmo 147) 
 

domenica 13 ottobre 2013

Si ricomincia !



È arrivato l’inverno, o quasi, sulle Alpi. In anticipo. Neve abbondante, soprattutto alle alte quote, ma i fiocchi sono caduti localmente anche sotto i mille metri. Un’improvvisa svolta con temperature a picco. E con immagini bianche che in alcuni settori dell’arco alpino sono già da cartolina, soprattutto se andiamo appena oltre confine, in Austria: al di là del Brennero (dove peraltro sono caduti 30 centimetri di neve fresca) un metro di neve, a 3.000 metri, è caduta nella Valle dello Stubai. Anche al Passo dello Stelvio l’altra notte sono scesi 70 centimetri di neve fresca. A Plateau Rosa, 3.500 metri, sopra Cervinia, il termometro è precipitato a -13 gradi. Imbiancata anche la Valtellina, a Bormio sono state raggiunte temperature prossime allo zero. 

Appena imbiancate le Dolomiti, sopra i 1.600 metri. Ma tanto freddo, con temperature sotto zero di notte e appena 3-4 gradi sopra di giorno. Cortina ieri è stata spazzata da un vento gelido, con una spolverata di neve in cima al Canalone e sul Faloria. Tanta neve significa anche condizioni ottimali per le località d’alta quota dove già si scia, o che stanno per aprire i battenti. Mai così belle le piste dello Stelvio, dicono alla scuola di Sci Pirovano. Sono quattro gli impianti aperti sul ghiacciaio e c’è davvero da approfittare di queste condizioni eccezionali, prima della consueta chiusura invernale il 3 novembre prossimo. In Val Senales, per la tanta neve ieri le piste sono rimaste chiuse ma probabilmente già da oggi riapriranno. A Cervinia, sulle piste del Plateau Rosa si comincia la nuova stagione dello sci con due weekend: il prossimo del 19-20 ottobre e quello successivo. Poi dal 1° novembre di andrà avanti tutti i giorni fino a primavera. 

Dicevamo delle abbondanti nevicate in Tirolo. Se si esclude Hintertux, dove si scia 365 giorni l’anno, i ghiacciai tirolesi di Stubai, Pitztal, Kaunertal e Sölden hanno già aperto i battenti. E in occasione dei vari opening , tante sono le feste e gli eventi in calendario, sportivi e non solo. Quello più comodo da raggiungere per gli italiani è senza dubbio il ghiacciaio dello Stubai, a mezz’ora dal Brennero. Sulle nevi eterne del ghiacciaio più grande dell’Austria è caduto un metro di neve fresca, in fondovalle 45 centimetri. 

Oggi tra canti e fiumi di birra si festeggia la riapertura della stagione sciistica, all’insegna dell’Oktoberfest sulla neve. Si può trascorrere una notte in albergo con prima colazione e skipass incluso a partire da 89 euro. In poco più di un’ora dal Brennero si raggiunge invece il Ghiacciaio di Sölden nell’ Ötztal. La località si piazza incredibilmente al secondo posto in Austria per il numero di pernottamenti turistici, dopo Vienna. Si scia fino a 3.250 metri sulle nevi perenni dei ghiacciai di Rettenbach e Tiefenbach. E a dicembre verrà inaugurato un nuovo ristorante alpino di design, direttamente sulla cima dell’area sciistica del Gaislachkogl, con architettura d’avanguardia. 

Sempre nell’Ötztal dopo lo sci è d’obbligo il relax nell’Aquadom di Längenfeld, una spa di 30 mila metri quadrati. Ancora in Tirolo il Kaunertaler Gletscher, che si eleva fino a 3.108 metri, è apprezzato dai giovani per lo snowpark. Ieri si è aperta la stagione e le feste proseguiranno fino a domani con un grande festival di richiamo per tutti gli snowboarder. Ma una grande sorpresa sono le piste di fondo di Seefeld, 1.200 metri di altitudine, 20 chilometri da Innsbruck, una Mecca per i fondisti, dove sono caduti 40 centimetri di neve fresca, evento raro per la prima metà di ottobre. 

sabato 12 ottobre 2013

13 ottobre 2013: Giornata del camminare


Lo Sci Club esporime il proprio sostegno alla Giornata Nazionale del Camminare 2013, condividendone lo spirito e le finalità.

