Oggi 22 ottobre, in occasione della storica prima festa di S. Giovanni Paolo II, vogliamo ricordare la visita del Papa alla città di Fabriano, risalente al 19 marzo 1991.
L'evento è perennemente ricordato da una lapide apposta nell'abside della Cattedrale di S. Venanzio.
Pubblichiamo, di seguito, i tre discorsi ufficiali pronunciati dal Papa durante la visita.
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI LAVORATORI DELLE INDUSTRIE MERLONI
E DI ALTRE AZIENDE FABRIANESI
AI LAVORATORI DELLE INDUSTRIE MERLONI
E DI ALTRE AZIENDE FABRIANESI
Martedì, 19 marzo 1991
Carissimi fratelli e sorelle delle Industrie Merloni!
1. Ringrazio di cuore il
Signore per l’opportunità che mi ha accordato di celebrare la solennità di San
Giuseppe insieme a voi, lavoratori delle Industrie Merloni e di tutte le altre
aziende e componenti del lavoro fabrianese, nel quadro di questa visita
pastorale alla Diocesi di Fabriano. Quella odierna è una giornata non più
festiva nel calendario civile, ma pur sempre dedicata alla venerazione del
grande Santo, alle cui cure è stato affidato il Figlio di Dio, fattosi uomo per
la nostra salvezza.
Attraverso di voi, carissimi fratelli e sorelle, intendo
salutare il mondo del lavoro delle Marche, che si distingue per un
notevole
benessere economico. Saluto il Pastore della vostra Diocesi, Monsignor
Luigi Scuppa e i Sacerdoti che lo coadiuvano nel ministero pastorale e
specialmente
nel mondo del lavoro; saluto l’Onorevole Gerardo Bianco, Ministro della
Pubblica
Istruzione Rappresentante del Governo Italiano e il Sindaco di Fabriano:
li
ringrazio entrambi per le gentili parole di benvenuto; saluto gli
Onorevoli
Presidenti della Regione e della Provincia, l’Onorevole Arnaldo Forlani,
Segretario politico della Democrazia Cristiana e tutte le Autorità qui
presenti.
Rivolgo un cordiale ringraziamento al Presidente della Fondazione Merloni e al
vostro rappresentante aziendale per le cortesi espressioni con cui mi hanno
illustrato l’attività e le prospettive di sviluppo delle Industrie Merloni, il
vostro lavoro e le difficoltà alle quali siete confrontati. Un pensiero
affettuoso lo dirigo, inoltre, agli Amministratori delle Industrie Merloni, a
tutte le Maestranze, alle vostre famiglie e alla popolazione della vostra
laboriosa Città.
Il progresso materiale, che in questi anni avete conosciuto, vi
stimoli a sentimenti di costante gratitudine verso la divina Provvidenza e mai
vi distragga dal prestare interiore adesione ai valori assoluti e trascendenti
sui quali soltanto si può costruire l’autentica vita dell’uomo. L’esistenza è
dono, vocazione e servizio; non può quindi ridursi a mera ricerca di beni
materiali pur utili, ma incapaci di soddisfare la sete d’infinito del nostro
cuore. Occorre pertanto che l’impegno lavorativo non monopolizzi ogni risorsa
fisica e spirituale in funzione del tornaconto materiale, ma sia vissuto come
partecipazione all’opera del Creatore e, in un certo senso, come suo ulteriore
sviluppo e completamento, nella prospettiva di un razionale utilizzo delle
risorse e dei valori racchiusi nel creato (Ioannis Pauli PP. II,
Laborem Exercens, 25).
È stato questo
l’atteggiamento col quale ha atteso alla quotidiana fatica Giuseppe, il santo
artigiano, che oggi ricordiamo nella sua missione di fedele custode del
Redentore.
2. La sollecitudine di Giuseppe nei confronti di Colui che i
contemporanei identificheranno come suo “figlio” (cf. Mt 13, 55; Lc 3, 23)
richiedeva che egli provvedesse al suo sostentamento mediante il lavoro di
falegname nel villaggio di Nazaret.
In questo modo, alla dignità originaria del
lavoro, in quanto “dimensione fondamentale dell’esistenza dell’uomo sulla terra”
(Ioannis Pauli PP. II,
Laborem Exercens, 4), se ne aggiungeva un’altra: con il lavoro quotidiano lo
sposo di Maria forniva il necessario sostegno alla Sacra Famiglia, prototipo di
tutte le famiglie.
