lunedì 18 luglio 2011

Damose da fa' !



"Damose da fa' e volemose bene ". E' l'invito, in dialetto romanesco, fatto a braccio da Giovanni Paolo II ai parroci e preti romani, ricevuti oggi in Vaticano per il tradizionale incontro di inizio Quaresima. Il Pontefice non è rimasto insensibile all'intervento fatto da un parroco che sottolineava in modo scherzoso, il fatto che tutti i pellegrini del mondo vengono salutati da Giovanni Paolo II nelle loro lingue, anche le più difficili, mentre i romani non sentono praticamente mai il loro vescovo parlare in dialetto.

Quando è stato il momento del suo discorso conclusivo, Wojtyla ha riassunto brevemente le sue parole e ha concluso l'intervento a braccio. In 25 anni di Pontificato, ha detto sorridendo, "non ho imparato il romanesco: vuol dire che non sono un buon Vescovo di Roma?". Poi, per scherzare, il Papa ha provato a tradurre in dialetto alcune delle sue esortazioni ai sacerdoti: "Dàmose da fa!", "Volèmose bbene!", "Semo romani!". E abbandonando il testo preparato ha sottolineato che "in primo luogo, Roma vuol dire Roma Città petrina. E ogni parrocchia è petrina". "Sono 340 - ha ricordato - le parrocchie di Roma. 300 le ho già visitate. Ne mancano 40. Ma cominceremo già questo sabato a completare il numero delle visite. Speriamo - ha concluso - che tutto vada bene".

A parte il congedo scherzoso, l'incontro di oggi verteva sulla difesa della "centralità della famiglia", che nasce dal matrimonio indissolubile. L'incontro è stata l'occasione per il Papa di ascoltare, oltre alle parole del cardinale vicario, Camillo Ruini, anche gli interventi dei parroci che hanno messo in luce i vari aspetti del programma pastorale diocesano incentrato sulla famiglia.


Sottolineando che riconoscere la centralità della famiglia nella Chiesa e nella società è stato il "compito irrinunciabile" di tutta la sua vita di sacerdote, vescovo e Papa, Wojtyla ha detto che "il matrimonio e la famiglia non possono essere considerati un semplice prodotto delle circostanze storiche, o una sovrastruttura imposta dall'esterno all'amore umano". Al contrario, secondo il Papa, "essi sono un'esigenza interiore di questo amore, affinché esso possa realizzarsi nella sua verità e nella sua pienezza di reciproca donazione. Anche quelle caratteristiche dell'unione coniugale che oggi sono spesso misconosciute e rifiutate, come le sua unità, indissolubilità e apertura alla vita, sono invece richieste perché sia autentico il patto di amore".

Ai sacerdoti, Giovanni Paolo II ha ricordato che la loro responsabilità nei confronti delle famiglie "si estende non solo ai problemi morali e liturgici, ma anche a quelli di carattere personale e sociale. Voi siete chiamati, in particolare, a sostenere la famiglia nelle sue difficoltà e sofferenze".

Infine, il Papa ha esortato a non lasciarsi scoraggiare da sfiducia e rassegnazione che possono sorgere a causa dei "comportamenti sbagliati e non di rado aberranti che vengono pubblicamente proposti e anche ostentati e esaltati" o a causa delle "contatto quotidiano con le difficoltà e le crisi che molte famiglie attraversano".

"Nessun errore e nessun peccato, nessuna ideologia e nessun inganno umano - ha concluso il Papa - possono sopprimere la struttura profonda del nostro essere, che ha bisogno di essere amato ed è a sua volta capace di amore autentico".

(La Repubblica 26 febbraio 2004)

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