sabato 8 marzo 2014

La mia vita con il Santo Wojtyla



La prima intervista concessa da Benedetto XVI dopo la rinuncia al pontificato, apre il libro «Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano» (edizioni Ares) che esce in questi giorni nelle librerie, a cura del vaticanista polacco Wlodzimierz Redzioch, in vista della canonizzazione (il 27 aprile, assieme apapa Roncalli) di Karol Wojtyla. Il Papa emerito ha accettato di rispondere per iscritto alle domande inviate in novembre, spiega l’autore, il testo tedesco era pronto a gennaio e Benedetto XVI «ne ha verificato la traduzione italiana». Dodici pagine nelle quali Ratzinger ripercorre, come mai finora,gli anni vissuti accanto a Giovanni Paolo II. Un racconto che introduce una ventina di testimonianze delle persone più vicine. La vita quotidiana raccontata dai segretari Dziwisz, Kabongo e Mokrzycki, il ricordo dell’amica Wanda Poltawska, del filosofo Stanislaw Grygiel e delle due suore cui la Chiesa ha riconosciuto la guarigione miracolosa per intercessione del pontefice, la riflessione storica affidata ai cardinali Sodano, Bertone e Ruini, al portavoce Navarro-Valls e al prelato dell’Opus Dei Javier Echevarría, al vaticanista Gian Franco Svidercoschi. E ancora, tra gli altri, il postulatore della causa, Slawomir Oder, e il cardinale Angelo Amato che guida la Congregazione dei santi. E gli appunti del medico personale Renato Buzzonetti che fanno luce sulle ultime ore di Wojtyla, fino alle parole sussurrate in polacco a Suor Tobiana, alle 15.30 di sabato 2 aprile 2005:«Lasciatemi andare dal Signore». (Gian Guido Vecchi)    
   


Santità, i nomi di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger sono legati, a vario titolo, al Concilio Vaticano II. Vi siete conosciuti già durante il Concilio?


«Il primo incontro consapevole tra me e il cardinal Wojtyla avvenne solamente nel conclave in cui venne eletto Giovanni Paolo I. Durante il Concilio, avevamo collaborato entrambi alla Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, e tuttavia in sezioni diverse, cosicché non ci eravamo incontrati. [...].Naturalmente avevo sentito parlare della sua opera di filosofo e di pastore, e da tempo desideravo conoscerlo. Wojtyla, dal canto suo, aveva letto la mia Introduzione al Cristianesimo, che aveva anche citato agli esercizi spirituali da lui predicati per Paolo VI e la Curia nella Quaresima del 1976. Perciò è come se interiormente attendessimo entrambi di incontrarci.

Ho provato sin dall'inizio una grande venerazione e una cordiale simpatia per il Metropolita di Cracovia. Nel pre-conclave del 1978 egli analizzò per noi in modo stupefacente la natura del marxismo. Ma soprattutto percepii subito con forza il fascino umano che egli emanava e, da come pregava, avvertii quanto fosse profondamente unito a Dio».



Che cosa ha provato quando il santo padre Giovanni Paolo II l'ha chiamata per affidarle la guida della Congregazione per la Dottrina della fede?


«Giovanni Paolo II mi chiamò nel 1979 per nominarmi prefetto della Congregazione per l'Educazione cattolica. Erano trascorsi appena due anni dalla mia consacrazione episcopale a Monaco [...]. Pregai dunque il Papa di soprassedere a quella nomina [...]. Fu nel corso del 1980 che mi disse di volermi nominare, alla fine del 1981, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede quale successore del cardinale Seper. Poiché continuavo a sentirmi in obbligo nei confronti della mia diocesi di appartenenza, per l'accettazione dell'incarico mi permisi di porre una condizione, che peraltro ritenevo irrealizzabile. Dissi che sentivo il dovere di continuare a pubblicare lavori teologici. Avrei potuto rispondere affermativamente solo se questo fosse stato compatibile con il compito di prefetto. Il Papa, che con me era sempre molto benevolo e comprensivo, mi disse che si sarebbe informato su tale questione per farsi un'idea. Quando successivamente gli feci visita, mi spiegò che pubblicazioni teologiche sono compatibili con l'ufficio di prefetto; anche il cardinal Garrone, disse, aveva pubblicato lavori teologici quand'era prefetto della Congregazione per l'Educazione cattolica. Così accettai l'incarico, ben conscio della gravità del compito, ma sapendo anche che l'obbedienza al Papa esigeva ora da me un "sì"».