È dunque legittimo, carissimi fratelli e sorelle, scorgere in
Giuseppe lavoratore il modello di ogni umana occupazione lavorativa, con la
quale si provvede all’indispensabile sostentamento di se stessi e dei propri
cari, e si realizzano al tempo stesso attitudini, talenti e qualità personali.
Il raffronto appare anche più convincente, se si pensa che, come non di rado
accade anche oggi, il Figlio seguì le orme del padre putativo, apprendendo da
lui le tecniche del mestiere. È noto infatti che la gente di Nazaret qualificava
Gesù come il “falegname”, il “carpentiere” (Mc 6, 3), alla stregua di Giuseppe.
Sono constatazioni che ci aiutano a comprendere quanto alta sia la dignità della
vocazione umana e cristiana di chi lavora. Non è necessario rivolgersi ad
ideologie fuorvianti per dare al lavoro umano il rilievo che gli spetta. Basta
soffermarsi a contemplare lo svolgersi ordinario della vita familiare nella casa
di Nazaret per capire fino in fondo la nobiltà, i diritti e i doveri che
accompagnano e qualificano la fatica umana.
Ci aiuta in questo approfondimento spirituale anche l’odierna solennità che Dio
ha voluto celebrassimo insieme.
3.
Non posso non richiamare, a questo punto, un avvenimento significativo, che la
Chiesa s’appresta a commemorare nel corso di quest’anno. Intendo riferirmi al
centenario dell’Enciclica Rerum Novarum, promulgata dal papa Leone XIII, il 15
maggio 1891.
Ricordano questo anniversario con molteplici manifestazioni varie
organizzazioni italiane ed internazionali, sindacati e federazioni lavorative,
università e altre istituzioni. Cento anni fa, in un momento in cui si avviava
il moderno processo di industrializzazione sulla base di criteri ben poco
rispettosi della dignità umana del lavoro, con conseguente sfruttamento di
uomini, donne e persino bambini, la Chiesa levava coraggiosamente la sua voce a
difesa della persona, denunciando chiaramente la “condizione degli operai”
costretti a lavorare in situazioni disumane e senza alcuna tutela giuridica e
sociale. Essa si preoccupava, inoltre, di difendere la loro dignità dalle
insidie tese al mondo del lavoro da ideologie atee e materialiste, che pur
proponendosi lodevolmente di lottare contro gli abusi e le ingiustizie, lo
facevano ricorrendo a principi e metodi incompatibili con la libertà e la
dignità del lavoratore. Profetico fu, senz’altro, l’intervento di Leone XIII e
vasta eco ha avuto nel corso dei passati decenni. Io stesso ho voluto riprendere
i temi dominanti con l’Enciclica Laborem Exercens, ed intendo ritornare
sull’argomento con una nuova Enciclica, che sto preparando.
4. Certo oggi la “condizione” degli operai è notevolmente migliorata, almeno in
quei Paesi che hanno potuto trarre beneficio da un promettente sviluppo
tecnologico, accompagnato da legislazioni adeguate e da provvedimenti
amministrativi opportuni, che hanno favorito la crescita di una cultura di
considerazione e di rispetto per il lavoratore.
Non vanno, però, dimenticati tanti altri lavoratori e lavoratrici, che,
specialmente, nell’emisfero Sud del mondo, stentano ancora a vedere soddisfatte
le loro più elementari esigenze e sono mortificati nella loro dignità di
persone. Non vanno neppure dimenticati quanti, nelle nazioni cosiddette
industrializzate, e anche qui in Italia, non godono appieno dei diritti
spettanti a chi lavora. Mi riferisco, ad esempio, alle donne discriminate nel
loro impiego, ai bambini sfruttati, ai giovani disoccupati, ai lavoratori in
cassa integrazione, agli handicappati praticamente emarginati, agli immigrati
non rispettati nelle loro legittime attese. Non sono essi vittime impotenti
dell’egoismo e della sete sregolata del profitto o, quanto meno,
dell’indifferenza e dell’incuria di chi si preoccupa solo del proprio benessere?
Mi sento vicino a coloro che così soffrono, perché privati dei loro diritti
elementari pur sanciti da Dichiarazioni, Patti e Convenzioni Internazionali.
