lunedì 17 novembre 2025

domenica 9 novembre 2025

«Le mani sono fatte per benedire, ma i piedi no!»

Brescello (Reggio Emilia)


Don Camillo, l'arciprete di Ponteratto, era un gran brav'uomo. 

Però uno di quei tipi che non hanno peli sulla lingua e, la volta che in paese era successo un sudicio pasticcio nel quale erano immischiati vecchi possidenti e ragazze, don Camillo durante la Messa aveva cominciato un discorsetto generico e ammodino, poi a un bel momento, scorgendo proprio in prima fila uno degli scostumati, gli erano scappati i cavalli e, interrotto il suo dire, aveva gettato un drappo sulla testa del Gesù Crocifisso dell'altar maggiore perché non sentisse e, piantandosi i pugni sui fianchi, aveva finito il discorso a modo suo e tanto era tonante la voce che usciva dalla bocca di quell'omaccione, e tanto grosse le diceva, che il soffitto della chiesetta tremava.

Naturalmente don Camillo, venuto il tempo delle elezioni, si era espresso in modo così esplicito nei riguardi degli esponenti locali delle sinistre che, una bella sera, tra il lusco e il brusco, mentre tornava in canonica, un pezzaccio d'uomo intabarrato gli era arrivato alle spalle schizzando fuor da una siepe e, approfittando che don Camillo era impacciato dalla bicicletta al manubrio della quale era appeso un fagotto con settanta uova, gli aveva dato una robusta suonata con un palo, scomparendo poi come inghiottito dalla terra.

Don Camillo non aveva detto niente a nessuno. Arrivato in canonica e messe in salvo le uova, era andato in chiesa a consigliarsi con Gesù, come era solito fare nei momenti di dubbio.

«Cosa debbo fare?» aveva chiesto don Camillo.

«Spennellati la schiena con un po' d'olio sbattuto nell'acqua e statti zitto» gli aveva risposto Gesù dal sommo dell'altare. «Bisogna perdonare chi ci offende. Questa è la regola.»

«Va bene» aveva obiettato don Camillo. «Qui però si tratta di legnate, non di offese.»

«E cosa vuol dire?» gli aveva sussurrato Gesù. «Forse che le offese recate al corpo sono più dolorose di quelle recate allo spirito?»

«D'accordo, Signore. Ma Voi dovete tener presente che legnando me che sono il Vostro ministro, hanno recato offesa a Voi. Io lo faccio più per Voi che per me.»

«E io non ero forse più ministro di Dio di te? E non ho forse perdonato chi mi ha inchiodato sulla croce?»

«Con Voi non si può ragionare» aveva concluso don Camillo. «Avete sempre ragione Voi. Sia fatta la Vostra volontà. Perdoneremo. Però ricordatevi che se quelli, imbaldanziti dal mio silenzio, mi spaccheranno la zucca la responsabilità sarà Vostra. Io Vi potrei citare dei passi del Vecchio Testamento…»

«Don Camillo, a me vieni a parlare di Vecchio Testamento! Per quanto riguarda il resto mi assumo ogni responsabilità. Però, detto fra noi, una pestatina ti sta bene così impari a fare della politica in casa mia.»

Don Camillo aveva perdonato. Però una cosa gli era rimasta di traverso nel gozzo come una lisca di merluzzo: la curiosità di sapere chi l'avesse spennellato.

Passò del tempo e, una sera tardi, mentre era nel confessionale, don Camillo vide attraverso la grata la faccia del capoccia dell'estrema sinistra, Peppone.


Peppone che veniva a confessarsi era un avvenimento da far rimanere a bocca aperta. Don Camillo si compiacque.

«Dio sia con te, fratello: con te che più d'ogni altro hai bisogno della Sua santa benedizione. È da molto tempo che non ti confessi?»

«Dal 1918» rispose Peppone.

«Figurati i peccati che hai fatto in questi 28 anni, con quelle belle idee che hai per la testa.»

«Eh sì, parecchi» sospirò Peppone.

«Per esempio?»

«Per esempio due mesi fa vi ho bastonato.»

«È grave» rispose don Camillo. «Offendendo un ministro di Dio tu hai offeso Dio.»

«Me ne sono pentito» esclamò Peppone. «Io poi non vi ho bastonato come ministro di Dio, ma come avversario politico. È stato un momento di debolezza.»

«Oltre a questo e all'appartenenza a quel diabolico partito, hai altri peccati gravi?»

Peppone vuotò il sacco.

In complesso era poca roba e don Camillo lo liquidò con una ventina fra Pater e Avemarie. Poi, mentre Peppone si inginocchiava davanti alla balaustra per dire la sua penitenza, don Camillo andò a inginocchiarsi sotto il Crocifisso.

«Gesù» disse «perdonami ma io gliele pesto.»

«Neanche per sogno» rispose Gesù. «Io l'ho perdonato e anche tu lo devi perdonare. In fondo è un brav'uomo.»