Quali sono state le sfide dottrinali che avete affrontato insieme durante il suo mandato alla Congregazione per la Dottrina della fede?


«La prima grande sfida che affrontammo fu la Teologia della liberazione che si stava diffondendo in America Latina. Sia in Europa che in America del Nord era opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri e dunque di una causa che si doveva approvare senz'altro. Ma era un errore. La povertà e i poveri erano senza dubbio posti a tema dalla Teologia della liberazione e tuttavia in una prospettiva molto specifica. [...]. Non era questione di aiuti e di riforme, si diceva, ma del grande rivolgimento dal quale doveva scaturire un mondo nuovo. La fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasformandola così in una forza di tipo politico. [...] .Naturalmente queste idee si presentavano con diverse varianti e non sempre si affacciavano con assoluta nettezza, ma, nel complesso, questa era la direzione. A una simile falsificazione della fede cristiana bisognava opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro. Sulla base delle esperienze fatte nella sua patria polacca, papa Giovanni Paolo II ci fornì le delucidazioni essenziali. Da un lato egli aveva vissuto la schiavizzazione operata da quella ideologia marxista che faceva da madrina della Teologia della liberazione. Sulla base della sua dolorosa esperienza, gli risultava chiaro che bisognava contrastare quel tipo di liberazione". D'altro canto, proprio la situazione della sua patria gli aveva mostrato che la Chiesa deve veramente agire per la libertà e la liberazione non in modo politico, ma risvegliando negli uomini, attraverso la fede, le forze dell'autentica liberazione. Il Papa ci guidò a trattare entrambi gli aspetti: da un lato a smascherare una falsa idea di liberazione, dall'altro a esporre l'autentica vocazione della Chiesa alla liberazione dell'uomo. E quello che abbiamo tentato di dire nelle due Istruzioni sulla Teologia della liberazione che stanno all'inizio del mio lavoro nella Congregazione per la Dottrina della fede. [...l».



Santità, Lei ha aperto l'iter per la beatificazione con anticipo sui tempi stabiliti dal Diritto canonico. Da quanto tempo e in base a che cosa si è convinto della santità di Giovanni Paolo II?


«Che Giovanni Paolo II fosse un santo, negli anni della collaborazione con lui mi è divenuto di volta in volta sempre più chiaro. C'è innanzitutto da tenere presente naturalmente il suo intenso rapporto con Dio, il suo essere immerso nella comunione con il Signore di cui ho appena parlato.

Da qui veniva la sua letizia, in mezzo alle grandi fatiche che doveva sostenere, e il coraggio con il quale assolse il suo compito in un tempo veramente difficile. Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte.

Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a subire dei colpi.

Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di prim'ordine della santità. Solo a partire dal suo rapporto con Dio è possibile capire anche il suo indefesso impegno pastorale. Si è dato con una radicalità che non può essere spiegata altrimenti.

Il suo impegno fu instancabile, e non solo nei grandi viaggi, i cui programmi erano fitti di appuntamenti, dall'inizio alla fine, ma anche giorno dopo giorno, a partire dalla Messa mattutina sino a tarda notte. Durante la sua prima visita in Germania (1980), per la prima volta feci un'esperienza molto concreta di questo impegno enorme. Per il suo soggiorno a Monaco di Baviera, decisi pertanto che dovesse prendersi una pausa più lunga a mezzogiorno. Durante quell'intervallo mi chiamò nella sua stanza. Lo trovai che recitava il Breviario e gli dissi: "Santo Padre, Lei dovrebbe riposare"; e lui: "Posso farlo in Cielo".

Solo chi è profondamente ricolmo dell'urgenza della sua missione può agire così [...]».



Che cosa prova intimamente oggi che la Chiesa riconosce ufficialmente la santità del «suo» Papa, Giovanni Paolo II, di cui è stato il più stretto collaboratore?


«Il mio ricordo di Giovanni Paolo II è colmo di gratitudine. Non potevo e non dovevo provare a imitarlo, ma ho cercato di portare avanti la sua eredità e il suo compito meglio che ho potuto. E perciò sono certo che ancora oggi la sua bontà mi accompagna e la sua benedizione mi protegge”.





Ratzinger: la mia vita con il Santo Wojtyla

di Wlodzimierz Redzioch

in “Corriere della Sera” del 7 marzo 2014




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