domenica 20 novembre 2016

Non eri Tevere se il Nera non ti dava il bevere




CASTELSANTANGELO SUL NERA. In quale altro luogo al mondo trovi una chiesa medievale ogni dodici abitanti? A Castelsantangelo sul Nera, 280 anime terremotate a 725 metri sul livello del mare, ne esistono 22, "tutte edificate tra il 1200 e il 1300". Il tempo del verbo è improprio: forse bisogna già dire "esistevano": nessuna è agibile, qualcuna è distrutta, alcune non hanno più il campanile o porzioni di tetto e navata. Di certo, per provare a salvare questo patrimonio unico bisogna correre: anche ieri una scossa violenta ha fatto crollare una porzione del tetto della chiesa patronale di Santo Stefano, che sotto il suo soffitto a volta proteggeva "un fonte battesimale in pietra del XIV secolo, un affresco di Paolo Bontulli del 1521, un tabernacolo ligneo seicentesco e altre tele e affreschi dello stesso periodo", come raccontano i blog sui tesori nascosti tra i Sibillini.

D'estate, quando i turisti che affollano Castelluccio di Norcia salgono a Pian Perduto e riscendono qui a vedere le sorgenti del Nera, nei tornanti sopra Castelsantangelo restano folgorati: il borgo triangolare cinto da antiche mura del Cinquecento è uno spettacolo irresistibile. Quelle mura di pietra bianca che ora cedono a ogni nuova scossa sono un ricordo della battaglia con cui vissani e castellani - gli abitanti di Visso e di Castelsantangelo - sconfissero i norcini risaliti da Castelluccio, conquistando l'altopiano al valico. Non è un caso se si chiama Pian Perduto: perso dai norcini, acquisito dai castellani che oggi possiedono così uno scampolo della celebre fioritura di Castelluccio, quando la lenticchia e la roveja in fiore dipingono l'intero acrocoro come una tela contesa tra impressionisti e puntinisti. Anche a Pian Perduto è "Lenticchia di Castelluccio Dop".

C'è tanta storia, in questo borgo in cui nacque la mamma di San Benedetto, per dar da vivere alle 170 famiglie che ci abitano: 280 residenti nei mesi bigi, e cinquemila persone con il popolo delle seconde case e i turisti. Ci sono undici bambini in età scolastica, tre dipendenti comunali, una ventina di stipendi nell'azienda principale, l'imbottigliamento dell'acqua Nerea che accoglie chi arriva sulla provinciale da Visso. Poco più su ci sono le antiche sorgenti del Nera: "Non eri Tevere se il Nera non ti dava il bevere", recitano a filastrocca gli anziani.



Nel primo affluente del Tevere, che qui somiglia a un torrentello, nuotano libere le prelibate trote Fario, più pregiate delle Iridee allevate. Nei boschi, in questa stagione affrescati con la tavolozza dell'autunno, si raccolgono i marroni di Castello, piccoli, chiari e dolci. E quest'anno sono spuntate camionate di funghi "turini", il prataiolo di queste valli. Qui sono di casa lupi e cervi, istrici e scoiattoli, orsi e aquile. Dal centro faunistico della forestale, oggi chiuso, gli animali salvati sono stati trasferiti: nessuno poteva rimanere a sfamare lupo Merlino, la mascotte della vallata, portato qui da cucciolo orfano e mai liberato per paura che qualche umano spaventato lo accoppasse.

C'è una varietà di colori e di sapori che un borgo svizzero ci avrebbe fatto fortuna; invece te lo gustavi senza ressa, il genius loci è troppo schietto per rendersi attraente. Medioevo e Rinascimento ovunque: in centro c'è la chiesa di San Sebastiano, danneggiata. Salendo per la medievale porta Castello ecco Santo Stefano semidistrutto e San Martino dei Gualdesi, con un affresco del Cristo della Domenica. Uscendo da porta Nocrina si sale al monastero delle benedettine di San Liberatore, con la chiesetta affrescata da Paolo da Visso. Il borgo era vissuto tutto l'anno: d'estate, decine di passeggiate da brividi al Vettore, al rifugio Zilioli o al lago Pilato, percorsi per mountain bike e il tartufo nero dei ristoranti; d'inverno le piste da sci del Prata e l'Argentello, grande meta dello sci alpinistico nel Centro Italia.

Fonte, La Repubblica, Paolo Brera

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