La prima
intervista concessa da Benedetto XVI dopo la rinuncia al pontificato, apre il libro «Accanto a Giovanni Paolo II. Gli
amici e i
collaboratori raccontano» (edizioni Ares) che esce in questi giorni nelle
librerie, a cura del vaticanista
polacco Wlodzimierz Redzioch, in vista della canonizzazione (il 27 aprile,
assieme apapa
Roncalli) di Karol Wojtyla. Il Papa emerito ha accettato di rispondere per
iscritto alle domande inviate in
novembre, spiega l’autore, il testo tedesco era pronto a gennaio e Benedetto
XVI «ne ha verificato
la traduzione italiana». Dodici pagine nelle quali Ratzinger ripercorre, come
mai finora,gli anni
vissuti accanto a Giovanni Paolo II. Un racconto che introduce una ventina di
testimonianze delle
persone più vicine. La vita quotidiana raccontata dai segretari Dziwisz,
Kabongo e Mokrzycki, il ricordo
dell’amica Wanda Poltawska, del filosofo Stanislaw Grygiel e delle due suore
cui la Chiesa ha
riconosciuto la guarigione miracolosa per intercessione del pontefice, la
riflessione storica
affidata ai cardinali Sodano, Bertone e Ruini, al portavoce Navarro-Valls e al
prelato dell’Opus
Dei Javier Echevarría, al vaticanista Gian Franco Svidercoschi. E ancora, tra
gli altri, il postulatore
della causa, Slawomir Oder, e il cardinale Angelo Amato che guida la
Congregazione dei santi. E
gli appunti del medico personale Renato Buzzonetti che fanno luce sulle ultime
ore di Wojtyla,
fino alle parole sussurrate in polacco a Suor Tobiana, alle 15.30 di sabato 2
aprile 2005:«Lasciatemi
andare dal Signore». (Gian Guido Vecchi)
Santità, i nomi di Karol Wojtyla e
Joseph Ratzinger sono legati, a vario titolo, al Concilio Vaticano II. Vi siete
conosciuti già durante il Concilio?
«Il primo
incontro consapevole tra me e il cardinal Wojtyla avvenne solamente nel
conclave in cui venne eletto Giovanni Paolo I. Durante il Concilio, avevamo
collaborato entrambi alla Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, e
tuttavia in sezioni diverse, cosicché non ci eravamo incontrati.
[...].Naturalmente avevo sentito parlare della sua opera di filosofo e di
pastore, e da tempo desideravo conoscerlo. Wojtyla, dal canto suo, aveva letto
la mia Introduzione al Cristianesimo, che aveva anche citato agli esercizi
spirituali da lui predicati per Paolo VI e la Curia nella Quaresima del 1976.
Perciò è come se interiormente attendessimo entrambi di incontrarci.
Ho provato
sin dall'inizio una grande venerazione e una cordiale simpatia per il
Metropolita di Cracovia. Nel pre-conclave del 1978 egli analizzò per noi in
modo stupefacente la natura del marxismo. Ma soprattutto percepii subito con
forza il fascino umano che egli emanava e, da come pregava, avvertii quanto
fosse profondamente unito a Dio».
Che cosa ha provato quando il santo
padre Giovanni Paolo II l'ha chiamata per affidarle la guida della
Congregazione per la Dottrina della fede?
«Giovanni
Paolo II mi chiamò nel 1979 per nominarmi prefetto della Congregazione per l'Educazione
cattolica. Erano trascorsi appena due anni dalla mia consacrazione episcopale a
Monaco [...]. Pregai dunque il Papa di soprassedere a quella nomina [...]. Fu
nel corso del 1980 che mi disse di volermi nominare, alla fine del 1981,
prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede quale successore del
cardinale Seper. Poiché continuavo a sentirmi in obbligo nei confronti della
mia diocesi di appartenenza, per l'accettazione dell'incarico mi permisi di
porre una condizione, che peraltro ritenevo irrealizzabile. Dissi che sentivo
il dovere di continuare a pubblicare lavori teologici. Avrei potuto rispondere
affermativamente solo se questo fosse stato compatibile con il compito di
prefetto. Il Papa, che con me era sempre molto benevolo e comprensivo, mi disse
che si sarebbe informato su tale questione per farsi un'idea. Quando successivamente
gli feci visita, mi spiegò che pubblicazioni teologiche sono compatibili con l'ufficio
di prefetto; anche il cardinal Garrone, disse, aveva pubblicato lavori
teologici quand'era prefetto della Congregazione per l'Educazione cattolica.
Così accettai l'incarico, ben conscio della gravità del compito, ma sapendo anche
che l'obbedienza al Papa esigeva ora da me un "sì"».
