mercoledì 22 ottobre 2014

Prima festa di S. Giovanni Paolo II: il ricordo della visita a Fabriano


Oggi 22 ottobre, in occasione della storica prima  festa di S. Giovanni Paolo II, vogliamo ricordare la visita del Papa alla città di Fabriano, risalente al 19 marzo 1991.
L'evento è perennemente ricordato da una lapide apposta nell'abside della Cattedrale di S. Venanzio.


Pubblichiamo, di seguito, i  tre discorsi ufficiali  pronunciati dal Papa durante la visita.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI LAVORATORI DELLE INDUSTRIE MERLONI
E DI ALTRE AZIENDE FABRIANESI
Martedì, 19 marzo 1991
 
Carissimi fratelli e sorelle delle Industrie Merloni!
1. Ringrazio di cuore il Signore per l’opportunità che mi ha accordato di celebrare la solennità di San Giuseppe insieme a voi, lavoratori delle Industrie Merloni e di tutte le altre aziende e componenti del lavoro fabrianese, nel quadro di questa visita pastorale alla Diocesi di Fabriano. Quella odierna è una giornata non più festiva nel calendario civile, ma pur sempre dedicata alla venerazione del grande Santo, alle cui cure è stato affidato il Figlio di Dio, fattosi uomo per la nostra salvezza.
Attraverso di voi, carissimi fratelli e sorelle, intendo salutare il mondo del lavoro delle Marche, che si distingue per un notevole benessere economico. Saluto il Pastore della vostra Diocesi, Monsignor Luigi Scuppa e i Sacerdoti che lo coadiuvano nel ministero pastorale e specialmente nel mondo del lavoro; saluto l’Onorevole Gerardo Bianco, Ministro della Pubblica Istruzione Rappresentante del Governo Italiano e il Sindaco di Fabriano: li ringrazio entrambi per le gentili parole di benvenuto; saluto gli Onorevoli Presidenti della Regione e della Provincia, l’Onorevole Arnaldo Forlani, Segretario politico della Democrazia Cristiana e tutte le Autorità qui presenti.
Rivolgo un cordiale ringraziamento al Presidente della Fondazione Merloni e al vostro rappresentante aziendale per le cortesi espressioni con cui mi hanno illustrato l’attività e le prospettive di sviluppo delle Industrie Merloni, il vostro lavoro e le difficoltà alle quali siete confrontati. Un pensiero affettuoso lo dirigo, inoltre, agli Amministratori delle Industrie Merloni, a tutte le Maestranze, alle vostre famiglie e alla popolazione della vostra laboriosa Città.
Il progresso materiale, che in questi anni avete conosciuto, vi stimoli a sentimenti di costante gratitudine verso la divina Provvidenza e mai vi distragga dal prestare interiore adesione ai valori assoluti e trascendenti sui quali soltanto si può costruire l’autentica vita dell’uomo. L’esistenza è dono, vocazione e servizio; non può quindi ridursi a mera ricerca di beni materiali pur utili, ma incapaci di soddisfare la sete d’infinito del nostro cuore. Occorre pertanto che l’impegno lavorativo non monopolizzi ogni risorsa fisica e spirituale in funzione del tornaconto materiale, ma sia vissuto come partecipazione all’opera del Creatore e, in un certo senso, come suo ulteriore sviluppo e completamento, nella prospettiva di un razionale utilizzo delle risorse e dei valori racchiusi nel creato (Ioannis Pauli PP. II, Laborem Exercens, 25).
È stato questo l’atteggiamento col quale ha atteso alla quotidiana fatica Giuseppe, il santo artigiano, che oggi ricordiamo nella sua missione di fedele custode del Redentore.
2. La sollecitudine di Giuseppe nei confronti di Colui che i contemporanei identificheranno come suo “figlio” (cf. Mt 13, 55; Lc 3, 23) richiedeva che egli provvedesse al suo sostentamento mediante il lavoro di falegname nel villaggio di Nazaret.
In questo modo, alla dignità originaria del lavoro, in quanto “dimensione fondamentale dell’esistenza dell’uomo sulla terra” (Ioannis Pauli PP. II, Laborem Exercens, 4), se ne aggiungeva un’altra: con il lavoro quotidiano lo sposo di Maria forniva il necessario sostegno alla Sacra Famiglia, prototipo di tutte le famiglie.