Insieme per una cultura della mobilità sostenibile e del camminare che favorisca l’ambiente e i paesaggi, attraverso itinerari che promuovono la conoscenza dei luoghi urbani, rurali e montani. A passo lento e per il secondo anno, domenica 13 ottobre sarà la Giornata nazionale del camminare, l’evento promosso da FederTrek, che coinvolge anche le scuole (di ogni ordine e grado) d’Italia, grazie a un protocollo d’intesa stipulato con il ministero dell’Istruzione, con il patrocinio del ministero dell’Ambiente e dell’Anci. Durante la giornata verrà assegnato il premio Giornata del camminare 2013 alle città che si saranno dimostrate più virtuose in progetti di mobilità sostenibile.
ADESIONI - Dal Trentino alla Sicilia, l’Italia che si muove a piedi si riunisce domenica attraverso centinaia di percorsi previsti intorno ai nostri luoghi grazie al sostegno di tante (e diverse) realtà territoriali, sia pubbliche e che private, come FederTrek che promuove, considerandola strategica, l’attività del camminare anche dal punto vista socio/economico. Aderire quindi, per partecipare a una cultura del camminare in crescita, che si sviluppa attraverso l’azione attenta delle amministrazioni locali, delle attività turistiche (atte a recepirla), grazie a una consapevole mobilità urbana e a una cultura del vivere lento (e dei diritti) e del benessere fisico che ne deriva, che ha avvicinato Regioni, Comuni e Asl, così come le scuole, l’associazionismo, le università e le istituzioni. Un’azione integrata verso il sociale, che parte da un gesto antico (fra i più naturali) e poetico, da compiersi in relazione con gli altri, per ridare forma (e ritmo) ad un pensiero di comunità. 
 
fonte: corriere.it

mercoledì 9 ottobre 2013

La gola secca



Mauro Corona, allora, aveva 13 anni. Fu sfollato con il resto della popolazione. Tornò in quei luoghi tempo dopo, già uomo. Riabbracciò quelle case in pietra e le sue montagne, che scolpì, curò, raccontò (celebre il romanzo L’ombra del bastone, Mondadori). Di quella sera ricorda il rumore, l’enorme boato, il silenzio che ne seguì, le preghiere della nonna e «il buio della valle». Corona risponde al telefono che sta arrampicandosi proprio su quelle rocce: «Sono ancora basso, mi fermo e parliamo». Ma non è un’intervista facile. Alcune ferite non si sono cicatrizzate. «Adesso si svegliano anche le galline, per i cinquant'anni ... perché no i 49? Siete banali. Mai un guizzo. Per questo il Paese va in malora perché non riuscite ad anticipare. Scrivi ‘ste robe!».
Ancora c’è rabbia...
«Ma come si fa a non averne? Dov’è Napolitano? Lo volevamo qui. Hanno ammazzato duemila persone. Non si è mai presentato nessuno al paese di Erto. Siamo sempre stati noi ad andare da loro. I nostri sindaci, anche quelli della valle, invece di alzare la voce e pretendere che il Capo dello Stato venisse qui hanno abbassato la testa e sono andati loro. Sono andati a Canossa. Servi della gleba!».
Vi sentite abbandonati?
«Qui non c’è mai stato un papa, un presidente, né vescovi, né principi, Erto sta crollando pezzo su pezzo. È protetto dall’Unesco, dalle Belle Arti.... Tutte patacche! Perché Napolitano va a rendere omaggio, doveroso, ai morti del terremoto e non viene a Erto? Perché non viene il Papa a dire una messa su questa chiesa che ha mille anni di storia?
E basterebbe?
«Ci basta così. Una carezza sulla pelle bagnata di questi cari abbandonati. Una carezza, dopo 50 anni. No, bisogna che andiamo noi a Roma, che andiamo laggiù. Il paese non sono le case, un paese è la gente. Le case sono solo delle mummie. Se non c’è un palato che non gusta la mela, questa non esiste. Quello che fa il paese di Erto sono le persone non le case. Persone che sono state abbandonate volutamente».
Però anche questa è un’occasione per parlarne...
«Non mi interessa il “festival del Vajont”, dove tutti scoprono i morti a cifra tonda. A Erto non ci sono servizi. I nostri figli, non i miei che sono anziani, fanno una tortura per andare scuola. Devono prendere una corriera per andare a Longarone e poi un treno per andare a Belluno. E poi tornare facendo il percorso inverso. Questo è il Vajont! Qui non c’è un tabacchino, un macellaio, un frutta e verdura. Questo è il Vajont! Dove si taglia la posta che arriva ogni tre giorni. Dove i giornali che leggo, compreso il suo, arrivano il giorno dopo. Ma siamo gente anche noi o no? Altrimenti ci chiudano in una riserva e ci mandino da mangiare da bere e noi staremo buoni, così come abbiamo fatto da 50 anni».
Nel corso degli anni sul Vajont si è detto di tutto. Per molti commentatori, però, rimane una catastrofe «naturale»...

