giovedì 28 agosto 2014

19 novembre 1980: quel giorno a Monaco


Durante la recente visita della cattedrale di Monaco (denominata Frauenkirche, ma nota anche come Dom zu Unserer Lieben Frau ovvero Cattedrale di Nostra Signora), la delegazione dello Sci Club ha potuto ammirare la stele muraria che ricorda la storica visita di Giovanni Paolo II alla città bavarese il giorno 19 novembre 1980.
In quell'occasione il Papa pronunciò due importanti discorsi rivolti rispettivamente agli anziani e agli artisti.


AGLI ANZIANI

Monaco di Baviera, 19 novembre 1980

Miei cari fratelli e sorelle avanzati negli anni!

Mi colma di gioia particolare il potervi incontrare durante la mia visita in Germania, in un’ora di preghiera a voi riservata. Vengo a voi come un amico intimo; so di essere sorretto nel mio ministero proprio dalla vostra partecipazione, dalla vostra preghiera e dai vostri sacrifici. Perciò vi saluto con commossa gratitudine qui nel grande duomo di Monaco dedicato alla Madonna! Un grazie particolare per le sentite parole di saluto e per le preghiere con cui mi avete accompagnato in questi giorni! Con voi saluto tutti i vostri compagni anziani della vostra patria, specie quelli che sono collegati con noi attraverso la radio e la televisione. “Dio benedica” tutti voi, che nel pellegrinaggio di questa vita più a lungo di me “sopportate il peso della giornata e il caldo” (Mt 20,12), più a lungo di me incontrate il Signore e vi sforzate di servirlo fedelmente nel piccolo e nel grande, nella gioia e nel dolore!

1. Il Papa s’inchina con rispetto davanti all’anzianità e invita tutti a farlo con lui. L’anzianità è il coronamento delle tappe della vita. Essa porta la raccolta di ciò che si è appreso e vissuto, la raccolta di quanto si è operato e raggiunto, la raccolta di quanto si è sofferto e sopportato. Come al finale di una grande sinfonia ritornano i temi dominanti della vita per una potente sintesi sonora. E questa risonanza conclusiva conferisce saggezza: saggezza implorata dal giovane Salomone (cf. 1Re 3,9.11), che è per lui più decisiva della potenza e della ricchezza, più importante della bellezza e della salute (cf. Sap 7,7.8.10); la saggezza, di cui leggiamo nelle regole di vita dell’antica alleanza: “Come s’addice la sapienza ai vecchi, il discernimento e il consiglio alle persone eminenti! Corona dei vecchi è un’esperienza molteplice, loro vanto il timore del Signore” (Sir 25,5ss).

All’attuale generazione degli anziani, che siete voi, miei cari fratelli e sorelle, spetta in maniera del tutto particolare questa corona onorifica della saggezza: voi avete dovuto in parte sperimentare da soli e con gli altri durante due guerre mondiali infiniti dolori; molti hanno perduto parenti, salute, professione, casa e patria; avete conosciuto gli abissi del cuore umano, ma anche la sua capacità e disponibilità eroica ad aiutare, la sua costanza nella fede e la sua forza di cominciare da capo.

La saggezza conferisce distanza, ma non una distanza di estraniamento dal mondo, permette all’uomo di elevarsi al di sopra delle cose, senza disprezzarle; ci fa vedere il mondo con gli occhi e col cuore! - di Dio. Ci fa dire “sì” a Dio, ai nostri limiti, al nostro passato con le sue delusioni, defezioni e peccati. Infatti “noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28). Dalla forza conciliante di questa saggezza fioriscono allora bontà, pazienza, comprensione e il prezioso ornamento dell’anzianità: l’amore.

Voi stessi, mie venerate sorelle e fratelli, sapete meglio che questa preziosa raccolta della vita, che il Creatore ha previsto, non è un possesso inattaccabile. Esige vigilanza, cura, autocontrollo, talvolta anche lotta decisa. Altrimenti viene, una volta per sempre, lesa o anche minata da indolenza, capriccio, superficialità, dominio di potere o addirittura amarezza. Non perdetevi d’animo, cominciate sempre da capo con la grazia di nostro Signore, e servitevi delle fonti di energia che Cristo vi offre nel sacramento del pane e del perdono, nella parola della predicazione e della lettura biblica e nel dialogo spirituale!