Manifesto loro, insieme a voi, la mia solidarietà e la solidarietà della
Chiesa, sperando che presto, grazie allo sforzo di tutti, si possano
superare tali squilibri che umiliano la dignità della persona.
5. Per quanto mi è stato detto, il vostro gruppo sorto 60 anni or sono con una
scelta imprenditoriale che presenta diversi caratteri di originalità, ha cercato
sempre di svilupparsi a misura d’uomo e d’ambiente. Il tipo di insediamento
industriale perseguito, che rifiuta il modello della grande fabbrica e si
articola in stabilimenti di media dimensione, sparsi su ampio territorio ed
installati vicino ai luoghi di residenza dei lavoratori, secondo il principio
che il lavoro deve avvicinarsi alle persone e non viceversa, ha permesso di
ottenere risultati aziendali di notevole interesse, conservando e difendendo al
tempo stesso i valori dell’unità familiare ed evitando lo stravolgimento
dell’ambiente sociale e naturale causato, spesso, dalle grandi agglomerazioni
industriali. Un forte impegno sociale, quindi, che non ha ostacolato
l’efficienza della gestione economica e la produttività del lavoro e degli
investimenti. Questo sta a dimostrare che profitto e socialità non solo possono
essere compatibili, ma rappresentano aspetti che possono reciprocamente
integrarsi con vantaggio della stessa impresa.
Ogni istituzione umana è però perfettibile. E così anche un’azienda moderna come
la vostra, nonostante i grandi progressi compiuti, è suscettibile di nuovi
sviluppi.
Si tratta certamente di potenziare le capacità economiche e tecnologiche. Anzi,
v’è un obbligo morale di provvedere ad una sana politica amministrativa
di investimenti, di miglioramento nella qualità dei prodotti o dei servizi e di
rinnovamento tecnologico. Ma v’è anche un concomitante obbligo morale di
rispetto per l’ambiente circostante e di ragionevole utilizzo delle risorse
naturali, soprattutto di quelle non rinnovabili.
Se il benessere stesso dell’azienda suggerisce l’adozione di questi criteri, la
ragione profonda che ne impone l’accoglimento scaturisce dal fatto che essa non
è soltanto uno strumento finalizzato al guadagno, ma una comunità composta di
persone, la cui dignità non può mai essere strumentalizzata.
Vorrei, cari lavoratori, insistere su questo punto che mi sembra di particolare
rilevanza: l’azienda mai deve essere considerata come una organizzazione
verticale, nella quale alcune persone sono al servizio esclusivo degli scopi
di altre e del loro vantaggio economico. Essa deve essere vista piuttosto come
un luogo d’incontro di tante persone, le quali, in modo sinergico,
s’impegnano ad operare per la produzione di beni o di servizi destinati al
benessere di tutti.
6. Solo in un’azienda concepita come comunità si è in grado di
salvaguardare la vera dignità del lavoro e dei lavoratori. La capacità di lavoro
di una persona non è merce che si vende e si acquista; è, al contrario, qualcosa
di proprio, anzi di “sacro”, che Dio concede a ciascuno innanzitutto per
realizzarsi come persona.
Un simile dono non è, né può essere, oggetto di scambio. Lo si può invece
associare all’impegno lavorativo di altri per produrre, dietro giusto
compenso, ciò di cui la società ha bisogno.
E questo restituisce dignità morale all’attività lavorativa, facendo
dell’impresa non un luogo di scontro, ma di incontro; non un teatro di
costanti conflitti, ma un ambito di fattiva collaborazione; non un mezzo per
superare, sia pure momentaneamente, la disoccupazione, bensì un concreto
orizzonte per la propria e altrui realizzazione.
Ogni azienda dovrebbe costantemente riesaminarsi alla luce dei criteri ai
quali ho accennato, allo scopo di rispondere sempre meglio alla propria
funzione, e soprattutto per rendere operativo il progetto che le è proprio:
diventare una comunità di persone che insieme vivono e lavorano.
7. San Giuseppe, che insieme invochiamo, aiuti tutti a capire e a mettere in
pratica, a seconda delle responsabilità di ognuno, questo progetto. Sarà
possibile, allora, fare di ogni luogo di lavoro l’ambito propizio per la
crescita della persona ed uno strumento per il raggiungimento del bene della
società.
