giovedì 30 giugno 2011

Angelo Scola: Giovanni Paolo II e le tre vie di Dio

 

Il 28 giugno Papa Benedetto XVI ha nominato il Patriarca di Venezia, Angelo Scola, nuovo Arcivescovo della Diocesi di Milano, in sostituzione del Cardinale Dionigi Tettamanzi.

Nell'anno 2002 era stato Giovanni Paolo II a designare Scola per la cattedra di S. Marco. 

Pubblichiamo, di seguito, un intervento del Cardinale Scola incentrato sulla visione filosofica di Karol Wojtyla,  definito, a buon diritto, "pensatore al passo con i filosofi contemporanei".

Invitiamo, altresì, i nostri amici a rileggere il post pubblicato su questo blog il 4 maggio 2011.

Ricordiamo, infine, che Angelo Scola è, da sempre, un grande appassionato delle vette. Per tale ragione, nel 2006 ha ricevuto la tessera di socio onorario dell'associazione Giovane Montagna.

 

Testimone dell’epoca tragica delle grandi ideologie, dei re­gimi totalitari e del loro crol­lo, Giovanni Paolo II ha avuto una profonda coscienza della transizio­ne dalla modernità a quella che si è ormai convenuto di chiamare la po­st-modernità. Egli ha colto in antici­po l’ingresso dell’umanità in una fa­se di forte travaglio segnata da nuo­ve tensioni e contraddizioni.
La prima di queste tensioni si collo­ca proprio nella attuale fase della pa­rabola del processo di secolarizza­zione. Se la cifra sintetica della mo­dernità ha avuto la sua punta e­spressiva in alcuni teorici di un atei­smo radicale e militante, la post­modernità pare invece contraddi­stinta da un’attitudine meno ag­guerrita, ma forse assai più provoca­toria nei confronti della religione.
Come afferma Charles Taylor, «sia­mo passati da una società in cui era 'virtualmente impossibile' non cre­dere in Dio, ad una in cui anche per il credente più devoto questa è solo una possibilità umana tra le altre». Ciò non implica una scomparsa del religioso. Anzi, proprio nell’odierna fase di secolarizzazione avanzata, as­sistiamo a un «ritorno del sacro», che, pur aprendo nuove prospettive, «non è privo di ambiguità», come ricono­sceva lo stesso Giovanni Paolo II. La tendenza attuale attesta di fatto il permanere di un disincanto univer­sale in cui la fede cristiana, ritenuta da molti pura convinzione soggetti­va e non razionalmente documen­tabile, sarebbe tutt’al più legittima­ta a sopravvivere accanto alle altre e­spressioni religiose, in nome di un diritto universale alla differenza. Me­diante un’applicazione scorretta del principio di uguaglianza si giunge in­fatti a sostenere che le religioni sono «tutte diverse e tutte uguali».
L’oggettività che la cultura odierna nega alla fede, e veniamo così a una seconda 'pretesa' del mondo con­temporaneo, finisce per essere rico­nosciuta alla scienza sperimentale, cui sola spetterebbe – se non una de­finizione – di certo una descrizione compiuta dell’uomo. Si diffonde sempre più infatti, soprattutto in for­za delle strabilianti scoperte nel cam­po della biologia, della bio-chimica e delle neuroscienze, una vulgata di timbro scientista che tende a ricon­durre tutte le espressioni e le facoltà dell’umano a pure attività cerebrali. Queste in prospettiva potrebbero, si afferma, diventare addirittura artifi­ciali. In questo senso non sarebbe più possibile, a rigore, parlare di un soggetto personale, dotato di una di­gnità intrinseca, portatore di diritti e di doveri, ma l’uomo non sarebbe al­tro che «il suo proprio esperimento». Le problematiche, troppo sintetica­mente richiamate, impongono alla fede cristiana una svolta cruciale. A ben vedere, quella che alla fine del­l’epoca moderna, che discettava di morte di Dio e del soggetto, era la do­manda corrente: «Esiste Dio?» assu­me, nella post-modernità, un’altra, forse più stringente, formulazione: «Come nominare Dio oggi, come narrare di Lui comunicandolo come Dio vivo all’uomo reale?».
Nell’ottica cristiana Dio è Colui che viene nel mondo e perciò si distingue da esso senza che questo escluda la possibilità di coglierlo come familia­re. Per parlare di Dio «si deve azzar­dare l’ipotesi che sia Dio stesso ad a­bilitare l’uomo a divenirgli familiare. La fede cristiana vive anche dell’e­sperienza di Dio che si è fatto cono­scere e si è reso familiare». È neces­sario stabilire prima la familiarità con Dio perché Dio sia conosciuto. Allo­ra «Dio diventa una scoperta, che insegna a vedere tutto con occhi nuovi».
La riflessione di Karol Wojtyla, alla luce del magistero soprattutto trini­tario di Giovanni Paolo II, offre una risposta persuasiva a questo inter­rogativo, mostrando in tal modo la forza profetica del suo pensiero e, quindi, la sua attualità. Per incon­trare Dio l’uomo postmoderno dovrà cercarlo sulle vie lungo le quali Dio si attesta all’enigma ­uomo (l’uomo è un essere che esiste ma non ha in sé il principio della propria esisten­za), continuando a rendersi a noi fa­miliare.
La riflessione e l’insegnamento di Ka­rol Wojtyla-Giovanni Paolo II ne in­dicano almeno tre. La prima via è la stessa esperienza comune dell’uomo. Anche tenendo conto di tutte le o­biezioni che scaturiscono dalla com­plessità di vita propria dell’uomo po­st- moderno, si deve concludere con Karol Wojtyla: «Eppure esiste qual­cosa che può essere chiamato espe­rienza comune dell’uomo», di cia­scun uomo. Essa ne attesta anzitut­to l’integralità (il reale è intelligibile e l’uomo può ospitarlo) e l’elemen­tarità (ogni uomo conviene con tut­ti gli altri nel vivere affetti, lavoro e ri­poso), vale a dire la sua indistruttibile semplicità. Nota ancora Wojtyla: «Questa esperienza nella sua so­stanziale semplicità supera qualun­que incommensurabilità e qualun­que complessità».

