domenica 22 marzo 2015

Il vascello di pietra alle pendici del Monte Murano


A Serra San Quirico per le Giornate FAI di Primavera (21-22 marzo 2015)



"La Serra sta in forma di galera facendo nell'estremo una punta aguzza, è posta in un colle che da ogni banda sta pendente, circondata da molti colli, et quello che gli è più vicino è un alto monte detto Murano verso ponente essendo così al tramontar del sole gli ne toglie un hora. In detta Serra ce spiranomventi settentrionali et de levante, che rendono l'aure salutifere e bone, et nelli colli ciu nascono odorifere et salutifere herbe, et è dotata de molte vene et fonti con bonissime acque" (D. Gaspari)


Lungo le mura...


Annibal Caro riservò un giudizio sprezzante ai Serrani:“Gente cui si fa notte innanzi sera; gente da basto, da bastone e da galera!” 



"Nella chiesa di Santa Lucia, le Marche intere posseggono uno dei più perfetti e ben conservati interni tra barocco e rococò, un'eleganza e compiutezza d'assieme, un caso assoluto che può essere apprezzato dal visitatore quando lo stesso avrà superato la memoria di una visione urbana severa, d'impronta medioevale ed avrà preso coscienza di una diversa cultura e civiltà, quella delle meraviglie, delle eleganze e delle sontuosità scenografiche che caratterizzano il periodo tra il Seicento e il Settecento" (Pietro Zampetti, La chiesa di Santa Lucia e i suoi dipinti).
 


 Wilma si trasforma in Cicerone






Il ricco reliquiario di Santa Lucia

Busto in argento del Beato Ugo: sul petto è incastonata la mascella


Gloria e Michela, guide d'eccezione...


Chiesa di San Filippo
La cantoria



In una Cronaca de’ Luoghi d’Italia, trascritta da Carlo Emilio Colelli prima del 1710, si legge: «In questa Terra si venera con gran concorso di popolo una Santa Spina di Nostro Signore, portatavi da un soldato, che tornò dalla guerra di Gerusalemme, la quale sta inclusa in un raggio d’argento con cristalli, e tutti i Venerdì di Marzo si dà a baciare al popolo con sontuoso apparecchio di fiaccole; e il venerdì vicino alla festa dell’Annunciazione della B.V. Maria, chi è in grazia la vede ocularmente fiorita, e nell’ottava di detta festa ritorna al suo primero stato.»


La Santa Spina compare nelle polverose carte degli Archivi solo a partire dal XVI secolo. Tant’è vero che negli Statuti Comunali, scritti a partire dalla seconda metà del 1400, nell’elencare le festività religiose non se ne fa menzione. Sicuramente è più che plausibile che Serra, possedendo soldati valorosi e di prestigio, ne abbia inviati alcuni in Terra Santa come protagonisti di una delle Crociate. E’ altrettanto possibile che la Spina, recata da uno di essi (tal Guido di Collamato, secondo alcuni) sia rimasta per lungo tempo proprietà privata, e solo in un secondo momento ceduta alla Chiesa Parrocchiale, e questo spiegherebbe le tardive notizie circa il culto pubblico della reliquia.


Ma dove ha origine questa storia? Tutto parte molti secoli prima, subito dopo l’Editto di Milano del 313, quando la madre dell’imperatore Costantino, Sant’Elena, volle recarsi in pellegrinaggio in Palestina (e sarà proprio un caso che, sempre a Serra San Quirico, lungo l’Esino, vi sia la splendida Abbazia proprio a lei intitolata e fondata da San Romualdo nei primi anni del Mille, proprio quando il fondatore dei Camaldolesi eresse la prima cappella in onore dei Santi Quirico e Giulitta?). Dopo scavi accurati, Sant’Elena riportò in Occidente parte della Croce, la Sindone e altri sacri cimeli, mentre la Corona rimase a Gerusalemme. Secoli dopo venne poi trasferita a Costantinopoli, dove fu custodita fino all’epoca della Sesta Crociata, a sua volta condotta da un altro santo coronato, San Luigi IX, Re di Francia. Era il 1237 quando l’imperatore latino Baldovino II la consegnò, già mancante di molte spine, ad alcuni mercanti veneziani in cambio di un considerevole prestito. Alla scadenza, Luigi IX acquistò la Corona dai veneziani e la portò a Parigi. Tuttavia, durante il viaggio, numerose spine vennero consegnate a chiese e santuari per ragioni meritorie particolari e tante altre furono donate dai successivi sovrani francesi a principi ed ecclesiastici come segno d’amicizia. Per tali motivi, numerosissime località francesi e italiane oggi si vantano di possedere una o più Sante Spine. Attualmente, la Corona, del tutto priva di spine, si conserva a Parigi, in una cappella della Basilica di Notre Dame.


Ma al di là della storia, la Santa Spina, come ogni altro trofeo religioso, non riguarda direttamente la scienza, ma soprattutto la fede. Per i serrani è perfettamente superfluo dimostrare con argomenti scientifici la provenienza, il donatore e l’anno d’arrivo di una povera spina nera di circa quattro centimetri, dalla punta tronca e leggermente ritorta, intorno alla quale per secoli si è sviluppato un culto di massa che è andato ben oltre i confini di Serra San Quirico. L’affluenza dei devoti e dei pellegrini nei venerdì di marzo portò infatti ad organizzare varie fiere e mercati, con un ritorno non indifferente per l’economia del paese. In molti ricordano ancora quando, lungo Corso del Popolo, in quei giorni vigeva il senso unico pedonale per meglio regolare l’enorme afflusso di folla.