È dunque legittimo, carissimi fratelli e sorelle, scorgere in Giuseppe lavoratore il modello di ogni umana occupazione lavorativa, con la quale si provvede all’indispensabile sostentamento di se stessi e dei propri cari, e si realizzano al tempo stesso attitudini, talenti e qualità personali. Il raffronto appare anche più convincente, se si pensa che, come non di rado accade anche oggi, il Figlio seguì le orme del padre putativo, apprendendo da lui le tecniche del mestiere. È noto infatti che la gente di Nazaret qualificava Gesù come il “falegname”, il “carpentiere” (Mc 6, 3), alla stregua di Giuseppe.
Sono constatazioni che ci aiutano a comprendere quanto alta sia la dignità della vocazione umana e cristiana di chi lavora. Non è necessario rivolgersi ad ideologie fuorvianti per dare al lavoro umano il rilievo che gli spetta. Basta soffermarsi a contemplare lo svolgersi ordinario della vita familiare nella casa di Nazaret per capire fino in fondo la nobiltà, i diritti e i doveri che accompagnano e qualificano la fatica umana.
Ci aiuta in questo approfondimento spirituale anche l’odierna solennità che Dio ha voluto celebrassimo insieme.
3. Non posso non richiamare, a questo punto, un avvenimento significativo, che la Chiesa s’appresta a commemorare nel corso di quest’anno. Intendo riferirmi al centenario dell’Enciclica Rerum Novarum, promulgata dal papa Leone XIII, il 15 maggio 1891.
Ricordano questo anniversario con molteplici manifestazioni varie organizzazioni italiane ed internazionali, sindacati e federazioni lavorative, università e altre istituzioni. Cento anni fa, in un momento in cui si avviava il moderno processo di industrializzazione sulla base di criteri ben poco rispettosi della dignità umana del lavoro, con conseguente sfruttamento di uomini, donne e persino bambini, la Chiesa levava coraggiosamente la sua voce a difesa della persona, denunciando chiaramente la “condizione degli operai” costretti a lavorare in situazioni disumane e senza alcuna tutela giuridica e sociale. Essa si preoccupava, inoltre, di difendere la loro dignità dalle insidie tese al mondo del lavoro da ideologie atee e materialiste, che pur proponendosi lodevolmente di lottare contro gli abusi e le ingiustizie, lo facevano ricorrendo a principi e metodi incompatibili con la libertà e la dignità del lavoratore. Profetico fu, senz’altro, l’intervento di Leone XIII e vasta eco ha avuto nel corso dei passati decenni. Io stesso ho voluto riprendere i temi dominanti con l’Enciclica Laborem Exercens, ed intendo ritornare sull’argomento con una nuova Enciclica, che sto preparando.
4. Certo oggi la “condizione” degli operai è notevolmente migliorata, almeno in quei Paesi che hanno potuto trarre beneficio da un promettente sviluppo tecnologico, accompagnato da legislazioni adeguate e da provvedimenti amministrativi opportuni, che hanno favorito la crescita di una cultura di considerazione e di rispetto per il lavoratore.
Non vanno, però, dimenticati tanti altri lavoratori e lavoratrici, che, specialmente, nell’emisfero Sud del mondo, stentano ancora a vedere soddisfatte le loro più elementari esigenze e sono mortificati nella loro dignità di persone. Non vanno neppure dimenticati quanti, nelle nazioni cosiddette industrializzate, e anche qui in Italia, non godono appieno dei diritti spettanti a chi lavora. Mi riferisco, ad esempio, alle donne discriminate nel loro impiego, ai bambini sfruttati, ai giovani disoccupati, ai lavoratori in cassa integrazione, agli handicappati praticamente emarginati, agli immigrati non rispettati nelle loro legittime attese. Non sono essi vittime impotenti dell’egoismo e della sete sregolata del profitto o, quanto meno, dell’indifferenza e dell’incuria di chi si preoccupa solo del proprio benessere?