A questo punto mi è certamente permesso cordialmente in nome vostro di ringraziare tutti i sacerdoti che riservano alla cura pastorale degli anziani un posto decisivo nel loro lavoro e nel loro cuore. Essi prestano con ciò nello stesso tempo il migliore servizio a tutta la loro comunità; acquistano nello stesso tempo in voi una schiera di oranti fedeli.

Dopo i vostri cappellani vorrei rivolgere la mia parola ai sacerdoti anziani come voi. Miei cari confratelli! La Chiesa vi ringrazia per il lavoro compiuto durante la vostra vita, nella vigna del Signore. Ai sacerdoti più giovani Gesù dice nel Vangelo di Giovanni (Gv 4,38): “Altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro”. Reverendi presbiteri, portate ancora le aspirazioni della Chiesa nel vostro servizio di oranti “ad Deum, qui laetificat iuventutem meam” (Sal 43,4).

2. Fratelli e sorelle delle generazioni più avanzate, voi siete un tesoro per la Chiesa, voi siete una benedizione per il mondo. Quando spesso dovete aiutare i genitori giovani, come potete ben iniziare i piccoli alla storia della vostra famiglia e della vostra patria, nelle fiabe del vostro popolo e nel mondo della fede! I giovani nei loro problemi trovano più facile ricorrere a voi che ai loro genitori. Siate voi per i vostri figli e figlie l’aiuto più prezioso nelle ore difficili. Col consiglio e l’azione portate la vostra collaborazione nei gruppi, nelle associazioni e iniziative della vita ecclesiale e civile.

Voi, complemento necessario di un mondo che ci entusiasma per lo slancio dei giovani e per la forza dei cosiddetti anni migliori, di un mondo in cui vale solo ciò che si può contare. Voi ricordate loro che essi continuano a costruire sulla fatica di coloro che prima furono giovani e pieni di forza e che anch’essi un giorno rimetteranno l’opera in mani più giovani.

In voi si vede chiaramente che il senso della vita non può solo consistere nel guadagnare e spendere danaro, che in ogni azione esterna deve maturare qualcosa di interiore e in ogni realtà temporale qualcosa di eterno secondo la parola di san Paolo: “Anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16).

Sì, l’anzianità merita il nostro rispetto, il rispetto che riluce nella Sacra Scrittura quando ci pone davanti agli occhi Abramo e Sara, invita ad andare al tempio Simeone e Anna per incontrare la sacra famiglia, chiama i sacerdoti “anziani” (At 14,23; 15,2; 1Tm 4,14; 5,17.19; Tt 1,5; 1Pt 5,1), sintetizza l’omaggio di tutta la creazione nell’adorazione dei 24 “seniori” e designa infine Dio stesso “il vegliardo” (Dn 7,9.22).

3. Si potrebbe elevare un inno di lode più splendido alla dignità degli anziani? Ma voi resterete certamente delusi cari anziani che mi ascoltate, se il Papa non guardasse anche l’altro aspetto dell’avanzamento in età, se vi avesse portato solo l’omaggio - forse inaspettato - senza dirvi una parola di conforto. Alla stagione autunnale in cui ci troviamo non appartengono solo la raccolta e la festosa magnificenza dei rami, ma anche l’inaridimento dei rami, la caduta e la disintegrazione delle foglie, non solo la piena e splendida luce, ma anche la fosca e desolata nebbia. Analogamente è proprio dell’anzianità non solo il potente accordo conclusivo o la somma riconciliatrice della vita, ma anche un tempo di avvizzimento, un tempo in cui il mondo può divenire estraneo ad una persona, la vita un peso, il corpo un tormento.

Il peso dell’età consiste per i più in una certa fragilità del corpo; i sensi non sono più acuti, le membra non più così agili, gli organi diventano vulnerabili (cf. Qo 12,3ss). Ciò che si sperimenta da giorni di malattia, accompagna spesso gli anziani di giorno e di notte!