Ma la devozione alla Santa Spina non è stata solo prerogativa del popolo.

Il 3 ottobre 1539, Papa Paolo III, al secolo Alessandro Farnese, tornando da Loreto in compagnia di sette cardinali e degli ambasciatori di Francia, Inghilterra, Portogallo e Venezia, salì in paese per venerare proprio la Santa Spina. Di quella visita si conserva memoria in una lapide in pietra scura oggi murata nel corridoio del Palazzo Comunale (fino ai primi anni del ‘900 era apposta invece esternamente sulla facciata) e il cui testo fu dettato da quell’Annibale Caro, allora segretario del Farnese, che dopo pochi anni tornò ospite di Serra per altre faccende e con ben altro spirito.

Tante sono le leggende popolari che testimoniano la potenza taumaturgica della Santa Spina.

In una di queste, si narra di come si riuscì a fermare l’imminente saccheggio della città da parte dei Goti proprio esponendo la reliquia in processione nella zona del Colle, sullo sperone estremo delle mura, ultimo baluardo contro la furia distruttrice dei barbari. Inspiegabilmente, alla vista della Spina, i cavalli si fermarono e piegarono le zampe anteriori, come per mettersi in ginocchio, e Serra fu salva.

Si racconta inoltre che un predicatore, venuto per la Quaresima, riuscì a trafugare la Spina, sostituendola con un’altra simile. Ma giunto a Porta Pesa, mentre era sul punto di varcarla e uscire dal paese, venne colto da atroci dolori e fu costretto a ritornare nella Pieve, dove i dolori cessarono immediatamente. Il religioso capì allora che la Santa Spina non aveva nessuna intenzione di abbandonare Serra San Quirico e, preso dal panico per questa manifestazione sovrannaturale, ripartì in fretta e furia, subito dopo aver rimesso al suo posto la Spina, ma dimenticandosi di togliere la copia. Come fare a riconoscere quella autentica? Il Pievano decise di buttarle entrambe in un braciere acceso: in pochi istanti la spina falsa s’incenerì, mentre l’altra non subì danno alcuno.


E chissà, forse questa è una delle storie alla base della storica avversione dei serrani a spostare la Santa Spina. Basti pensare che nel 1600 il tabernacolo che la ospitava era munito di ben quattro chiavi, custodite rispettivamente dal Pievano, dal Sindaco e da due deputati, e l’apertura del prezioso scrigno non poteva avvenire che alla presenza di tutti e quattro. Dopo il violento terremoto che nel 1741 rase al suolo mezza città, la Santa Spina venne ospitata nella chiesa di San Filippo Neri, l’unica rimasta in piedi, fino a quando i lavori di restauro non vennero completati nel 1746; ma prima di effettuare la traslazione, vennero firmati documenti formali alla presenza di notai e prestando svariate garanzie. 

Il 18 settembre 1841, un altro Papa, il pontefice Gregorio XVI, anch’egli di ritorno da Loreto, volle venerare la reliquia, ma, per urgenti impegni di governo in quel di Roma, non ebbe tempo di salire in paese: per la prima volta, la Santa Spina lasciò il cerchio delle mura castellane. Non fu però l’ultima volta. Il 9 febbraio del 1944, in piena occupazione nazista, il Comandante Pasken, sebbene non cattolico, volle una processione per ottenere quanto prima la fine del conflitto. Vi prese parte tutto il popolo, compresi i partigiani (i “Lupi di Serra”) che per l’occasione fecero ritorno dalla montagna. La Santa Spina fu portata a valle, fino al Borgo della Stazione. Non vi fu nessun rastrellamento da parte dei tedeschi, nessuna raffica da parte degli aerei alleati che sorvolavano continuamente la zona. E forse fu quello l’ennesimo miracolo della Santa Spina.


Il 18 febbraio 1991, Giovanni Paolo II era in visita pastorale nella diocesi di Camerino – San Severino. Quella sera ebbe un incontro memorabile con i giovani e il giorno successivo, festa di San Giuseppe, incontrò a Fabriano i lavoratori delle Industrie Merloni. Don Mauro Costantini, compianto parroco di Serra San Quirico, sapendo dell’estrema gelosia dei serrani nei confronti della propria reliquia, decise di portare la Spina al Santo Padre in gran segreto, d’accordo con Don Decio Cipolloni, già Pievano prima di lui e in quegli anni responsabile della pastorale giovanile della diocesi. Alle 13.30, Don Mauro portò fuori dalla chiesa l’ostensorio della Santa Spina avvolto in un panno. Ad aspettarlo in auto, subito fuori, Cinzia Cardelli e suo marito Elvio Evangelisti. Cinzia, memore delle leggende del paese, ebbe paura che appena varcate le mura, la macchina potesse improvvisamente fermarsi. Ed invece la Santa Spina arrivò tranquillamente a destinazione. Don Decio la prese in custodia nella sacrestia della cattedrale di Camerino e Giovanni Paolo II fu il terzo pontefice a venerare la Santa Spina di Serra San Quirico.

fonte:unduetreserra.wordpress.com


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