Nei giorni scorsi è venuto a mancare il Senatore a vita Giulio Andreotti.
Lo vogliamo ricordare per il suo amore per Cortina, località delle Dolomiti ampezzane nella quale trascorreva immancabilmente le vacanze estive, ospite con la sua famiglia delle Suore Orsoline.
"Se n'è andato anche lui, Giulio Andreotti - è quanto afferma Silvano Magnelli -
uno degli uomini più prestigiosi, geniali e discussi della politica
italiana del dopoguerra, se vogliamo l'icona stessa della prima
Repubblica, anche se altri forse lo hanno superato in elevatezza e
spessore, si pensi a De Gasperi, a Moro, a Zaccagnini. A quelli della mia
generazione, i giovani del periodo più fortunato della prima
Repubblica, i giovani degli anni sessanta..., quel nome rimandava al
tempo stesso ammirazione per le sue trovate, per i suoi scritti, per le
raffinate argomentazioni, per la capacità di sintesi politica, ma
insieme un senso di mistero e di enigma legati alla sua personalità.
Andreotti fu di certo un uomo di Stato di valore, un cultore di quella
politica possibile intessuta di una democrazia ragionevole e ragionata,
in cui si raggiunge l'obbiettivo a piccoli passi , tra mille e mille
mediazioni e combinazioni, tenendo insieme anche ciò che insieme non
stava. Le sue analisi erano lucidissime, talora disincantate, talora
spiritose, sempre aggiornate sul campo della realtà. Forse verso la fine
venne a mancare in lui proprio quel senso della realtà, che aveva
segnato la sua azione politica e persino Andreotti non si accorse che ,
dopo la caduta del muro di Berlino, nulla sarebbe rimasto come prima, e
che il mondo in cui lui si era mosso con tanta disinvoltura, era ormai
finito.
Mi trovai a prendere contatto con l'on. Andreotti ancora Presidente dle
Consiglio verso la fine dell'estate del 1991, in quanto all'epoca
ero vicedirettore del settimanale cattolico Vita Nuova di Trieste e
godendo dell' amicizia di gentili suore Orsoline che d'estate ospitavano
nella loro casa di Cortina la famiglia Andreotti,riuscii con il loro
aiuto a ritagliarmi un'indimenticabile intervista, che venne pubblicata
sul settimanale. Cortese ed accogliente, il Presidente mi ricevette in
una stanza della casa delle Orsoline, dandomi un tempo determinato,
visto che doveva presentare un suo libro, ma i venti minuti furono
sufficienti. Le mie domande ruotarono attorno al tema del rapporto tra
la politica e la comunità cattolica, ma anche tra la politica e il
rispetto delle regole e il senso dello Stato.
Memorabile per me , la sua risposta alla domanda su cosa ne pensasse lui delle critiche che , sempre più frequentemente, arrivavano dal mondo dei cattolici impegnati alla Dc ed ai suoi ambienti.
Giulio Andreotti rispose con garbo ed arguzia che : In politica, a starci dentro ci si capisce poco, a starne fuori non ci si capisce nulla" con ciò rimandando al mittente, ovvero ai tanti cattolici critici, la sfida di entrarci dentro in politica per capire quel pò che si può capire oppure di tacere....
Confesso che quella risposta non mi lasciò del tutto convinto, pur cominciando proprio in quegli anni un mio personale impegno in politica e nello stesso partito, ma come potevo cogliere, così inesperto com'ero, le finezze di quei ragionamenti, che segnavano però una distanza non più colmabile con un Paese ormai diverso da come Andreotti l'aveva conosciuto?
Notai in lui infatti un' impermeabile robustezza del pensiero , ma al tempo stesso, una difesa rispetto al cambiamento che nel corso di pochi mesi da quell'incontro avrebbe travolto la prima Repubblica,dove alla moderazione studiata ed astuta, ma saggia di Andreotti subentrerà la sfacciata esibizione di interessi personali, di fronte ai quali anche le ritrosie e le frenate andreottiane apparivano inezie.
Andreotti appunto coltivò sempre il senso dello Stato e del buon senso comune, altezze irraggiungibili da chi oltre se stesso non sa vedere nulla di buono nè conosce le regole del vivere comune.
Tutto si può dire o argomentare oggi anche per i sospetti forse esagerati che su di lui si addensarono , ma rimane il sapore di un 'idea più nobile e costruttiva della politica, una politica di alto profilo, non triviale e faziosa come poi si sarebbe manifestata in Italia.
Una politica da gentiluomini, appunto, e non da cialtroni".
fonte: Corriere della Sera
Memorabile per me , la sua risposta alla domanda su cosa ne pensasse lui delle critiche che , sempre più frequentemente, arrivavano dal mondo dei cattolici impegnati alla Dc ed ai suoi ambienti.