«Anche per lo Stato, sa. Hanno concesso la giornata della memoria dicendo che la catastrofe è successa per incuria umana. Vigliacchi! E non la vogliono togliere quella frase. Anche gente come Giorgio Bocca diceva che fu una catastrofe naturale. Lo scrittore Dino Buzzati affermava che era “un sasso caduto nel bicchiere”. No signor Buzzati, un sasso ce lo hanno buttato nel bicchiere. Lo vogliamo dire o no?».
Be’ qualcuno lo ha detto...
«Forse, ma se non c’era Marco Paolini noi eravamo fermi al 1963. Perché la tv di Stato mi fa sapere che Belen Rodriguez aspetta un bambino o che la regina si sposa ma non parla di Erto, della nostra tragedia? Solo adesso, che è l’anniversario a cifra tonda lo scoprono. Mi fanno vergognare, sa. Non di essere italiano ma di stare al mondo. E ora basta, la saluto. Questa è la mia intervista per l’Unità, se la volete». La montagna non aspetta. 

fonte: l'Unità, 9 ottobre 2013






Adagiata sul greto del Piave, a cento chilometri di distanza da Longarone. A Fossalta di Piave, il 10 ottobre 1963 avevano trovato una Madonna con le mani strappate dall’acqua dell’onda del Vajont che alle 22.39 della sera prima, il 9, aveva spazzato via la chiesa assieme a sette paesi e provocato 1910 morti. Davanti a quella Madonna deturpata, il presidente del Senato Pietro Grasso si è fermato a lungo. «È il simbolo - ha detto - che in sé conserva l’idea e l’immagine del dolore». 



La statua è il segno, come altri nella memoria popolare, di una tragedia, di «un mondo che scompare in una notte», non solo per colpa della natura. Quella del Vajont è una «ferita ancora aperta» che a gran voce chiama in causa l’uomo e suonano chiare le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «quell’evento non fu una tragica, inevitabile fatalità, ma drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate e di cui non possono sottacersi le responsabilità». 



Non ci sono ombre nelle parole di Grasso che, da Longarone, nel giorno delle celebrazioni e del ricordo dei 50 anni dal disastro, punta il dito non verso il vicino monte Toc, da dove si stacco’ la frana che piombò sul bacino artificiale della diga e sollevò l’onda `assassina´, ma verso gli interessi governati dall’uomo. «Questo disastro - dice - si sarebbe evitato se una maggiore considerazione della vita umana avesse prevalso su interessi economici e strategici. Non si possono sottacere le pesanti responsabilità umane che hanno determinato la catastrofe». 



Sono le parole di uno Stato che chiede scusa. «Sono qui oggi - ricorda Grasso - per inchinarmi di fronte alle vittime e ai sopravvissuti. Sono qui per portare le scuse dello Stato. Sono qui per riparare, per sanare, per quanto possibile, quella ferita che da 50 anni separa questo popolo delle istituzioni, convinto che solo con la verità e la giustizia questo processo potrà trovare pieno compimento». Il presidente del Senato chiede un cambio di prospettiva nella tutela dell’ambiente, spazzando via l’idea che sia un costo aggiuntivo, «un intralcio alla produzione e alla crescita». Dalla terra martoriata di Puglia, che conta i suoi morti per il maltempo, arriva intanto il grido del presidente dell’Ordine dei geologi pugliesi, Salvatore Valletta: a «giudicare dallo stato del territorio italiano» la tragedia del Vajont «non è servita». 