Vi sia di incoraggiamento e vi sostenga in questo compito la mia benedizione.
| Cattedrale di S. Venanzio, Madonna del Popolo |
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Chiesa Cattedrale di Fabriano - Martedì, 19 marzo 1991
“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”
(Lc 2, 49).
1. Con queste parole del dodicenne Gesù a Maria e a Giuseppe, vi
esprimo, cari fratelli e sorelle, la mia gioia di celebrare questa solennità
insieme a voi. Saluto il vostro Vescovo, Monsignor Luigi Scuppa, e lo ringrazio
per l’invito che mi ha rivolto a visitare la vostra Comunità diocesana che sento
viva e piena di fede.
Saluto i Presuli della Regione e i Pastori emeriti delle vostre
Diocesi: a tutti il mio ringraziamento per la loro fraterna comunione. Il mio
saluto si estende poi a tutti i presenti: alle Autorità civili e militari, ai
Sacerdoti, ai Religiosi e alle Religiose, alle Associazioni e ai Movimenti
ecclesiali, alle famiglie, ai giovani, ai malati, a tutti!
Abbiamo ascoltato or ora il brano del Vangelo di Luca, in cui si
fa menzione dell’episodio di Gesù adolescente al Tempio. Durante il
pellegrinaggio a Gerusalemme, Gesù lascia Maria e Giuseppe per prendere parte
all’istruzione dispensata agli israeliti nel Tempio dai maestri della Thorà.
Maria e Giuseppe sono costretti a tornare sui loro passi per cercarlo.
L’istruzione sulle cose di Dio ha coinvolto totalmente Gesù.
Infatti, quando “lo trovarono nel Tempio, seduto in mezzo ai
dottori . . . tutti quelli che lo udivano erano pieni di stupore per la sua
intelligenza e le sue risposte” (Lc 2, 46-47).
2. Alla domanda della madre: “Figlio, perché ci hai fatto così?
Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2, 48), Gesù
risponde: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose
del Padre mio?” (Lc 2, 49).
Aggiunge l’Evangelista che Maria e Giuseppe “non compresero
le sue parole” (Lc 2, 50). Subito dopo, però, - viene precisato -
partì “con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso” (Lc 2,
51).
La Chiesa oggi rende omaggio a San Giuseppe in modo
solenne. Ma si riesce a cogliere il significato di questo personaggio, come
mostrano le letture, soltanto penetrando nella verità tutta intera di Gesù
Cristo. Soltanto incontrando il Verbo incarnato, il Redentore del mondo nel suo
mistero di luce e di verità. Come per la madre di Gesù, Maria. È quanto ho
cercato di mostrare sia con l’Enciclica
Redemptoris Mater,
che con la Lettera apostolica
Redemptoris custos. L’odierna solennità di San Giuseppe, al pari delle
solennità mariane, ha pertanto un eminente carattere cristologico.
3. Al tempo stesso, la figura del carpentiere di Nazaret,
sposo della Madre di Dio e custode del Figlio dell’Altissimo, è piena di
significato per la Chiesa, comunità chiamata a vivere la pienezza del
mistero dell’uomo, pienezza che, come ha affermato il Concilio Vaticano II, si
realizza solamente in Cristo. Così la Madre di Gesù e San Giuseppe avvicinano
in modo particolare il mistero del Verbo incarnato ai problemi fondamentali
dell’umana esistenza.
Si tratta, sostanzialmente, di due realtà: la famiglia e il
lavoro, realtà non separate, ma tra loro in reciproca e stretta connessione.
La famiglia e il lavoro.
Proprio questa è stata la vita di Nazaret durante quei 30 anni,
sintetizzati dall’Evangelista con l’espressione: “Gesù tornò con loro (cioè con
Maria e Giuseppe) a Nazaret e stava loro sottomesso” (Lc 2, 51).
Una frase breve che sottolinea però bene il legame esistente
tra la famiglia e il lavoro. Quanto ho trattato nelle Encicliche Laborem
Exercens e Sollicitudo Rei Socialis lo vado approfondendo ogni anno
in occasione delle visite che compio in varie località d’Italia nel giorno di
San Giuseppe.