Mi sento vicino a coloro che così soffrono, perché privati dei loro diritti elementari pur sanciti da Dichiarazioni, Patti e Convenzioni Internazionali. Manifesto loro, insieme a voi, la mia solidarietà e la solidarietà della Chiesa, sperando che presto, grazie allo sforzo di tutti, si possano superare tali squilibri che umiliano la dignità della persona.
5. Per quanto mi è stato detto, il vostro gruppo sorto 60 anni or sono con una scelta imprenditoriale che presenta diversi caratteri di originalità, ha cercato sempre di svilupparsi a misura d’uomo e d’ambiente. Il tipo di insediamento industriale perseguito, che rifiuta il modello della grande fabbrica e si articola in stabilimenti di media dimensione, sparsi su ampio territorio ed installati vicino ai luoghi di residenza dei lavoratori, secondo il principio che il lavoro deve avvicinarsi alle persone e non viceversa, ha permesso di ottenere risultati aziendali di notevole interesse, conservando e difendendo al tempo stesso i valori dell’unità familiare ed evitando lo stravolgimento dell’ambiente sociale e naturale causato, spesso, dalle grandi agglomerazioni industriali. Un forte impegno sociale, quindi, che non ha ostacolato l’efficienza della gestione economica e la produttività del lavoro e degli investimenti. Questo sta a dimostrare che profitto e socialità non solo possono essere compatibili, ma rappresentano aspetti che possono reciprocamente integrarsi con vantaggio della stessa impresa.
Ogni istituzione umana è però perfettibile. E così anche un’azienda moderna come la vostra, nonostante i grandi progressi compiuti, è suscettibile di nuovi sviluppi.
Si tratta certamente di potenziare le capacità economiche e tecnologiche. Anzi, v’è un obbligo morale di provvedere ad una sana politica amministrativa di investimenti, di miglioramento nella qualità dei prodotti o dei servizi e di rinnovamento tecnologico. Ma v’è anche un concomitante obbligo morale di rispetto per l’ambiente circostante e di ragionevole utilizzo delle risorse naturali, soprattutto di quelle non rinnovabili.
Se il benessere stesso dell’azienda suggerisce l’adozione di questi criteri, la ragione profonda che ne impone l’accoglimento scaturisce dal fatto che essa non è soltanto uno strumento finalizzato al guadagno, ma una comunità composta di persone, la cui dignità non può mai essere strumentalizzata.
Vorrei, cari lavoratori, insistere su questo punto che mi sembra di particolare rilevanza: l’azienda mai deve essere considerata come una organizzazione verticale, nella quale alcune persone sono al servizio esclusivo degli scopi di altre e del loro vantaggio economico. Essa deve essere vista piuttosto come un luogo d’incontro di tante persone, le quali, in modo sinergico, s’impegnano ad operare per la produzione di beni o di servizi destinati al benessere di tutti.
6. Solo in un’azienda concepita come comunità si è in grado di salvaguardare la vera dignità del lavoro e dei lavoratori. La capacità di lavoro di una persona non è merce che si vende e si acquista; è, al contrario, qualcosa di proprio, anzi di “sacro”, che Dio concede a ciascuno innanzitutto per realizzarsi come persona.
Un simile dono non è, né può essere, oggetto di scambio. Lo si può invece associare all’impegno lavorativo di altri per produrre, dietro giusto compenso, ciò di cui la società ha bisogno.
E questo restituisce dignità morale all’attività lavorativa, facendo dell’impresa non un luogo di scontro, ma di incontro; non un teatro di costanti conflitti, ma un ambito di fattiva collaborazione; non un mezzo per superare, sia pure momentaneamente, la disoccupazione, bensì un concreto orizzonte per la propria e altrui realizzazione.
Ogni azienda dovrebbe costantemente riesaminarsi alla luce dei criteri ai quali ho accennato, allo scopo di rispondere sempre meglio alla propria funzione, e soprattutto per rendere operativo il progetto che le è proprio: diventare una comunità di persone che insieme vivono e lavorano.
7. San Giuseppe, che insieme invochiamo, aiuti tutti a capire e a mettere in pratica, a seconda delle responsabilità di ognuno, questo progetto. Sarà possibile, allora, fare di ogni luogo di lavoro l’ambito propizio per la crescita della persona ed uno strumento per il raggiungimento del bene della società.