«Tragica fatalità» con oggi, però, è una dizione che scompare una volta per tutte dalla storia del Vajont. Di «tragedia annunciata» parla il governatore veneto Luca Zaia. Ricorda l’appello inascoltato di Tina Merlin - sulla cui figura e sulle cui parole si è soffermato anche Grasso - e dice: «I vecchi del posto sapevano che la montagna sarebbe venuta giù». Per il presidente del Friuli Venezia Giulia Deborah Serracchini il cordoglio non basta «se non si ricorda che quella tragedia non fu un evento naturale, non fu una fatalità, ma un disastro provocato da precise colpe e responsabilità umane». 



Intanto, nel giorno che l’Italia ha eletto - come ha ricordato Napolitano - a “Giornata in memoria dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo”, le comunità della Valle del Piave - Longarone, Pirago, Maè, Rivalta, Villanova, Faè, Codissago, Castellavazzo - e di Erto e Casso, in terra friulana a monte della diga, sono tornata a piangere ancora una volta i quasi 2.000 morti di 50 anni fa. Lacrime che hanno la forza di non dimenticare gli altri drammi e il sindaco Roberto Padrin invita tutti a un minuto di silenzio per le vittime del naufragio a Lampedusa. Il vescovo di Concordia-Pordenone, Giuseppe Pellegrini, nel corso della messa concelebrata nel cimitero monumentale, tuona sulla frana «antropologica e sociale» che oggi si abbatte sull’umanità. Alle 22.39, ora del disastro, il semplice suono di una campana avvolge il silenzio di una comunità e riassume più di ogni altra cosa il senso di un dolore che non sa trovare pace.

fonte: La Stampa, 9 ottobre 2013




«Una faccenda personale». Per Dino Buzzati, bellunese, la tragedia del Vajont fu prima di tutto questo: una drammatica storia «dei suoi paesi, della sua gente». All'indomani del disastro, lo scrittore la raccontò in un articolo uscito sul «Corriere della Sera» l'11 ottobre del 1963. In questa pagina lo ripubblichiamo integralmente in occasione del cinquantesimo anniversario del Vajont.