4. La famiglia e il lavoro! Alla luce del Vangelo e della
Tradizione della Chiesa, che si esprime non soltanto nella continuità
dell’insegnamento, ma anche nella pratica cristiana della vita e della morale,
queste due importanti realtà umane mettono in evidenza la giusta gerarchia
dei valori; sottolineano che il primato spetta all’uomo come persona e
come comunità di persone: in primo luogo, quindi, la Famiglia. Ogni lavoro,
e soprattutto il lavoro fisico, lega l’uomo al mondo delle cose, a tutto
“l’ordine” delle cose. Il mondo è stato dato all’uomo come compito dal Creatore,
come suo impegno terreno: “Soggiogate la terra”! Le parole del Libro della
Genesi (cf. Gen 1, 28) indicano appunto questa subordinazione delle
cose alla persona. Il mondo visibile è “per l’uomo”. Le cose sono per la persona.
Che quest’ordine sia compreso e rispettato! Che mai sia violato,
e tanto meno sconvolto! Il progresso moderno, a ben vedere, porta con sé un
pericolo di tale genere. La cultura “progressista” - tranne i progetti
che hanno l’uomo come autentico riferimento - diventa facilmente cultura
delle cose più che delle persone. Sono tante le cose da poter fare, sono
così insistenti i richiami della pubblicità e della propaganda, che si rischia
di esserne travolti. Si finisce col diventare, pur non volendolo, schiavi delle
cose e della bramosia dell’avere. Il cosiddetto consumismo non
rappresenta forse l’espressione dell’“ordine” (o, piuttosto, “non-ordine”),
in cui ha più significato “avere” che “essere”? Non è forse sintomatico che
su questa linea la cultura dominante si mostri talora ostile verso la vita
nascente, quasi che quell’essere umano, che si affaccia all’esistenza,
costituisca un ostacolo al possesso e all’uso delle cose?
È grande il rischio di vedere offesa la stessa dignità della
persona, insidiata nella sua autonomia e nella sua libertà più profonda.
5. Soggiogate la terra!
Accogliete, carissimi fratelli e sorelle, la parola che oggi
viene offerta dalla liturgia ed aprite il cuore alla forza dell’amore che
abbatte le barriere dell’egoismo e dell’indifferenza. Non siate schiavi del
possesso egoista, ma servitori della condivisione solidale! Si fissino gli occhi
dello spirito sulla Sacra Famiglia e tragga la volontà, illuminata dalla fede,
coraggio e perseveranza nel bene dalla intercessione di San Giuseppe!
Voi Sacerdoti, ministri della gratuita salvezza divina,
sostenete il gregge affidato alle vostre cure pastorali con la preghiera, con
l’esortazione, con l’esempio; condividetene in modo fraterno le speranze e le
difficoltà. Nella famiglia cristiana, in ogni famiglia della vostra Diocesi, sia
vivo, ad immagine della Casa di Nazaret, il clima dell’intesa e della comunione,
della semplicità e del servizio.
Mi rivolgo soprattutto ai laici, a quanti sono impegnati nei
vari movimenti e associazioni ecclesiali.
Mi rivolgo, inoltre, a quanti, chiamati da Dio alla vita
consacrata, sono costituiti testimoni di un servizio al Signore e ai fratelli in
modo totale ed esclusivo. Siate tutti fedeli alla vostra particolare vocazione.
Voi giovani nutrite le speranze del vostro presente e del vostro
avvenire alla scuola della verità che non inganna e della vita che non perisce.
Quanto più facilmente la società potrebbe trovare soluzione alle
problematiche che la inquietano se guardasse all’umile, ma eloquente,
testimonianza d’amore offerta nella Casa di Nazaret! Con quanta concreta fiducia
si riuscirebbe a guardare agli altri se l’attività d’ogni giorno fosse sentita
come prezioso strumento di lode al Creatore e di servizio ai fratelli!
6. La famiglia di Nazaret, e, in modo particolare, la
persona di San Giuseppe, sono in relazione profonda con questa vasta
problematica che investe l’uomo e che mette in evidenza “in modo trasparente”
l’ordine per il quale tutti devono adoperarsi. È un ordine che riguarda le
persone, riguarda le famiglie e la società, concerne il mondo del lavoro e la
legislazione. Si tratta del problema principale per l’uomo e per il suo futuro.
Rispondendo a Maria e Giuseppe: “Io devo occuparmi delle cose
del Padre mio”, Gesù dimostra che l’ordine umano nell’ambito della
famiglia-lavoro si stabilisce, in definitiva, sul fondamento divino: la
sollecitudine del Padre. Per questa ragione Egli, tornato a Nazaret, vive in
filiale “obbedienza”.