La seconda via passa per la struttu­ra originaria dell’uomo nelle sue tre polarità costitutive che individuano l’ unità duale dell’io . È il dato antro­pologico essenziale che vede l’uomo uno nella dualità di anima-corpo, di uomo-donna e di individuo-società. Voglio in particolare ricordare la cen­tralità, nell’indagine e nel magistero di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II, del tema dell’uomo-donna e del mi­stero nuziale. L’uomo, ci ha insegna­to il Papa sulla base di quanto con­tenuto nei racconti genesiaci della creazione, non può esistere solo, ma «soltanto come unità dei due, e pe­r­ l’analisi ciò in relazione ad un’altra persona umana» Egli è costitutivamente a­perto all’altro. L’essere umano infat­ti non è solo individuo (identità), ma anche persona (relazione/differen­za) capace di autotrascendersi. Que­sto elemento antropologico origina­rio riceve un’adeguata spiegazione alla luce della Rivelazione. Da un la­to, esso si pone infatti in analogia con l’incontro, in chiave nuziale, tra Dio e l’umanità, e dall’altro, come Gio­vanni Paolo II ha genialmente intui­to, reca l’impronta della comunione trinitaria.
La terza via che sostiene l’insoppri­mibile desiderio umano di Dio nel­la scoperta del suo essere a noi fa­miliare è la domanda circa la fragi­lità e, soprattutto, circa il male, il do­lore e la sofferenza. In molti pro­nunciamenti, e soprattutto nella Let­tera apostolica Salvifici doloris, Gio­vanni Paolo II ha mostrato che l’e­sperienza umana della fragilità, del­la sofferenza e del male non può es­sere separata dalla domanda di sal­vezza e di redenzione. La risposta a questa domanda può essere almeno intravista nell’atteggiamento uma­no del dono totale di sé, cioè dell’of­ferta: «Il dolore si scioglie in un a­more riconoscente», scriveva negli anni di prigionia il cardinal Wyszyn­sky. Se la vita ci è data, allora essa si può compiere solo nel dono. La con­troprova sta nel fatto che, se non la doni, la vita ti è rubata dal tempo.
Si può mostrare che le tre chiavi me­todologiche suggerite forniscono a Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II una base filosofica sufficientemente so­lida per reggere alle obiezioni che il pensiero contemporaneo ha rivolto alla metafisica e alla ontologia. Fan­no di lui un pensatore al passo con i filosofi contemporanei. È così possi­bile mostrare, in modo fondato, co­me la proposta di Dio formulata da Giovanni Paolo II, soprattutto nelle tre encicliche trinitarie, risponde al desiderio di Dio, insopprimibile an­che quando viene sepolto sotto le macerie dell’odierno clima nichili­stico, dell’uomo postmoderno. La via maestra scelta dal papa polacco è quella della contemporaneità di Ge­sù Cristo.
Card. Angelo Scola  (Avvenire, 9 dicembre 2010)

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