«Gesù, non ti fidare dei rossi: quelli tirano a fregare.

Guardalo bene: non vedi che faccia da barabba che ha?»

«Una faccia come tutte le altre. Don Camillo, tu hai il cuore avvelenato!»


«Gesù, se Vi ho servito bene fatemi una grazia: lasciate almeno che gli sbatta quel candelotto sulla schiena! Cos'è una candela, Gesù mio?»

«No» rispose Gesù. «Le tue mani sono fatte per benedire, non per percuotere.»

Don Camillo sospirò. Si inchinò e uscì dal cancelletto.

Si volse verso l'altare per segnarsi ancora e così si trovò dietro le spalle di Peppone che, inginocchiato, era immerso nelle sue preghiere.

«Sta bene» gemette don Camillo giungendo le palme e guardando Gesù. «Le mani sono fatte per benedire, ma i piedi no!»

«Anche questo è vero» disse Gesù dall'alto dell'altare.

«Però mi raccomando, don Camillo: una sola!»-

La pedata partì come un fulmine. Peppone incassò senza battere ciglio poi si alzò e sospirò sollevato:

«È dieci minuti che l'aspettavo» disse. «Adesso mi sento meglio.»

«Anch'io» esclamò don Camillo che aveva ora il cuore sgombro e netto come il cielo sereno.

Gesù non disse niente. Ma si vedeva che era contento anche Lui.

(Giovanni Guareschi, Don Camillo Mondo Piccolo, 1948)



Gualtieri


venerdì 26 settembre 2025

Nella valle delle mele

 

Castel Thun

Mele della Val di Non


Imponente e austero, ma dotato al tempo stesso di una speciale eleganza, il castello rispecchia il carattere dell'omonima stirpe trentina che vi stabilì la propria sede intorno alla metà del XIII secolo. 

Già al tramonto del Medioevo i Thun estesero i loro domini su gran parte delle valli del Noce, incorporando castelli e giurisdizioni. Da allora rimasero una delle più potenti famiglie feudali della regione, dividendosi in numerosi rami, uno dei quali si radicò in Boemia, dove nel 1629 acquisì, per tutto il casato, il predicato di Thun-Hohenstein e il titolo di conti dell'impero. 

Il maniero sorge in cima al colle sopra il paese di Vigo di Ton, in posizione panoramica rispetto all'intera valle. 

Costituito da torri, mura, bastioni e fossato, deve l'attuale aspetto alle modifiche intraprese nel Cinquecento e nel Seicento. Al 1566 risale la Porta Spagnola attraverso la quale si accede al ponte levatoio e al primo cortile, costruita in stile moresco.


L'ambiente più famoso è la secentesca Stanza del Vescovo, interamente rivestita di legno di cirmolo, con soffitto a cassettoni e stufa in maiolica.



I Thun dimorarono nel castello fino alla morte del conte Zdenko Franz Thun Hohenstein, avvenuta nel 1982.


San Romedio



Nel quarto secolo dell'era cristiana, all'epoca di San Vigilio vescovo di Trento, viveva, in una solitaria e selvaggia valletta della Valle di Non, un eremita chiamato Romedio. 
Narra la tradizione che il vecchio anacoreta, sentendo prossima l'ora della sua morte, desiderasse compiere un ultimo viaggio a Trento per ricevere la benedizione del santo Vescovo. 
Ultimati i preparativi del viaggio, i discepoli di Romedio si apprestavano a sellare il vecchio cavallo dell'eremita quando videro un grosso orso che stava divorando tranquillo la povera bestia legata ai margini del bosco. 
Accorse sul posto, Romedio, senza alcun turbamento e senza paura dell'orso, ordinò a questo di accucciarsi e di lasciarsi sellare. 
L'orso indossò la bardatura del cavallo morto e così Romedio iniziò il suo pellegrinaggio verso Trento. Uno stormo di uccelli accompagnava la piccola carovana annunciando a tutti l'eccezionale viaggiatore che al suo passaggio compiva molti miracoli. 
Al suo arrivo a Trento le campane del Duomo suonarono a festa per rendere omaggio al singolare personaggio. A Sanzeno, in Val di Non, un santuario evoca la figura di San Romedio che visse, secondo la storia, molto probabilmente durante il ciclo longobardo e venne canonizzato verso il 1100.

(da F.Osti "L'orso bruno nel Trentino" - 1999)




Nel luglio del 1809 il patriota tirolese Andreas Hofer, cattolico molto devoto, si recò in pellegrinaggio a San Romedio per invocare la protezione del santo prima di iniziare la sollevazione popolare contro l'invasione dei francesi e bavaresi.
Questo avvenimento è ricordato da una targa all'ingresso del santuario. Ogni anno gli Schützen di tutto il Tirolo si ritrovano al santuario per una celebrazione e una messa.