Ecco uno degli elementi che fanno parte della vita e del lavoro
di ogni famiglia umana: la sollecitudine del Padre, l’abbandono fiducioso alla
Provvidenza divina.
Dopo trent’anni verrà per il Cristo il tempo della sua
missione messianica. E da quel momento sino alla fine si renderà manifesto
il senso delle parole pronunciate quando aveva dodici anni.
L’obbedienza del Giovane di Nazaret si rivelerà come
“obbedienza” redentrice del Figlio di Dio al Padre: l’obbedienza fino alla
morte.
L’obbedienza a Dio, da cui “ogni paternità in cielo e in terra”
(cf. Ef 3, 15) prende origine e modello; da questa obbedienza prende
origine e modello anche il lavoro.
Il Padre “opera” (Gv 5, 17) incessantemente con il
Figlio. Iddio conferisce senso ultimo e dignità piena ad ogni attività umana,
ad ogni azione dell’uomo sulla terra.
Immagine di questo senso e di questa dignità è il Figlio di
Dio.
È Cristo che ha collaborato con il carpentiere Giuseppe.
Al medesimo tavolo di lavoro, lavorava nella casa di Nazaret.
Alla fine, voglio ancora augurare alla vostra diocesi un buon
avvio e un buon esito del Sinodo diocesano, che a voi oggi il Vescovo di
Fabriano-Matelica ha annunciato.
Amen!
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI LAVORATORI DELLE CARTIERE
MILANI DI FABRIANO
AI LAVORATORI DELLE CARTIERE
MILANI DI FABRIANO
Martedì, 19 marzo 1991
1. Con grande gioia ho accolto l’invito a visitare le Cartiere di questa Città,
della cui laboriosità e impegno imprenditoriale esse sono diventate quasi il
simbolo e l’emblema.
Saluto cordialmente il Rappresentante del Governo Italiano
e lo ringrazio per la sua cortese presenza, saluto il Sindaco di Fabriano, il
Presidente della Fondazione Merloni, l’Amministratore Delegato della vostra
Azienda, i Dirigenti e le Maestranze tutte di questo complesso. A tutti auguro
di veder realizzati i progetti di sviluppo e di successo che particolarmente vi
stanno a cuore nella collaborazione più ampia fra le varie componenti aziendali.
La storia della vostra fabbrica ha radici lontane. L’industria e l’esportazione
della carta si legano alla “Pia Università dei Cartai”, già florida nel secolo XIV, e poi con la diffusione della stampa
- a cominciare dalla metà del secolo XV - Fabriano avrà, a pieno titolo, il nome di “Città della carta”.
Anche la
Sede apostolica ha sempre beneficiato del vostro lavoro, usufruendo del pregiato
prodotto delle Cartiere di Fabriano.
Sono in mezzo a voi oggi per rendere
omaggio con animo grato alla vostra diuturna attività, conosciuta e stimata in
tutto il mondo.
Il vostro è un lavoro delicato e poco noto alla maggior parte
della gente: voi preparate la materia prima per la stampa. Si ammira e si
apprezza il prodotto finito, ma non sempre si è in grado di riconoscere la
pazienza necessaria alla sua confezione frutto sempre di una particolare abilità
e di una esperienza artigianale consolidate nei secoli.
Grazie alla carta,
l’umanità ha avuto la possibilità di avere fra le mani uno strumento di
comunicazione facile - il libro - che ancor oggi ha un grande mercato e resta
largamente concorrenziale rispetto agli altri più moderni mezzi
dell’informazione.
Certamente la sua diffusione ha permesso l’allargarsi della
cultura, ha contribuito a far crescere il benessere, e soprattutto ha inciso, e
in modo non marginale, sui comportamenti e sulle scelte morali dell’uomo.
Proprio per questa grande possibilità che riveste l’uso della carta stampata nel
processo di formazione culturale ed etica degli individui e dei popoli, la
vostra opera esige preparazione, competenza e responsabilità.