Vi sia di incoraggiamento e vi sostenga in questo compito la mia benedizione.

Cattedrale di S. Venanzio,  Madonna del Popolo

 
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Chiesa Cattedrale di Fabriano - Martedì, 19 marzo 1991

“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49).
1. Con queste parole del dodicenne Gesù a Maria e a Giuseppe, vi esprimo, cari fratelli e sorelle, la mia gioia di celebrare questa solennità insieme a voi. Saluto il vostro Vescovo, Monsignor Luigi Scuppa, e lo ringrazio per l’invito che mi ha rivolto a visitare la vostra Comunità diocesana che sento viva e piena di fede.
Saluto i Presuli della Regione e i Pastori emeriti delle vostre Diocesi: a tutti il mio ringraziamento per la loro fraterna comunione. Il mio saluto si estende poi a tutti i presenti: alle Autorità civili e militari, ai Sacerdoti, ai Religiosi e alle Religiose, alle Associazioni e ai Movimenti ecclesiali, alle famiglie, ai giovani, ai malati, a tutti!
Abbiamo ascoltato or ora il brano del Vangelo di Luca, in cui si fa menzione dell’episodio di Gesù adolescente al Tempio. Durante il pellegrinaggio a Gerusalemme, Gesù lascia Maria e Giuseppe per prendere parte all’istruzione dispensata agli israeliti nel Tempio dai maestri della Thorà. Maria e Giuseppe sono costretti a tornare sui loro passi per cercarlo. L’istruzione sulle cose di Dio ha coinvolto totalmente Gesù.
Infatti, quando “lo trovarono nel Tempio, seduto in mezzo ai dottori . . . tutti quelli che lo udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte” (Lc 2, 46-47).
2. Alla domanda della madre: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2, 48), Gesù risponde: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49).
Aggiunge l’Evangelista che Maria e Giuseppe “non compresero le sue parole” (Lc 2, 50). Subito dopo, però, - viene precisato - partì “con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso” (Lc 2, 51).
La Chiesa oggi rende omaggio a San Giuseppe in modo solenne. Ma si riesce a cogliere il significato di questo personaggio, come mostrano le letture, soltanto penetrando nella verità tutta intera di Gesù Cristo. Soltanto incontrando il Verbo incarnato, il Redentore del mondo nel suo mistero di luce e di verità. Come per la madre di Gesù, Maria. È quanto ho cercato di mostrare sia con l’Enciclica Redemptoris Mater, che con la Lettera apostolica Redemptoris custos. L’odierna solennità di San Giuseppe, al pari delle solennità mariane, ha pertanto un eminente carattere cristologico.
3. Al tempo stesso, la figura del carpentiere di Nazaret, sposo della Madre di Dio e custode del Figlio dell’Altissimo, è piena di significato per la Chiesa, comunità chiamata a vivere la pienezza del mistero dell’uomo, pienezza che, come ha affermato il Concilio Vaticano II, si realizza solamente in Cristo. Così la Madre di Gesù e San Giuseppe avvicinano in modo particolare il mistero del Verbo incarnato ai problemi fondamentali dell’umana esistenza.
Si tratta, sostanzialmente, di due realtà: la famiglia e il lavoro, realtà non separate, ma tra loro in reciproca e stretta connessione.
La famiglia e il lavoro.
Proprio questa è stata la vita di Nazaret durante quei 30 anni, sintetizzati dall’Evangelista con l’espressione: “Gesù tornò con loro (cioè con Maria e Giuseppe) a Nazaret e stava loro sottomesso” (Lc 2, 51).
Una frase breve che sottolinea però bene il legame esistente tra la famiglia e il lavoro. Quanto ho trattato nelle Encicliche Laborem Exercens e Sollicitudo Rei Socialis lo vado approfondendo ogni anno in occasione delle visite che compio in varie località d’Italia nel giorno di San Giuseppe.
