sabato 24 marzo 2012

La luna di Tonino


La luna
è l’unico astro
che sorge dietro le montagne
e tramonta dentro di noi
.”

Tonino Guerra (1920-2012)



Anni fa, in un articolo su L’Europeo, Tonino Guerra ricordava di quando la madre, contadina romagnola, lo veniva a trovare a Roma dove il poeta e sceneggiatore si era trasferito per lavorare, fra gli altri, con Federico Fellini. La madre si presentava regolarmente con una bistecca avvoltolata in una tasca: «Per non disturbare», diceva lei, abbassando la testa. Oggi, senza disturbare, Tonino guerra se ne è andato, cinque giorni dopo aver compiuto 92 anni. Ci sembra giusto ricordarlo per dettagli, come quella bistecca avvoltolata e quella testa abbassata con pudore, più che per la sua illustre carriera o – Dio non voglia – le pubblicità sull’ottimismo profumo della vita.
Come diceva Tonino, la guerra si capisce meglio non ascoltando il fragore delle bombe, ma il tonfo di una pera che precipita dall’albero in conseguenza dell’esplosione in lontananza. «Contento proprio contento/sono stato molte volte nella vita/ ma più di tutte quando mi hanno liberato/ in Germania/che mi sono messo a guardare una farfalla/ senza la voglia di mangiarla», scriveva Guerra ne La farfalla, una delle sue poesie più famose (che traduciamo dal dialetto di Santarcangelo di Romagna, compiendo un piccolo sacrilegio), ricordo della sua prigionia nel campo di concentramento di Troisdorf. Tornato dal campo, trovò suo padre ad aspettarlo sull’uscio: «Hai mangiato?» fu la sua unica domanda. «Moltissimo», rispose Tonino. Per non disturbare.
C’è una sorta di giustizia poetica (per lui, non per noi che restiamo) nel suo andarsene con il frullo del passero, il primo giorno di primavera. C’era un tocco gentile dietro ogni suo «scarabocc», come lui chiamava i suoi versi, c’era la sua attenzione verso il visibile, e ancor di più verso l’invisibile, nelle sue sceneggiature ineffabili per Michelangelo Antonioni (L’avventura, La notte, L’eclisse, Blow up – che gli meritò una candidatura agli Oscar –, Deserto rosso, Zabriskie Point, Al di là delle nuvole, Eros).
C’erano la sua attenzione ai suoni, la sua Romagna, la nostalgia del passato, in Amarcord e poi in E la nave va e Ginger e Fred di Fellini. Non a caso Tarkovskij l’ha voluto con sé per Nostalghia e Anghelopoulos ha chiesto il suo aiuto per creare le atmosfere elegiache e malinconiche de Il volo, Il passo sospeso della cicogna, L’eternità e un giorno, La polvere del tempo. Del resto è lui che ha scritto: «La luna è l’unico astro che nasce dietro alle montagne e tramonta dentro di noi».
Ma è al nostro cinema che Guerra ha dato il suo contributo più prezioso, di umanità oltre che di talento, perché era quintessenzialmente italiano in quella sua capacità di essere allo stesso tempo aereo e attaccato alla terra, in quel suo delicato umorismo che irrideva la condizione umana senza dimenticarsi di abbracciarla.
C’è il suo tocco in Matrimonio all’italiana e I girasoli di Vittorio De Sica, in Casanova ’70, Caro Michele e Il male oscuro di Mario Monicelli, entrambi suoi amici fraterni. Non era estraneo neppure al cinema di impegno, avendo lavorato insieme ad Elio Petri (La decima vittima) e Francesco Rosi (Tre fratelli).
Forse una delle sue sceneggiature più riuscite, che gli è valsa un David di Donatello, è quella di Kaos scritta insieme ai fratelli Taviani, osando mettersi alla prova con un pilastro della letteratura italiana, Pirandello (e il Premio Pirandello è uno dei riconoscimenti che ha ricevuto per la sua opera letteraria).
Guerra apparteneva ad un’epoca del nostro passato in cui il cinema si faceva tutti insieme e le sceneggiature erano il risultato di uno sforzo corale (sebbene Tonino mai l’avrebbe definito sforzo, semmai divertimento), con Age e Scarpelli, Suso Cecchi D’Amico, Ennio Flaiano, Piero De Bernardi, Tullio Pinelli tutti seduti intorno a un tavolo (preferibilmente d’osteria) a giocare a chi aveva la trovata più bella.
Pittore, poeta, scrittore, sceneggiatore, Tonino era soprattutto un catalizzatore di creatività, un magnete per gli artisti e i giovani, che si addentravano in Romagna apposta per raggiungerlo a Pennabilli, dove aveva creato i suoi «luoghi dell’anima»: allestimenti, mostre, installazioni, giardini, fontane. «Ora il cinema si sta allontanando da me», ha detto quando hanno smesso di cercarlo, ed è rimasto a Pennabilli, per non disturbare.
«Mi piace se piove o anche quando la nebbia copre completamente la valle del piccolo affluente del Marecchia, il Messa, e io ho l’impressione di vivere con me stesso». D’altronde, non c’era compagnia migliore.

Paola Casella, Europa, 22 marzo 2012

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