2. La Chiesa ha
sempre stimato il lavoro fatto dall’uomo con intelligenza e cura. Esso, mentre
favorisce il miglioramento delle condizioni generali dell’esistenza, esprime la
compartecipazione umana all’opera della creazione divina. Primo collaboratore di
Dio, l’uomo contribuisce col proprio impegno al progresso della società,
utilizzando le risorse del creato. Mette a frutto, in tal modo, il suo ingegno e
la ricchezza delle sue potenzialità spirituali e materiali donategli dal
Creatore.
Siate pertanto fieri del vostro lavoro e sappiate trovare in esso la
realizzazione della vostra vocazione di uomini e di lavoratori; siate inoltre
grati al Signore delle opportunità che vi sono offerte di trarre dal lavoro il
necessario supporto per il vostro nucleo familiare.
Non dimenticatevi che un
ambiente di lavoro sereno ed amichevole contribuisce a creare i presupposti per
una convivenza civile più armoniosa: diventa un luogo di interessante confronto,
di maturazione e una fucina di nuovi progetti. Se invece manca la comprensione e
il dialogo, nascono contese e contrapposizioni, scaturiscono tensioni,
incomprensioni e frustrazioni che inevitabilmente finiscono per incidere sulla
vita familiare e comunitaria.
3. Vi incoraggio a vivere l’esperienza lavorativa
alla luce della fede. In questo sforzo sentite il Papa accanto a voi, sentite la
Chiesa vicina a ciascuno di voi specialmente quest’anno in cui celebriamo il
centenario dell’Enciclica Rerum novarum promulgata dal mio predecessore Leone
XIII, che costituisce una pietra miliare dell’insegnamento sociale cristiano.
Leone XIII ha tra l’altro denunciato lo sfruttamento e il mancato rispetto della
dignità del lavoratore, delineando un quadro di riferimento generale entro il
quale le parti sociali devono camminare perché sia stabile la loro mutua e
rispettosa convivenza.
Ai giorni nostri tutto è notevolmente migliorato; la Chiesa tuttavia auspica che
la ricerca del benessere avvenga sempre nel rispetto di ogni componente
lavorativa ed a vantaggio del bene di tutti.
4. In un mondo
inquieto, dominato talora dalla sopraffazione e dall’egoismo, siate costruttori
di concreta solidarietà: Gesù, cresciuto accanto al carpentiere di Nazaret, è
venuto per dare vita nuova all’esistenza umana; che sembra non di rado far
fatica ad orientarsi secondo i criteri dell’amore. Troppi interessi la
distraggono dall’autentica crescita morale e sociale! Accomunati dalla legge del
lavoro, sappiate, cari lavoratori, superare ostacoli e difficoltà per compiere
con dedizione e competenza quanto vi è possibile perché la fatica quotidiana
diventi energia spesa per il vero progresso della società.
Il luogo dove lavorate e dove trascorrete tanta parte della giornata, diventerà
così la vostra seconda famiglia. In esso è possibile realizzare le vostre
aspirazioni professionali e creare un clima di reciproca stima, di mutuo
rispetto e di sincera fiducia. In tal modo potrete dar vita realmente ad una
comunità nella quale le distinzioni dei ruoli e degli impieghi non creino
barriere, ma portino ad una intesa costruttiva e fraterna nel nome di una causa
comune: quella del lavoro. Mentre parlo a voi, lavoratori, il mio pensiero corre
ai tanti giovani, che non sempre riescono a trovare un impiego, e rischiano di
cadere vittime d’ingannevoli miraggi. Occorre ridare fiducia al mondo giovanile!
Occorre che la società faccia lo sforzo di inserire la gioventù che s ‘affaccia
al lavoro nel tessuto attivo delle sue strutture, se si vuole che non cada nelle
tentazioni della pericolosa evasione del qualunquismo e della devianza. Solo
così si può preparare un futuro migliore per tutta la società.
5. Mentre insieme onoriamo San Giuseppe, patrono dei lavoratori, vorrei affidare
a Lui, che ha conosciuto la fatica del lavoro quotidiano, le vostre
preoccupazioni, quelle specialmente relative ai problemi dell’azienda, alle
esigenze della famiglia e alla disoccupazione giovanile. Vi aiuti, inoltre, San
Giuseppe a dar vita ad una società permeata da autentici valori umani e
cristiani quali la dignità della persona, l’onestà, la responsabilità, e la
solidarietà e lo spirito di fede.
Vi sia di incoraggiamento e vi accompagni anche la mia cordiale benedizione.

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