4. La famiglia e il lavoro! Alla luce del Vangelo e della Tradizione della Chiesa, che si esprime non soltanto nella continuità dell’insegnamento, ma anche nella pratica cristiana della vita e della morale, queste due importanti realtà umane mettono in evidenza la giusta gerarchia dei valori; sottolineano che il primato spetta all’uomo come persona e come comunità di persone: in primo luogo, quindi, la Famiglia. Ogni lavoro, e soprattutto il lavoro fisico, lega l’uomo al mondo delle cose, a tutto “l’ordine” delle cose. Il mondo è stato dato all’uomo come compito dal Creatore, come suo impegno terreno: “Soggiogate la terra”! Le parole del Libro della Genesi (cf. Gen 1, 28) indicano appunto questa subordinazione delle cose alla persona. Il mondo visibile è “per l’uomo”. Le cose sono per la persona.
Che quest’ordine sia compreso e rispettato! Che mai sia violato, e tanto meno sconvolto! Il progresso moderno, a ben vedere, porta con sé un pericolo di tale genere. La cultura “progressista” - tranne i progetti che hanno l’uomo come autentico riferimento - diventa facilmente cultura delle cose più che delle persone. Sono tante le cose da poter fare, sono così insistenti i richiami della pubblicità e della propaganda, che si rischia di esserne travolti. Si finisce col diventare, pur non volendolo, schiavi delle cose e della bramosia dell’avere. Il cosiddetto consumismo non rappresenta forse l’espressione dell’“ordine” (o, piuttosto, “non-ordine”), in cui ha più significato “avere” che “essere”? Non è forse sintomatico che su questa linea la cultura dominante si mostri talora ostile verso la vita nascente, quasi che quell’essere umano, che si affaccia all’esistenza, costituisca un ostacolo al possesso e all’uso delle cose?
È grande il rischio di vedere offesa la stessa dignità della persona, insidiata nella sua autonomia e nella sua libertà più profonda.
5. Soggiogate la terra!
Accogliete, carissimi fratelli e sorelle, la parola che oggi viene offerta dalla liturgia ed aprite il cuore alla forza dell’amore che abbatte le barriere dell’egoismo e dell’indifferenza. Non siate schiavi del possesso egoista, ma servitori della condivisione solidale! Si fissino gli occhi dello spirito sulla Sacra Famiglia e tragga la volontà, illuminata dalla fede, coraggio e perseveranza nel bene dalla intercessione di San Giuseppe!
Voi Sacerdoti, ministri della gratuita salvezza divina, sostenete il gregge affidato alle vostre cure pastorali con la preghiera, con l’esortazione, con l’esempio; condividetene in modo fraterno le speranze e le difficoltà. Nella famiglia cristiana, in ogni famiglia della vostra Diocesi, sia vivo, ad immagine della Casa di Nazaret, il clima dell’intesa e della comunione, della semplicità e del servizio.
Mi rivolgo soprattutto ai laici, a quanti sono impegnati nei vari movimenti e associazioni ecclesiali.
Mi rivolgo, inoltre, a quanti, chiamati da Dio alla vita consacrata, sono costituiti testimoni di un servizio al Signore e ai fratelli in modo totale ed esclusivo. Siate tutti fedeli alla vostra particolare vocazione.
Voi giovani nutrite le speranze del vostro presente e del vostro avvenire alla scuola della verità che non inganna e della vita che non perisce.
Quanto più facilmente la società potrebbe trovare soluzione alle problematiche che la inquietano se guardasse all’umile, ma eloquente, testimonianza d’amore offerta nella Casa di Nazaret! Con quanta concreta fiducia si riuscirebbe a guardare agli altri se l’attività d’ogni giorno fosse sentita come prezioso strumento di lode al Creatore e di servizio ai fratelli!
6. La famiglia di Nazaret, e, in modo particolare, la persona di San Giuseppe, sono in relazione profonda con questa vasta problematica che investe l’uomo e che mette in evidenza “in modo trasparente” l’ordine per il quale tutti devono adoperarsi. È un ordine che riguarda le persone, riguarda le famiglie e la società, concerne il mondo del lavoro e la legislazione. Si tratta del problema principale per l’uomo e per il suo futuro.
Rispondendo a Maria e Giuseppe: “Io devo occuparmi delle cose del Padre mio”, Gesù dimostra che l’ordine umano nell’ambito della famiglia-lavoro si stabilisce, in definitiva, sul fondamento divino: la sollecitudine del Padre. Per questa ragione Egli, tornato a Nazaret, vive in filiale “obbedienza”.
