venerdì 2 dicembre 2016

"Io voglio la sua verità"




"Solo ora che Fidel Castro non c'è più posso rivelare un episodio che per anni per discrezione ho preferito tenere per me. Avvenne a Cuba nel gennaio del 1998 durante il viaggio di Giovanni Paolo II. Al termine di un lungo colloquio, lontano dalle telecamere, il Papa donò a Castro un piccolo crocifisso in oro. Fidel accettò il dono e se lo mise nella tasca della sua giacca. Allora, e così negli anni successivi, questa cosa non poté essere rivelata. Per Wojtyla fu un segno col quale riconosceva del buono negli ideali del leader cubano. Non so cosa rappresentò per Castro. Ma comunque fu significativo il fatto che accettò il dono privato del Papa". Joaquin Navarro-Valls aveva con Castro un rapporto speciale. Con lui svestì i panni del mero portavoce papale. Nell'ottobre del 1997, infatti, agì da fine diplomatico andando da solo in avanscoperta all'Avana per preparare lo storico incontro.

Cosa ricorda della sua missione lì?
"Tante cose. Su tutte probabilmente ciò che avvenne mentre il Papa stava volando per Cuba. Io lo aspettavo all'Avana. In volo - allora le conferenze stampa si facevano durante il viaggio di andata - un giornalista gli chiese: "Santo Padre, che cosa si aspetta da Fidel?". Rispose: "Io voglio la sua verità, la sua verità di rivoluzionario, di capo di Cuba, la sua verità come comandante". Mi mandarono subito il testo della conferenza stampa. Feci vedere a Fidel quella risposta del Papa che divenne immediatamente l'ordine del giorno della visita. Wojtyla voleva la verità di Fidel. Insomma, era arrivato fin lì per ascoltarlo".

L'incontro privato fra i due durò diverse ore. Cosa si dissero?
"Posso solo dire che uscirono sorridenti e rilassati. Credo che Castro gli abbia fatto moltissime domande. Era un uomo intellettualmente molto curioso".

Lei come preparò l'incontro?
"Venni invitato a casa di Castro verso sera. Lui di notte dormiva pochissimo. E, infatti, parlammo fino a notte fonda. Affrontammo diversi temi. Ricordo che mi chiese se a mio avviso ci fosse della vita oltre il nostro mondo. Gli dissi che la scienza fino a oggi non l'aveva scoperto ma che comunque di per sé non si poteva escludere. Poi mi disse: "La sfido a trovare in tutta la rivoluzione cubana una sola goccia di sangue versata da un prete cattolico". Voleva sottolineare il fatto che a Cuba i preti non erano perseguitati a differenza di quanto avvenuto nelle rivoluzioni messicana e spagnola dove diversi sacerdoti vennero uccisi".

Tuttavia la Chiesa non aveva libertà d'azione.
"Era così. E Wojtyla lo sapeva bene. La Chiesa non poteva aprire scuole, ricoverare bambini, orfani. Nulla. Però, dopo l'incontro col Papa, la situazione cambiò in meglio. Fu uno dei frutti più belli di quel viaggio".

Spesso Castro veniva descritto come un condottiero burbero, spigoloso.
"In realtà se si aveva pazienza e se si riusciva ad andare oltre la facciata formale del grande dittatore si poteva incontrare un uomo anche giovale e capace di scherzare. Abbiamo riso moltissimo insieme. C'era un momento in cui abbassava la guardia e si lasciava andare a scherzi e risa ". Cosa pensava del Papa? "Giovanni Paolo II desiderava andare a Cuba ma l'invito non arrivava. Poi Castro venne a Roma, incontrò Wojtyla alla Fao e in quell'occasione decise di invitare il Papa. Credo che in fondo avesse ammirazione per il Papa, insieme a una grande curiosità".

Salutandolo all'aeroporto di Cuba Fidel cosa disse al Papa?
"Fu un saluto molto singolare. Disse: "Santo Padre, io la ringrazio per tutto quello che ha detto in questi giorni a Cuba, anche per quelle cose che a me non hanno potuto far piacere". Fu molto sincero e il Papa apprezzò".

Al disgelo con gli Stati Uniti ha contribuito molto la diplomazia vaticana. Come si è arrivati a questo risultato?
"Ho seguito naturalmente l'opera portata avanti da Benedetto XVI prima e da Francesco poi. La diplomazia vaticana agisce tassello dopo tassello. Il risultato finale è sempre il frutto di un grande lavoro precedente. Con Giovanni Paolo II c'è stato il cambiamento di una Chiesa, quella cubana, che dal nulla ebbe finalmente una sua rilevanza sociale. Prima del viaggio di Wojtyla era come se la Chiesa cattolica non esistesse: non si vedeva e non si sentiva. Erano vietate le manifestazioni pubbliche per le strade, anche qualsiasi forma di pietà popolare. Da lì in poi sono stati fatti altri passi che anche grazie al lavoro dei nunzi presenti sul territorio hanno contribuito al disgelo con gli Stati Uniti".

Fonte: Paolo Rodari per La Repubblica


 

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