«Mi
sono domandato tante volte, trovandomi a contatto con l’anima del
popolo polacco – scriveva il giovane Giovanni Battista Montini nel
settembre del 1923 – che cosa mai finalmente sia il valore di questi
termini, tanto spesso usurpati dal linguaggio comune: popolo, nazione,
nazionalità, patria, stato, governo, politica, patriottismo». Il futuro
Paolo VI si trovava in quel periodo a Varsavia, in servizio presso la
nunziatura apostolica, dove restò fino alla fine di quell’anno, e scrutò
con ammirazione il popolo polacco, del quale imparò ad apprezzare la
fede tanto radicalmente vissuta da costituire il principale elemento
dell’identità nazionale. «L’anima della Polonia – concludeva Montini –
cacciata, perseguitata, oltraggiata dai conquistatori, aveva sempre
trovato nel Tempio il suo rifugio, fino a conservarvi, nella fede e
nella preghiera, la ragione di esistere. Perché 'polacco' vuol dire
'cattolico'». I legami del futuro pontefice con la martoriata terra
polacca, vessata e sottoposta dapprima alla violenza nazista e poi alla
dittatura del regime comunista, non si interruppero con il suo rientro
in Italia, ma rimasero vivi nel tempo, continuando in particolare negli
anni dell’episcopato milanese e intensificandosi durante il pontificato.
Diversa documentazione conservata
nell’archivio diocesano milanese, attesta l’interesse e l’immutata
attenzione dimostrata da Montini verso la nazione polacca. Rivolgendosi a
un sacerdote che gli raccontava la difficile situazione nella quale si
trovava la sua patria, e la triste condizione di prigionia del
cardinale primate Wyszynski, l’allora arcivescovo Montini scriveva nel
dicembre del 1955: «Non sono insensibile alla passione della Chiesa
polacca, a me sempre tanto cara. La sua sofferenza impegna il dolore di
tutta la Chiesa; la sua resistenza si allinea nel grande disegno eroico e
spirituale delle sue tradizioni; le figure dei suoi figli,
ecclesiastici e laici, che soffrono per la fedeltà a Cristo ed al Papa,
parlano al cuore di tutti i cattolici; quelle specialmente del card.
Wyszynski e degli altri vescovi ingiustamente sottratti al loro
ministero hanno il plauso e l’adesione che si deve ai confessori della
fede; e quest’ora dolorosa della Polonia è ancora un’ora di gloria e di
speranza per questo grande Paese cattolico. Io stesso, nella festa dei
Santi Pietro e Paolo, ho voluto fare un cenno esplicito alla passione
dell’Eminentissimo Primate di Polonia».
Solo alcuni anni più
tardi, nel 1962, durante la prima sessione del Concilio Vaticano II, il
cardinale Montini conobbe il giovane vescovo polacco Karol Wojtyla
(futuro Giovanni Paolo II, del quale oggi la Chiesa celebra la prima
memoria liturgica dopo la canonizzazione). Questi, in qualità di Vicario
capitolare della diocesi di Cracovia, fece al cardinale Montini una
richiesta simbolica che esplicitasse l’amicizia tra l’arcidiocesi di
Cracovia e la Chiesa di Milano, custode della memoria di San Carlo, del
quale Wojtyla portava il nome e per il quale nutriva una profonda
devozione. Il futuro Paolo VI accolse benevolmente la proposta di
offrire alla parrocchia di San Floriano in Cracovia – ove Wojtyla aveva
prestato servizio alla fine degli anni Quaranta – tre campane, in
sostituzione di quelle distrutte durante la II guerra mondiale. «Si
trattava di un simbolo, di un segno di unità tra le chiese – avrebbe
riconosciuto Wojtyla – Il cardinale Montini lo capì subito e diresse la
conversazione sui suoi ricordi personali della Polonia, dove aveva
soggiornato quando lavorava alla nunziatura di Varsavia, e dove una
volta fu testimone della rimessa in opera di campane un tempo asportate,
durante la I guerra mondiale e poi deposte su un grande prato». Due
anni dopo proprio Paolo VI nominò Wojtyla arcivescovo di Cracovia e lo
creò cardinale nel 1967: il pontefice, che l’anno prima dovette
rinunciare al proposito di recarsi in Polonia per celebrare il Millennio
di Battesimo della nazione polacca, ricevette l’arcivescovo di Cracovia
ben venti volte personalmente e altre quattro con il cardinale
Wyszynski o altri vescovi polacchi. Il legame tra Montini e Wojtyla fu
indubbiamente cementato anche dalla sintonia creatasi tra i due in
merito alle questioni di carattere etico e morale. L’arcivescovo di
Cracovia aveva dato il suo contributo alla stesura della costituzione
conciliare Gaudium et spes.
