domenica 30 gennaio 2011

Quasi a voler toccare il cielo...






"Come per Elia, che incontrava Dio nella brezza carezzevole e riposante dell'Oreb, come per Mosè, che pregava sul monte per rincuorare il suo popolo in lotta per aprirsi un varco verso la libertà, così per Karol Wojtyla, il rapporto con la montagna è stato quanto mai singolare. Esso risale agli anni della sua giovinezza, quando, appena prete, accompagnava gli studenti universitari sui Tatra, i monti amati della sua patria. Un rapporto mai interrotto, neppure quando tutto sembrava impedirlo, a iniziare dalla salute.



Sui viaggi di Giovanni Paolo II sappiamo praticamente tutto:
numero di discorsi 3.288, in Italia e all'estero;
chilometri percorsi 1.247.613: in 104 viaggi internazionali e 146 italiani, si tratta di circa tre anni fuori dal Vaticano.


Ma se proviamo a chiedere quante volte il Papa è stato in montagna, quante volte ha lasciato, per così dire, di nascosto, i Palazzi Apostolici o la Villa Pontificia di Castel Gandolfo, si riceve come risposta un vago: "alcune volte" . Ed è giusto che sia così. Per esempio, qualcuno ha provato a contare tutte le volte che sarebbe venuto sulle montagne abruzzesi, ed il numero è impressionante, l'hanno pubblicato anche i giornali, nei giorni scorsi, proprio in occasione di questo nostro odierno appuntamento.
Il Papa si è portato questo segreto nel Cielo. Non manca certo chi potrà dircelo un giorno, avendolo accompagnato fedelmente per oltre 26 anni di pontificato anche in questi momenti più intimi e privati.



Quello che a noi interessa è lo sguardo contemplativo di Papa Wojtyla, che, tra l'altro ha cantato la montagna con accenti di sublime poesia, cercando in essa la bellezza e la potenza, i profondi silenzi e le voci arcane.

In un suo discorso c'è un passaggio che mi colpisce: "Guardando le cime dei monti si ha l'impressione che la terra si proietti verso l'alto, quasi a voler toccare il cielo: in tale slancio l'uomo sente, in qualche modo, interpretata la sua ansia di trascendente e di infinito".



E ancora: "L'uomo contemporaneo che sembra rivolgersi talvolta unicamente alle cose della terra, in una visione materialistica della vita, deve di nuovo saper guardare verso l'alto, verso le vette della grazia e della gloria, per le quali è stato creato e a cui è chiamato dalla bontà e grandezza di Dio" (Discorso dal ghiacciaio del Brenva. Monte Bianco, 8 settembre 1986).



Mi pare che in queste parole di Giovanni Paolo II sia racchiuso il grande messaggio che il Grande Papa polacco ha voluto lasciarci, anche attraverso il suo sconfinato amore alla montagna, in stretto rapporto con l'amore per "il Suo Maestro", di cui ci ha parlato anche nel testamento.



Come la vetta di un monte costringe sempre ad alzare lo sguardo, ad elevarsi verso l'alto, similmente la vita e l'insegnamento di Giovanni Paolo II, continuano ad essere per noi come un indice puntato verso il cielo, un rinviare alla infinità Maestà e Trascendenza divina di Cristo, rispetto all'orizzonte piatto e mediocre nel quale troppo spesso siamo immersi.

Dall'omelia del Cardinale Josè Saraiva Martins,
in occasione della cerimonia di intitolazione di una Cima del Gran Sasso a Giovanni Paolo II.

Chiesa di San Pietro della Jenca
Mercoledì, 18 maggio 2005


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