Quali sono state le sfide dottrinali
che avete affrontato insieme durante il suo mandato alla Congregazione per la
Dottrina della fede?
«La prima
grande sfida che affrontammo fu la Teologia della liberazione che si stava
diffondendo in America Latina. Sia in Europa che in America del Nord era
opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri e dunque di una causa
che si doveva approvare senz'altro. Ma era un errore. La povertà e i poveri erano
senza dubbio posti a tema dalla Teologia della liberazione e tuttavia in una prospettiva
molto specifica. [...]. Non era questione di aiuti e di riforme, si diceva, ma
del grande rivolgimento dal quale doveva scaturire un mondo nuovo. La fede
cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario,
trasformandola così in una forza di tipo politico. [...] .Naturalmente queste
idee si presentavano con diverse varianti e non sempre si affacciavano con assoluta
nettezza, ma, nel complesso, questa era la direzione. A una simile
falsificazione della fede cristiana bisognava opporsi anche proprio per amore
dei poveri e a pro del servizio che va reso loro. Sulla base delle esperienze
fatte nella sua patria polacca, papa Giovanni Paolo II ci fornì le delucidazioni
essenziali. Da un lato egli aveva vissuto la schiavizzazione operata da quella ideologia
marxista che faceva da madrina della Teologia della liberazione. Sulla base
della sua dolorosa esperienza, gli risultava chiaro che bisognava contrastare
quel tipo di liberazione". D'altro canto, proprio la situazione della sua
patria gli aveva mostrato che la Chiesa deve veramente agire per
la libertà e la liberazione non in modo politico, ma risvegliando negli uomini,
attraverso la fede, le forze dell'autentica liberazione. Il Papa ci guidò a
trattare entrambi gli aspetti: da un lato a smascherare una falsa idea di
liberazione, dall'altro a esporre l'autentica vocazione della Chiesa alla liberazione
dell'uomo. E quello che abbiamo tentato di dire nelle due Istruzioni sulla
Teologia della liberazione che stanno all'inizio del mio lavoro nella
Congregazione per la Dottrina della fede. [...l».
Santità, Lei ha aperto l'iter per la
beatificazione con anticipo sui tempi stabiliti dal Diritto canonico. Da quanto
tempo e in base a che cosa si è convinto della santità di Giovanni Paolo II?
«Che
Giovanni Paolo II fosse un santo, negli anni della collaborazione con lui mi è
divenuto di volta in volta sempre più chiaro. C'è innanzitutto da tenere
presente naturalmente il suo intenso rapporto con Dio, il suo essere immerso
nella comunione con il Signore di cui ho appena parlato.
Da qui
veniva la sua letizia, in mezzo alle grandi fatiche che doveva sostenere, e il
coraggio con il quale assolse il suo compito in un tempo veramente difficile.
Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno
preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte.
Egli ha
agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a
subire dei colpi.
Il coraggio
della verità è ai miei occhi un criterio di prim'ordine della santità. Solo a
partire dal suo rapporto con Dio è possibile capire anche il suo indefesso
impegno pastorale. Si è dato con una radicalità che non può essere spiegata
altrimenti.
Il suo
impegno fu instancabile, e non solo nei grandi viaggi, i cui programmi erano
fitti di appuntamenti, dall'inizio alla fine, ma anche giorno dopo giorno, a
partire dalla Messa mattutina sino a tarda notte. Durante la sua prima visita
in Germania (1980), per la prima volta feci un'esperienza molto concreta di
questo impegno enorme. Per il suo soggiorno a Monaco di Baviera, decisi pertanto
che dovesse prendersi una pausa più lunga a mezzogiorno. Durante
quell'intervallo mi chiamò nella sua stanza. Lo trovai che recitava il
Breviario e gli dissi: "Santo Padre, Lei dovrebbe riposare"; e lui:
"Posso farlo in Cielo".
Solo chi è
profondamente ricolmo dell'urgenza della sua missione può agire così [...]».
Che cosa prova intimamente oggi che
la Chiesa riconosce ufficialmente la santità del «suo» Papa, Giovanni Paolo II,
di cui è stato il più stretto collaboratore?
«Il mio
ricordo di Giovanni Paolo II è colmo di gratitudine. Non potevo e non dovevo
provare a imitarlo, ma ho cercato di portare avanti la sua eredità e il suo
compito meglio che ho potuto. E perciò sono certo che ancora oggi la sua bontà
mi accompagna e la sua benedizione mi protegge”.
Ratzinger:
la mia vita con il Santo Wojtyla
di
Wlodzimierz Redzioch
in “Corriere
della Sera” del 7 marzo 2014
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