La luce di una giornata di sole sulla neve o le ombre di una notte di luna suscitano un fascino che si coniuga con una paradossale assenza di senso del pericolo.
L’idea della montagna luna park trasferisce lo sci di massa su piste rese sicure da un fasullo spirito di avventura nelle notti di luna piena.
Spirito di avventura per gustare non soltanto una cena nel silenzio dei monti ma una sciata nel mistero della notte, su neve che canta dopo la «pettinata» dei battipista. Moda che annulla il più elementare istinto di sopravvivenza e che neppure sfiora la realtà di un ambiente in cui il rischio è incombente.
Non è un caso se negli ultimi vent’anni, dopo l’apparizione degli sciatori della notte, i legislatori, a partire dalla Valle d’Aosta, hanno scritto norme di divieto. Leggi a tutela anche dei gestori dei comprensori sciistici che finivano indagati per chi, dopo la chiusura degli impianti, subiva incidenti.
Il matrimonio d’interesse tra montagna e avventura supera le asprezze e i pericoli del territorio. La moda di una cena sulle piste, con la comodità di una salita motorizzata verso il ristorante oltre i 2000 metri e la promessa di un’indimenticabile discesa notturna con gli sci, azzera ogni responsabilità individuale residua. Di buon senso non è neppure il caso di parlarne. L’alibi per non esercitarlo è la folla del giorno: nasce così la percezione che dove si è in tanti nulla di male possa accadere. Una folla di sciatori vale molto più di qualsiasi promozione.
Nei primi decenni del Novecento Samivel, nome d’arte dello scrittore-cineasta francese Paul Gayet-Tancrède, con ironiche tavole ad acquerello aveva predetto il destino affollato della montagna del turismo, indicandone conseguenze anche disastrose. Fu apprezzato per la sua tecnica, molto meno per la sua vena di Cassandra dello sviluppo alpino.
La montagna è preda di un dissennato utilizzo, non importa a quale quota. Un ripensamento è inevitabile. Il punto di partenza non può che essere una conoscenza territoriale di ritorno, in quanto la sapienza montanara è offuscata dagli stessi abitanti delle Alpi. Scelta obbligata. L’alternativa è una serie di leggi di divieto, di «patentini» di chi può scalare le vette o chissà che altro. Lo sci notturno inconsapevole dei pericoli non è che una faccia delle tante follie nelle terre alte, dal fuoripista all’alpinismo improvvisato, che premiano il divertimento e promuovono l’avventura ignorando il pericolo di un territorio ostile.
La tecnologia, la tecnica accompagnata alla preparazione fisica (palestre e pareti di roccia) hanno eliminato la naturale paura nell’affrontare luoghi impervi. Hanno dato per soddisfatte le incognite della difficile equazione montagna-sicurezza, che lascia sempre insoluta almeno la «X» del pericolo oggettivo, dalla frana alla valanga. Senza contare la variabile meteorologica e l’assurdità, seguita perfino da professionisti, di calcolare tempi di salita e discesa senza tenere in alcun conto la possibilità di un incidente banale, quale la rottura di un attacco da sci o di un rampone.
Enrico Martinet, La Stampa, 6 gennaio 2013
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