La questione della
procreazione responsabile e del controllo delle nascite, che venne
demandata alla «Commissione di studio per i problemi della popolazione,
della famiglia e della natalità», di cui faceva parte anche Wojtyla,
angustiava particolarmente il Pontefice. «Gli incontri con Paolo VI
divennero più frequenti e regolari da quando mi chiamò a far parte del
Collegio cardinalizio – ricordò il futuro Giovanni Paolo II all’indomani
della morte di Papa Montini –. Quasi ogni volta che venivo a Roma, e
quindi in media due volte all’anno, avevo la gioia di essere ricevuto in
udienza e parlare col Santo Padre. Ma ricordo particolarmente
l’incontro prima della convocazione al Collegio dei Cardinali. Era
l’aprile del 1967. Non dimenticherò mai ciò che disse allora il Papa
parlando della preparazione del documento che uscì un anno dopo come
enciclica Humanae vitae. Poiché facevo parte di una commissione
di specialisti alla cui sessione, nel giugno 1966, purtroppo non avevo
potuto partecipare, avevo inviato al Santo Padre il mio parere per
iscritto».
Paolo VI avviò subito la conversazione su
quell’argomento, e poi aggiunse: 'Se si trovasse in Polonia, a Cracovia,
qualche persona che per quella difficile questione desiderasse offrire
le sue preghiere a Dio, e soprattutto le sue sofferenze: mi sta molto a
cuore'. Di queste persone se ne trovarono molte. Ma io allora compresi
quale fosse il peso del problema davanti al quale si trovava Paolo VI,
come supremo Maestro e Pastore della Chiesa».
Nell’ottobre del 1968, dopo la promulgazione della Humanae vitae,
venne pubblicato in traduzione italiana il volume di Karol Wojtyla
'Amore e responsabilità', apparso per la prima volta in polacco nel
1960. L’edizione italiana del volume dell’arcivescovo di Cracovia aveva
la prefazione del cardinale Giovanni Colombo: per il successore di
Montini a Milano l’opera di Wojtyla, pensata e pubblicata «prima della
costituzione pastorale Gaudium et spes, prima dell’enciclica Humanae vitae
è talmente consonante con la concezione personalistica dell’amore a cui
si ispirano quei due altissimi documenti, è talmente convergente nelle
medesime norme morali, che ne pare quasi un commento posteriore».
Durante i quindici anni del pontificato paolino furono inoltre compiute tre visite ad limina
dei vescovi polacchi. «Mi ha sempre stupito – dichiarò il cardinale
Wojtyla il 21 agosto del 1978 – come il Papa si preparasse
scrupolosamente alle udienze, quanto desiderasse renderle fruttuose,
entrare nel problema che gli veniva prospettato, rispondere alle
aspettative, instaurare un contatto personale. Il momento più commovente
era quando egli stesso cominciava a parlare dei problemi della Chiesa –
spesso anche della chiesa in Italia, nella stessa Roma: quando ciò che
diceva prendeva la forma di un colloquio confidenziale, quando dava
sfogo a ciò che gli pesava, che lo addolorava. L’interlocutore si
sentiva allora particolarmente impegnato, partecipando in tal modo a
quella sollicitudo omnium Ecclesiarum realmente paolina,
alla preoccupazione per tutte le Chiese, per tutti i problemi più
urgenti della Chiesa». Ma «il ricordo più forte di Paolo VI» per il suo
secondo successore, fu legato all’incontro particolare della primavera
del 1976 quando Papa Montini invitò proprio l’arcivescovo di Cracovia a
predicare in Vaticano gli esercizi spirituali per la Quaresima.
«L’ultimo giorno mi ringraziò – confidò il cardinale Wojtyla –
ricevendomi in udienza privata appena terminati gli esercizi. Ricordai
più tardi che aveva preso appunti del testo delle lezioni».
Quegli appunti schematici furono resi noti nel 2005, dopo la morte di
Giovanni Paolo II. Tra le principali questioni evidenziate, Paolo VI ne
individuava quattro in particolare: «1- mistero dell’uomo - risposte
contrastanti del pensiero moderno; 2 - antropologia antropocentrica; 3
-liberazione; 4 - dignità della natura umana […] La Verità che salva
[…]. Triste situazione in Paesi dove questa libera testimonianza è
soffocata. E come spesso il magistero della Chiesa è 'signum
contradictionis' per essere testimonio di quella verità che coincide con
la dignità e la salvezza dell’uomo[…] Il peccato offende l’uomo stesso
che lo commette, offende la società, offende Dio. Esige un castigo. Cfr.
regimi totalitari! Il castigo è pur un richiamo alla giustizia».
Tuttavia
Papa Montini giungeva alla conclusione che «andiamo verso la fine del
sec. XX – si possono prevedere grandi prove – con grandi speranze». Con
sguardo profetico, Paolo VI prefigurò, anche in quelle sintetiche righe,
il difficile cammino che attendeva la Chiesa, alle soglie del nuovo
millennio. Ma a condurla sarebbe stato proprio colui che aveva ispirato
quelle sue considerazioni: Papa Wojtyla, che qualche tempo dopo la sua
elezione, volle ricordare il suo predecessore bresciano, dal quale aveva
ereditato la guida della Chiesa universale, chiamando Paolo VI con una
espressione molto significativa, «il mio vero padre», e rivelando con
queste parole tutta l’intensità del loro rapporto.
Fonte: Avvenire, Eliana Versace, Quando Paolo VI annotava le intuizioni di Wojtyla,
22 ottobre 2014

Nessun commento:
Posta un commento