Giulio Andreotti rispose con garbo ed arguzia che : In politica, a starci dentro ci si capisce poco, a starne fuori non ci si capisce nulla" con ciò rimandando al mittente, ovvero ai tanti cattolici critici, la sfida di entrarci dentro in politica per capire quel pò che si può capire oppure di tacere....
Confesso che quella risposta non mi lasciò del tutto convinto, pur cominciando proprio in quegli anni un mio personale impegno in politica e nello stesso partito, ma come potevo cogliere, così inesperto com'ero, le finezze di quei ragionamenti, che segnavano però una distanza non più colmabile con un Paese ormai diverso da come Andreotti l'aveva conosciuto?
Notai in lui infatti un' impermeabile robustezza del pensiero , ma al tempo stesso, una difesa rispetto al cambiamento che nel corso di pochi mesi da quell'incontro avrebbe travolto la prima Repubblica,dove alla moderazione studiata ed astuta, ma saggia di Andreotti subentrerà la sfacciata esibizione di interessi personali, di fronte ai quali anche le ritrosie e le frenate andreottiane apparivano inezie.
Andreotti appunto coltivò sempre il senso dello Stato e del buon senso comune, altezze irraggiungibili da chi oltre se stesso non sa vedere nulla di buono nè conosce le regole del vivere comune.
Tutto si può dire o argomentare oggi anche per i sospetti forse esagerati che su di lui si addensarono , ma rimane il sapore di un 'idea più nobile e costruttiva della politica, una politica di alto profilo, non triviale e faziosa come poi si sarebbe manifestata in Italia.
Una politica da gentiluomini, appunto, e non da cialtroni".
fonte: Corriere della Sera
Quest'uomo
era fatto per il potere.
Giulio
Andreotti, che si è spento ieri nel suo 95° anno, non ha probabilmente
desiderato altro onore, nei suoi sessant'anni di impegno nella vita pubblica,
che esercitare quello che per lui era una sorta di sacerdozio.
Figlio di un
maestro elementare, dall'aspetto alquanto ingobbito, miope, aderisce nel 1937
alla Federazione degli studenti cattolici (FUCI), di cui era assistente Mons.
Montini, futuro papa Paolo VI. Collabora alla fondazione della Democrazia
Cristiana accanto ad Alcide De Gasperi, che dirà di lui: “È un giovane talmente capace che
lo credo capace di tutto”.
Nel 1946, a
27 anni, viene eletto deputato all'Assemblea Costituente.
L'anno
successivo entra nella squadra di governo del suo mentore, come sottosegretario
di Stato alla presidenza del Consiglio, posto che occuperà in sei governi
successivi. Insensibile all'alternarsi delle squadre di governo, eredita, nel
corso dei decenni, ministeri importanti, come quello degli esteri. E sarà capo
di governo per sette volte, dal 1972 al 1992.
Il gusto dei
palazzi romani non lo lascerà mai, tanto più che il sistema
politico-istituzionale italiano sembra essere stato concepito per lui. L'
“inossidabile”, come è stato soprannominato, sarà un deciso avversario del
comunismo. Capo del governo all'epoca del rapimento del suo rivale Aldo Moro da
parte delle Brigate Rosse, mostra un'intransigenza che l'opinione pubblica
italiana gli rimprovera quando il rapimento si conclude con l'assassinio.
Immancabilmente,
il nome di Giulio Andreotti viene citato in innumerevoli scandali nel corso
della sua carriera ai vertici dello Stato infiltrato dal crimine organizzato.
Il suo potere è fondato su una rete di relazioni intelligentemente
intrattenute, che comprende personaggi poco raccomandabili.
Presidente
del Consiglio italiano per l'ultima volta dal 1989 al 1992, si allea allora con
il Partito Socialista di Bettino Craxi. Ma l'operazione “Mani pulite” condotta
dai giudici milanesi manda ben presto in pensione “forzata” i principali dirigenti
della vecchia partitocrazia, di cui Giulio Andreotti fa parte.
I pentiti di
mafia portano i giudici a indagare sull'ex capo di governo, nominato senatore a
vita nel 1991.
Quei colpi
inflittigli dalla giustizia, l'interessato li riceverà con la flemma ostentata
che gli era abituale. Sposato, padre di quattro figli, il Divo Giulio era un
uomo di fede, vicino in particolare a Comunione e Liberazione, e apprezzato da
Giovanni Paolo II.
fonte: Laurent D'Ersuin “La Croix” del 7 maggio 2013
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