Ecco uno degli elementi che fanno parte della vita e del lavoro di ogni famiglia umana: la sollecitudine del Padre, l’abbandono fiducioso alla Provvidenza divina.
Dopo trent’anni verrà per il Cristo il tempo della sua missione messianica. E da quel momento sino alla fine si renderà manifesto il senso delle parole pronunciate quando aveva dodici anni.
L’obbedienza del Giovane di Nazaret si rivelerà come “obbedienza” redentrice del Figlio di Dio al Padre: l’obbedienza fino alla morte.
L’obbedienza a Dio, da cui “ogni paternità in cielo e in terra” (cf. Ef 3, 15) prende origine e modello; da questa obbedienza prende origine e modello anche il lavoro.
Il Padre “opera” (Gv 5, 17) incessantemente con il Figlio. Iddio conferisce senso ultimo e dignità piena ad ogni attività umana, ad ogni azione dell’uomo sulla terra.
Immagine di questo senso e di questa dignità è il Figlio di Dio.
È Cristo che ha collaborato con il carpentiere Giuseppe.
Al medesimo tavolo di lavoro, lavorava nella casa di Nazaret.
Alla fine, voglio ancora augurare alla vostra diocesi un buon avvio e un buon esito del Sinodo diocesano, che a voi oggi il Vescovo di Fabriano-Matelica ha annunciato.
Amen!


DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI LAVORATORI DELLE CARTIERE
MILANI DI FABRIANO
Martedì, 19 marzo 1991
 
1. Con grande gioia ho accolto l’invito a visitare le Cartiere di questa Città, della cui laboriosità e impegno imprenditoriale esse sono diventate quasi il simbolo e l’emblema.
Saluto cordialmente il Rappresentante del Governo Italiano e lo ringrazio per la sua cortese presenza, saluto il Sindaco di Fabriano, il Presidente della Fondazione Merloni, l’Amministratore Delegato della vostra Azienda, i Dirigenti e le Maestranze tutte di questo complesso. A tutti auguro di veder realizzati i progetti di sviluppo e di successo che particolarmente vi stanno a cuore nella collaborazione più ampia fra le varie componenti aziendali.
La storia della vostra fabbrica ha radici lontane. L’industria e l’esportazione della carta si legano alla “Pia Università dei Cartai”, già florida nel secolo XIV, e poi con la diffusione della stampa - a cominciare dalla metà del secolo XV - Fabriano avrà, a pieno titolo, il nome di “Città della carta”.
Anche la Sede apostolica ha sempre beneficiato del vostro lavoro, usufruendo del pregiato prodotto delle Cartiere di Fabriano.
Sono in mezzo a voi oggi per rendere omaggio con animo grato alla vostra diuturna attività, conosciuta e stimata in tutto il mondo.
Il vostro è un lavoro delicato e poco noto alla maggior parte della gente: voi preparate la materia prima per la stampa. Si ammira e si apprezza il prodotto finito, ma non sempre si è in grado di riconoscere la pazienza necessaria alla sua confezione frutto sempre di una particolare abilità e di una esperienza artigianale consolidate nei secoli.
Grazie alla carta, l’umanità ha avuto la possibilità di avere fra le mani uno strumento di comunicazione facile - il libro - che ancor oggi ha un grande mercato e resta largamente concorrenziale rispetto agli altri più moderni mezzi dell’informazione.
Certamente la sua diffusione ha permesso l’allargarsi della cultura, ha contribuito a far crescere il benessere, e soprattutto ha inciso, e in modo non marginale, sui comportamenti e sulle scelte morali dell’uomo. Proprio per questa grande possibilità che riveste l’uso della carta stampata nel processo di formazione culturale ed etica degli individui e dei popoli, la vostra opera esige preparazione, competenza e responsabilità.