Stavolta per il giornalista che commenta non c'è compito da risolvere, se si può, con il mestiere, con la fantasia e col cuore. Stavolta per me, è una faccenda personale. Perché quella è la mia terra, quelli i miei paesi, quelle le mie montagne, quella la mia gente. E scriverne è difficile. Un po' come se a uno muore un fratello e gli dicono che a farne il necrologio deve essere proprio lui.
Conosco quei posti così bene, ci sono passato tante centinaia e forse migliaia di volte che da lontano posso immaginare tutto quanto come se fossi stato presente. Per gli uomini che non sanno, per i paesi antichi e nuovi sulla riva del Piave, là dove il Cadore dopo tante convulsioni di valloni e di picchi apre finalmente la bocca sulla pianura e le montagne per l'ultima volta si rinserrano le une alle altre, è soltanto una bellissima sera d'ottobre. In questa stagione l'aria è lassù limpida e pura e i tramonti hanno delle luci meravigliose.
Ecco, il sole è scomparso dietro le scoscese propaggini dello Schiara, rapidamente calano le ombre, giù dalle invisibili Dolomiti comincia a soffiare un vento freddo, qua e là si accendono i lumi, i buoi si assopiscono nelle stalle, gruppetti di operai dalla fabbrica di faesite pedalano canterellando verso casa, un'eco di juke box con la rabbiosa vocetta di Rita Pavone esce dal bar trattoria con annessa colonnetta di benzina, rare macchine di turisti passano sulla strada di Alemagna, la stagione delle vacanze è finita.
Proprio di fronte a Longarone la valle del Vajont è già buia, più che una valle è un profondo e sconnesso taglio nelle rupi, un selvaggio burrone, mi ricordo la straordinaria impressione che mi fece quando lo vidi per la prima volta da bambino. A un certo punto la strada attraversava l'abisso, da una parte e dall'altra spaventose pareti a picco. Qualcuno mi disse che era il più alto ponte d'Italia, con un vuoto, sotto, di oltre cento metri. Ci fermammo e guardai in giù col batticuore.
Bene, proprio a ridosso del vecchio e romantico ponticello era venuta su la diga e lo aveva umiliato. Quei cento metri di abisso erano stati sbarrati da un muro di cemento, non solo: il fantastico muraglione aveva continuato ad innalzarsi per altri centocinquanta metri sopra il ponticello e adesso giganteggiava più vertiginoso delle rupi intorno, con sinuose e potenti curve, immobile eppure carico di una vita misteriosa.
Notte. Due finestre accese nella cabina comandi centralizzati, nell'acqua del lago artificiale si specchia una gelida falcetta di luna, ronzii nei fili, giù nel tenebroso botro lo scroscio dello scarico di fondo, a Longarone, Faè, Rivalta, Villanova dormono, ma c'è ancora qualcuno che contempla il video, qualcuno nell'osteria intento all'ultimo scopone. In quanto alle montagne, esse se ne stanno immobili, nere e silenziose come il solito.
No, a questo punto l'immaginazione non è più capace di proseguire, la valle, i monti, i paesi, le case, gli uomini, tutto riesco ad immaginare nella notte tranquilla poiché li conosco cosi bene, ma adesso non bastano la consuetudine e i ricordi. Come ricostruire con la mente ciò che è accaduto, la frana, lo schiantamento delle rupi, il crollo, la cateratta di macigni e di terra nel lago? E l'onda spaventosa, da cataclisma biblico, che è lievitata gonfiandosi come un immenso dorso di balena, ha scavalcato il bordo della diga, è precipitata a picco giù nel burrone avventandosi, terrificante bolide di schiume, verso i paesi addormentati?
E il tonfo nel lago, il tremito della terra, lo scroscio nell'abisso, il ruggito folle dell'acqua impazzita, il frastuono della rovina totale, coro di boati, stridori, rimbombi, cigolii, scrosci, urla, gemiti, rantoli, invocazioni, pianti? E il silenzio alla fine, quel funesto silenzio di quando l'irreparabile è compiuto, il silenzio stesso che c'è nelle tombe?
Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d'acqua e l'acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. Non è che si sia rotto il bicchiere, quindi non si può, come nel caso del Gleno, dare della bestia a chi l'ha costruito. Il bicchiere era fatto a regola d'arte, testimoniava della tenacia, del talento e del coraggio umani.
La diga del Vajont era ed è un capolavoro perfino dal lato estetico. Mi ricordo che, mentre la facevano, l'ingegnere Gildo Sperti della Sade mi portò alla vicina centrale di Soverzene dove c'era un grande modello in ottone dello sbarramento in costruzione. Ed era una scultura stupenda, Arp e Brancusi ne sarebbero stati orgogliosi.
Intatto, di fronte ai morti del Bellunese, sta ancora il prestigio della scienza, della ingegneria, della tecnica, del lavoro. Ma esso non è bastato. Tutto era stato calcolato alla perfezione, e quindi realizzato da maestri, la montagna, sotto e ai lati, era stata traforata come un colabrodo per una profondità di decine e decine di metri e quindi imbottita di cemento perché non potesse poi in nessun caso fare dei brutti scherzi, apparecchiature sensibilissime registravano le più lievi irregolarità o minimi sintomi di pericolo. Ma non è bastato.
Ancora una volta la fantasia della natura è stata più grande ed astuta che la fantasia della scienza. Sconfitta in aperta battaglia, la natura si è vendicata attaccando il vincitore alle spalle. Si direbbe quasi che in tutte le grandi conquiste tecniche stia nascosta una lama segreta e invisibile che a un momento dato scatterà.
Intatto, e giustamente, è il prestigio dell'ideatore, dell'ingegnere, del progettista, del costruttore, del tecnico, dell'operaio, giù giù fino all'ultimo manovale che ha sgobbato per la diga del Vajont. Ma la diga, non per colpa sua è costata duemila morti. I quali morti non sono della Cina o delle Molucche, ma erano gente della mia terra che parlavano come me, avevano facce di famiglia e chissà quante volte ci siamo incontrati e ci siamo dati la mano e abbiamo chiacchierato insieme.
E il monte che si è rotto e ha fatto lo sterminio è uno dei monti della mia vita il cui profilo è impresso nel mio animo e vi rimarrà per sempre. Ragione per cui chi scrive si trova ad avere la gola secca e le parole di circostanza non gli vengono. Le parole incredulità, orrore, pietà, costernazione, rabbia, pianto, lutto, gli restano dentro col loro peso crudele.