Andreas Hofer nacque il 22 novembre 1767 presso il maso Sandhof in Val Passiria, figlio di Josef Hofer e di Maria Aigentler. All’età di 3 anni rimase orfano di madre e a quella di 7, nel 1774, perse anche il padre. Josef Griner, marito di Anna, sorella maggiore di Andreas, si prese cura della famiglia. Terminata la scuola elementare Andreas fu mandato nel Tirolo italiano, per imparare la lingua e apprendere il mestiere di oste e contadino. Fu a Cles, presso la famiglia de Miller, dal 1780 al 1785 e poi a Ballino, presso la locanda Armani-Zanini, fino al 1788. Ritornato a gestire il maso di famiglia, si sposò nel 1789 con Anna Ladurner di Lagundo, dalla quale ebbe sette figli.
Nel 1790 fu eletto rappresentante della Val Passiria nel Landtag (Consiglio regionale) e nel corso della prima guerra di coalizione, nel 1796-97, fu impegnato al Passo del Tonale, al comando degli Schützen della Passiria.
Per il suo carisma e i numerosi contatti che aveva allacciato durante la sua permanenza nel Tirolo italiano e nella sua professione di oste, Andreas Hofer fu scelto tra le persone fidate che potessero fungere da tramite tra il governo austriaco e la popolazione tirolese, nei preparativi della sollevazione della popolazione della regione, che dovevano accompagnare l’apertura della guerra tra la Francia e l’Austria.
Fu impegnato sul finire di aprile del 1809, negli eventi che portarono alla cacciata dal Trentino delle truppe franco-bavaresi. Dopo la seconda battaglia del Bergisel, nel mese di maggio, Hofer diventò comandante supremo della regione e nel mese di agosto, dopo la terza battaglia del Bergisel, si insediò a Innsbruck come reggente del Tirolo. All’inizio di novembre, con la soppressione da parte dei francesi della sollevazione popolare tirolese, Hofer si ritirò nella propria valle. Si rifugiò con la famiglia presso una malga sulle montagne della Passiria dove fu catturato dai francesi il 27 gennaio 1810. Fu condotto a Mantova e qui fucilato il 20 febbraio 1810.

sabato 16 agosto 2025

Campagnaccia di sangue

 





Nel mese di maggio 1915 tra i vasti prati del Passo San Pellegrino si verificarono i primi sconfinamenti italiani nell’allora territorio austriaco. Gli austriaci però, erano ben appostati poco oltre il Passo San Pellegrino e sul sovrastante Passo delle Selle, ove costruirono un piccolo villaggio. Fu in questo modo preclusa ogni possibilità di avanzata verso la Val di Fassa.

Il conflitto italo - austriaco si spostò allora sulle creste di Costabella, dove alterne vicende determinarono, a spese di molto sangue, vari spostamenti di confine, con rilievi che diventavano ora italiani, dopo qualche giorno di nuovo austriaci. In particolare, merita di essere ricordata la battaglia del marzo 1917 per il possesso di Cima Costabella, dove tonnellate di piombo e granate si riversarono sugli appostamenti con effetti devastanti per i soldati italiani che li presidiavano.

Alla fine di ottobre di quell’anno, gli austriaci sfondarono sul fronte isontino, il fronte dolomitico venne abbandonato e fra queste montagne ritornò la pace e il silenzio. La zona si presenta ancora oggi ben conservata: caverne, trincee, postazioni, fondamenta di baracche.

(fonte: https://www.frontedeiricordi.it/i-sentieri-storici/costabella)




Il vasto altipiano erboso della Campagnaccia sovrasta il passo San Pellegrino. Oggi viene utilizzato come pascolo estivo e per lo sci in inverno, ma per tutta la durata della guerra questa vasta prateria fu “terra di nessuno” e fu tenuta costantemente sotto tiro dalla prima linea austro- ungarica che si snodava sulle cime sovrastanti (punta Alochet, passo Le Selle, catena di Costabella).

Il 18 giugno 1915 i soldati italiani occuparono i due modesti rilievi di Sas dal Musc e Colifon che delimitano la Campagnaccia verso sud: qui crearono due avamposti in caverne, collegati alle retrovie con lunghe trincee e mulattiere nascoste. Da qui era possibile controllare le creste di Costabella dove si concentrarono i principali scontri tra i due eserciti. In particolare merita di essere ricordata la battaglia del marzo 1917 per il possesso di cima Costabella, nella quale si registrarono molte perdite.

Le postazioni di Sas dal Musc e Colifon furono mantenute dagli italiani fino al novembre 1917, quando tutto il fronte dolomitico fu abbandonato, in seguito ai fatti di Caporetto. Oggi, lungo la catena montuosa Monzoni-Costabella, rimangono molte tracce della permanenza dei due eserciti che è possibile ammirare percorrendo due vie attrezzate che richiedono preparazione ed attrezzatura adeguata: l’alta via Creste di Costabella “Bepi Zac” e l’alta via dei Monzoni dedicata a Bruno Federspiel.