Associazione culturale e sportiva per la salvaguardia e la promozione dei valori della montagna
sabato 23 maggio 2015
I cento anni del Sudtirolo
Il protagonista del nuovo libro di Sebastiano Vassalli ha un nome inquietante. Io mi chiamo Odio.
Odio è un vecchio signore, purtroppo ancora vivo, che il 10 settembre
2019 «festeggerà» i suoi primi cento anni. È nato in quel 10 settembre
di un secolo fa a St. Germain-en-Laye laddove si doveva celebrare la
festa per la fine della Prima guerra mondiale e la nascita della sua
gemella (dell’Odio): la Pace. Quel giorno i potenti della terra di
allora decisero che il Sudtirolo sarebbe diventato terra italiana.
E da lì… Da lì il signor Odio ha dato il peggio di se stesso. Ha messo
contro gente che viveva (o avrebbe vissuto) la stessa terra, le stesse
valli, la stessa luce, lo stesso sole e le stesse nuvole. Ma, forse, il
signor Odio, alla lunga, non ha vinto. Forse «la notte è finita. Pur tra
molte nuvole è tornato il sole», scrive Vassalli nella nota
introduttiva a Il confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia,
pubblicato da Rizzoli. Questo libro, Vassalli, ce l’aveva scolpito nel
cuore e nel cervello da trentadue anni. Da quando andò in Sudtirolo /
Alto Adige nel 1983. La rivista «Panorama Mese» gli chiese di girovagare
un po’ da quelle parti a guardare il sole, il cielo, le valli, le
mucche, le tradizioni, i dialetti, i panorami, i sentieri di montagna,
l’acqua pulita.
Invece Vassalli trovò e raccontò l’anima sporca dell’Odio tra austriaci-tedeschi e italiani.
Essendo laico, Vassalli, svelò le cose come stavano, senza ideologia.
Osò dire il vero. Per sintetizzarlo ecco un piccolo saccheggio dalla
rubrica intitolata «Improvvisi» che fa per il «Corriere della Sera».
Parlava di Piazza della Vittoria a Bolzano e del monumento altrettanto
alla Vittoria (la piu’ brutta opera di quel genio che era Marcello
Piacentini, ma sappiamo che il bozzetto originale non era il suo ma di
quell’altro «genio» di Benito Mussolini). Nel 2002 quel genio di
Vassalli aveva trovato una soluzione, ma nessuno gli ha dato retta: né
quei fascistoidi degli italiani né quei fanatici sciovinisti dei
sudtirolesi. L’idea geniale era questa: «In realtà, quella piazza
dovrebbe intitolarsi come il romanzo di Dostoevskij, Delitto e castigo.
In Alto Adige, tanto tempo fa, c’è stato un delitto, quello degli
italiani che, nel ventennio fascista, hanno cercato di cancellare la
lingua e la cultura tedesca; e ora c’è un castigo, quello di tirolesi
che vincolano gli italiani a un duro status di immigrati, con una legge
“proporzionale” che non ha corrispondenti nel mondo». Sviluppando il
suo reportage del 1983, due anni dopo fece un libro altrettanto laico: Sangue e suolo.
Apriti cielo! Per i comunisti era un fascista o quantomeno un missino.
Per i fascisti era uno pseudointellettuale stalinista. Per fortuna, come
dice lui, Vassalli, le nuvole dell’ideologia si sono rarefatte.
E oggi questo illuminante libro nuovo, Il confine, farà capire agli incazzati italiani, che in Sudtirolo / Alto Adige sono ormai
una minoranza ma non perseguitata, che i loro bisnonni o trisnonni non
si sono comportati bene: molti erano camicie nere che manganellavano per
imporre la loro, la nostra lingua, le nostre chiese, le nostre scuole, i
nostri cartelli stradali, i nostri uffici pubblici dove si doveva
parlare rigorosamente in lingua italiana. E farà capire anche ai loro
vicini di casa austriaci (tedeschi li chiama pure, Vassalli) che sono
altrettanto stupidi a voler imporre una regola perversa che dice: ora
comandiamo noi, siamo la maggioranza! Adesso pare che in Sudtirolo /
Alto Adige il Partito democratico italiano e la Südtiroler Volkspartei
siano alleati. Che abbia ragione Vassalli: che le nubi si siano
diradate? Vassalli è un uomo negativo: non gli va mai bene niente. Ce
l’ha un po’ con tutti. Odia il potere e i potenti. Odia gli scrittori
finti che oggi imperversano. Si potrebbe dire di lui quello che lui ha
detto di un altro: Dino Campana: «Forse è proprio vero che i poeti
appartengono a una specie diversa, “primitiva”, “barbara”, da sempre
estinta eppure sempre in grado di rinascere come quella dell’araba
fenice».
In questo libro, Vassalli si concede qualche vezzo: si definisce scrittore ormai anziano, non storico di professione,
non sociologo, non politico. Si racconta come uno che ha incontrato le
cose per caso. No, le ha incontrate per fortuna nostra, di noi lettori.
Il confine, infatti, sconfina. Esce dai libri di storia. Non c’entra con
la sociologia e nemmeno con la politica. Racconta la mutazione di una
piccola terra dove chi comandava è diventato suddito di un re
prepotente, dove il re prepotente ha capito di aver esagerato e ha
ceduto i suoi diritti. Dove s’è creato «un ponte tra due mondi,
destinati da sempre a sopportarsi e a integrarsi a vicenda». Se lo dice
quel pessimista di Vassalli, dopo trentadue anni che ci ha pensato…
metti che sia vero. Vassalli scrive, sempre in questo libro abbastanza
politicamente corretto, Sudtirolo / Alto Adige tranne in alcuni casi:
quando si riferisce al Sudtirolo prima che diventasse mezzo (o tutto)
italiano. Nell’ultima frase si lascia andare. Occhio alla parola
«Imbarazzante». Conclude Vassalli: «I cento anni dal trattato di
St.Germain: i cento anni del Sudtirolo in Italia, sono un anniversario
imbarazzante e importante, che secondo me non può essere ignorato. Io ho
voluto ricordarlo raccontando una storia. Una grande storia». Il
contrario di quello che scriveva Fabrizio De André: Una storia
sbagliata. No, una storia vera ma che per quelli che non capiscono
l’intuizione di Vassalli resta una storia sbagliata. Vaglielo a
spiegare. Forse questo libro…
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