fonte: Corriere della Sera

lunedì 7 ottobre 2013

A Matera, sul monte della Passione




The Passion (2004): sullo sfondo i Sassi di Matera

Negli ultimi 50 anni, i Sassi e la Murgia di Matera hanno costituito, in molte occasioni, lo scenario ideale per la realizzazione di film a carattere religioso: da "Il Vangelo secondo Matteo" di Pier Paolo Pasolini (1964) a "King David"" di Bruce Beresford (1985) a "The Passion" (2004) di Mel Gibson a "The Nativity Story" (2006) di Catherine Hardwicke.

Pasolini durante la realizzazione de "Il Vangelo secondo Matteo" (1964)
 


In "The Passion" (film Premio Oscar 2005) la Via Crucis verso il Golgota è stata realizzata tra via Muro nel Sasso Caveoso e Murgia Timone mentre l'antica porta di Gerusalemme in largo Madonna delle Virtù e la casa-falegnameria di Gesù a Masseria Radogna.


Il regista Mel Gibson a Matera durante le riprese di "The Passion" (2004)


Ricorda, a tale proposito, il regista Mel Gibson: “Alcune parti della città sono antiche di 2000 anni, e l’architettura, i blocchi di pietra, le zone circostanti e il terreno roccioso aggiungevano una prospettiva ed uno sfondo che noi abbiamo usato per creare i nostri imponenti set di Gerusalemme. Abbiamo fatto molto affidamento sulla vista che c’era li’. In effetti la prima volta che l’ho vista, ho perso la testa, perché era semplicemente perfetta.”


In questi giorni, una delegazione dello Sci Club ha voluto rivivere l'atmosfera di quei set cinematografici visitando la zona dei Sassi e della Murgia:

Un'immagine del Sasso Caveoso
 
Murgia Timone: la montagna della crocifissione del film "The Passion"




La casa-grotta di Casalnuovo (abitata fino al 1959)

Da "vergogna nazionale" a componente della lista del patrimonio mondiale Unesco: questo è stato il cammino percorso dalla fine degli anni '50 (epoca del trasferimento di circa 20.000 abitanti nei nuovi quartieri cittadini) al 1993, quando i Sassi di Matera furono inseriti nella lista  dei beni culturali tutelati a beneficio dell'umanità.
Ed oggi Matera aspira, a buon diritto, al titolo di Capitale Europea della Cultura 2019.


Ed infine, un'immagine di buon auspicio per l'imminente stagione sportiva:


domenica 6 ottobre 2013

La vera storia


 
L’ambizione dichiarata, fin dal sottotitolo, è di raccontare la sua "vera storia". Di sicuro c’è che Karol Wojtyla Opera Musical, prodotto da Mauro Longhin per Cicuta, con il patrocinio della fondazione Giovanni Paolo II e della Consulta nazionale per le aggregazioni laicali, è un lavoro che genera da subito un certo interesse.


O almeno questa è l’impressione che ne hanno lasciato le anticipazioni, poche, date ieri alla stampa al teatro Brancaccio di Roma. Un interesse che la presenza di Duccio Forzano, regista noto per lo più per i suoi lavori televisivi (Che tempo che fa e Stasera pago io), contribuisce ad alimentare: «L’ho incontrato solo una volta nella vita, in occasione del concerto per il suo ottantesimo compleano trasmesso dalla Rai di cui io ero regista – spiega – e sono stato investito da una carica di energia e pace che non ho mai ritrovato nella mia vita».