2. La Chiesa ha sempre stimato il lavoro fatto dall’uomo con intelligenza e cura. Esso, mentre favorisce il miglioramento delle condizioni generali dell’esistenza, esprime la compartecipazione umana all’opera della creazione divina. Primo collaboratore di Dio, l’uomo contribuisce col proprio impegno al progresso della società, utilizzando le risorse del creato. Mette a frutto, in tal modo, il suo ingegno e la ricchezza delle sue potenzialità spirituali e materiali donategli dal Creatore.
Siate pertanto fieri del vostro lavoro e sappiate trovare in esso la realizzazione della vostra vocazione di uomini e di lavoratori; siate inoltre grati al Signore delle opportunità che vi sono offerte di trarre dal lavoro il necessario supporto per il vostro nucleo familiare.
Non dimenticatevi che un ambiente di lavoro sereno ed amichevole contribuisce a creare i presupposti per una convivenza civile più armoniosa: diventa un luogo di interessante confronto, di maturazione e una fucina di nuovi progetti. Se invece manca la comprensione e il dialogo, nascono contese e contrapposizioni, scaturiscono tensioni, incomprensioni e frustrazioni che inevitabilmente finiscono per incidere sulla vita familiare e comunitaria.
3. Vi incoraggio a vivere l’esperienza lavorativa alla luce della fede. In questo sforzo sentite il Papa accanto a voi, sentite la Chiesa vicina a ciascuno di voi specialmente quest’anno in cui celebriamo il centenario dell’Enciclica Rerum novarum promulgata dal mio predecessore Leone XIII, che costituisce una pietra miliare dell’insegnamento sociale cristiano.
Leone XIII ha tra l’altro denunciato lo sfruttamento e il mancato rispetto della dignità del lavoratore, delineando un quadro di riferimento generale entro il quale le parti sociali devono camminare perché sia stabile la loro mutua e rispettosa convivenza.
Ai giorni nostri tutto è notevolmente migliorato; la Chiesa tuttavia auspica che la ricerca del benessere avvenga sempre nel rispetto di ogni componente lavorativa ed a vantaggio del bene di tutti.
4. In un mondo inquieto, dominato talora dalla sopraffazione e dall’egoismo, siate costruttori di concreta solidarietà: Gesù, cresciuto accanto al carpentiere di Nazaret, è venuto per dare vita nuova all’esistenza umana; che sembra non di rado far fatica ad orientarsi secondo i criteri dell’amore. Troppi interessi la distraggono dall’autentica crescita morale e sociale! Accomunati dalla legge del lavoro, sappiate, cari lavoratori, superare ostacoli e difficoltà per compiere con dedizione e competenza quanto vi è possibile perché la fatica quotidiana diventi energia spesa per il vero progresso della società.
Il luogo dove lavorate e dove trascorrete tanta parte della giornata, diventerà così la vostra seconda famiglia. In esso è possibile realizzare le vostre aspirazioni professionali e creare un clima di reciproca stima, di mutuo rispetto e di sincera fiducia. In tal modo potrete dar vita realmente ad una comunità nella quale le distinzioni dei ruoli e degli impieghi non creino barriere, ma portino ad una intesa costruttiva e fraterna nel nome di una causa comune: quella del lavoro. Mentre parlo a voi, lavoratori, il mio pensiero corre ai tanti giovani, che non sempre riescono a trovare un impiego, e rischiano di cadere vittime d’ingannevoli miraggi. Occorre ridare fiducia al mondo giovanile! Occorre che la società faccia lo sforzo di inserire la gioventù che s ‘affaccia al lavoro nel tessuto attivo delle sue strutture, se si vuole che non cada nelle tentazioni della pericolosa evasione del qualunquismo e della devianza. Solo così si può preparare un futuro migliore per tutta la società.
5. Mentre insieme onoriamo San Giuseppe, patrono dei lavoratori, vorrei affidare a Lui, che ha conosciuto la fatica del lavoro quotidiano, le vostre preoccupazioni, quelle specialmente relative ai problemi dell’azienda, alle esigenze della famiglia e alla disoccupazione giovanile. Vi aiuti, inoltre, San Giuseppe a dar vita ad una società permeata da autentici valori umani e cristiani quali la dignità della persona, l’onestà, la responsabilità, e la solidarietà e lo spirito di fede.
Vi sia di incoraggiamento e vi accompagni anche la mia cordiale benedizione.



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