L’intenzione è quella di «far capire chi era questo ragazzo, quest’uomo, attraverso esperienze drammatiche o anche felici. Una sorta di puzzle che si è formato fino a dargli una visione esatta di quello che voleva fare». Raccontare l’uomo soltanto però non esclude la dimensione religiosa che da sempre lo ha accompagnato: «Il mondo che lo circondava era pregno di questo aspetto.


La madre era molto credente ma non lo ha forzato, gli ha dato delle sensazioni, delle informazioni che lui ha elaborato a modo suo per poi fare le sue scelte». L’inizio di questa versione della storia di Wojtyla ha una data precisa: un video (altra passione di Forzano, ce ne saranno diversi nell’opera) racconta l’attentato di Piazza San Pietro del 13 maggio 1981 e trasporta chi guarda nella mente di Giovanni Paolo II. In un flashback si torna a Wadowice. Ora c’è il piccolo Lolek che si presenta assieme alla sua famiglia: «Da qui – scriverà poi Wojtyla stesso – è cominciato tutto».



Per ora le coreografie affidate a Marco Sellati si possono soltanto immaginare come anche i dialoghi dei tre autori, Donatella Damato, Gaetano Stella e Patrizia Barsotti. Il musical sarà presentato integralmente solo a fine dicembre. Ancora da definire le date del tour che toccherà le principali città italiane (è invece in corso di definizione un passaggio in Sud America). 



Di sicuro c’è il rientro al Brancaccio di Roma previsto per il 15 aprile, nei giorni della canonizzazione di Giovanni Paolo II. Intanto rimane la certezza della voce dolce e magnetica di Noa, cantautrice yemenita ed ebrea che per Giovanni Paolo II ha cantato in più di un’occasione. Si mostra coinvolta nel progetto e intimamente legata alla figura di Wojtyla: «Non sono religiosa ma credo nei valori umani, gli stessi che hanno animato il pontificato di Giovanni Paolo II – dice – Ha avuto il merito di enfatizzare le cose che ci uniscono piuttosto che quelle che ci dividono.


Lui e papa Francesco sono il genere di leader religiosi di cui abbiamo bisogno». Noa ieri ha presentato due sue canzoni inedite, assieme al chitarrista Gil Dor, che l’accompagna da anni, e al Solis String Quartet (autore delle musiche dello spettacolo). Della cantante ne arriveranno altri tre più una nuova versione dell’Ave Maria.


Fonte: Matteo Marcelli, Avvenire, 25 settembre 2013

martedì 1 ottobre 2013

Tu rendi saldi i monti



A te si deve lode, o Dio, in Sion; *
a te si sciolga il voto in Gerusalemme.
A te, che ascolti la preghiera, *
viene ogni mortale.

Pesano su di noi le nostre colpe, *
ma tu perdoni i nostri peccati.

Beato chi hai scelto e chiamato vicino, *
abiterà nei tuoi atri.
Ci sazieremo dei beni della tua casa, *
della santità del tuo tempio.

Con i prodigi della tua giustizia, †
tu ci rispondi, o Dio, nostra salvezza, *
speranza dei confini della terra e dei mari lontani.

Tu rendi saldi i monti con la tua forza, *
cinto di potenza.

Tu fai tacere il fragore del mare, †
il fragore dei suoi flutti, *
tu plachi il tumulto dei popoli.

Gli abitanti degli estremi confini *
stupiscono davanti ai tuoi prodigi:
di gioia fai gridare la terra, *
le soglie dell'oriente e dell'occidente.

Tu visiti la terra e la disseti: *
la ricolmi delle sue ricchezze.
Il fiume di Dio è gonfio di acque; *
tu fai crescere il frumento per gli uomini.

Così prepari la terra: †
ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, *
la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli.

Coroni l'anno con i tuoi benefici, *
al tuo passaggio stilla l'abbondanza.
Stillano i pascoli del deserto *
e le colline si cingono di esultanza.

I prati si coprono di greggi, †
di frumento si ammantano le valli; *
tutto canta e grida di gioia.



Salmo 64