Essi devono rinunciare definitivamente anche ad attività che stavano loro molto a cuore. Anche la memoria può rifiutare il suo servizio: le nuove informazioni non vengono accolte più così facilmente e molte di quelle antiche si dileguano. Così il mondo perde la sua familiarità: il mondo della propria famiglia con le condizioni di vita e di lavoro degli adulti divenute totalmente diverse, con gli interessi e le forme espressive dei giovani tanto cambiati, con i nuovi intenti e metodi di apprendimento dei fanciulli, col crescente intensificarsi del traffico e il paesaggio molto modificato. Estraneo diviene il mondo dell’economia e della politica, anonimo e impenetrabile il mondo dell’assistenza sociale medica. E persino quell’ambito, che dovrebbe offrire al massimo un rifugio, - la Chiesa con la sua vita e il suo insegnamento - è per molti di voi divenuto in qualche caso estraneo, nell’intento di soddisfare le esigenze dei tempi, le attese e i bisogni delle nuove generazioni.

Voi vi sentite mal compresi da questo mondo difficilmente comprensibile, anzi spesso un poco respinti. Voi avete il sentore che non si richiede la vostra opinione, collaborazione e presenza, e ciò talvolta purtroppo è vero.

4. Che può dire allora il Papa? Con che cosa debbo consolarvi? Non voglio sbrigarmela con troppa facilità. Non vorrei svalutare le pene dell’anzianità, le vostre fragilità e malattie, il vostro abbandono e isolamento. Vorrei però vederli con voi in una luce conciliante, alla luce del nostro Salvatore, “che per noi ha sudato sangue, per noi è stato flagellato, per noi è stato coronato di spine”. Nelle prove della vecchiaia sta il vostro itinerario di dolore e voi accompagnate Cristo nel suo cammino, verso la croce. Voi non versate lacrime da soli e non ne versate alcuna invano (cf. Sal 56,9). Per mezzo del dolore egli ha redento il dolore e per mezzo del dolore voi collaborate alla sua opera redentrice (cf. Col 1,24). Prendete le vostre sofferenze come un suo abbraccio e trasformatele in benedizione, prendendole con lui dalla mano del Padre, che nella sua imperscrutabile ma indubitabile sapienza e amore, costruisce in tal modo il vostro perfezionamento.

L’oro si prova col fuoco (cf. 1Pt 1,7); nel tino l’uva si fa vino.

In questo spirito, che solo Dio ci può dare, diventa allora più facile aver comprensione anche per coloro che mettono alla prova la nostra sofferenza con la loro noncuranza, disattenzione e sbadataggine, e perdonare anche quelli che coscientemente, anzi volutamente aggravano il nostro dolore, ma non possono mai misurare quanta pena c’infliggono. Diciamo col Crocifisso: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Anche per noi stessi è stata pronunciata questa parola redentrice.

5. In tale spirito - per il quale ora preghiamo insieme gli uni per gli altri - prendiamo coscienza con gratitudine delle amorevoli parole; dei pensieri e delle opere che ci vengono offerte ogni giorno, ma alle quali facilmente ci abituiamo, per cui, finiamo facilmente per considerarle come dovute.

Celebriamo oggi la festa di sant’Elisabetta, una santa che la vostra nazione ha donato a tutto il mondo come simbolo della carità soccorritrice. Ella è l’alto esemplare e la sublime patrona di tutti coloro che per la loro professione, in una carica onorifica o nell’anonimato, servono il proprio fratello bisognoso e in lui - lo sappia o no - incontrano Cristo. Questa è, cari anziani, la ricompensa che date a coloro, per i quali tanto mal volentieri siete di peso. Voi offrite loro l’occasione di incontrarsi con Cristo, l’opportunità di superare se stessi, e con la vostra amorevolezza li rendete partecipi dei menzionati frutti della vita, che Dio fa maturare in voi! Non seppellite quindi le vostre preghiere in un cuore trepidante, disilluso o pieno di rimbrotti, ma esprimetele in tutta la loro evidenza, persuasi della vostra dignità e del bene che si trova nel cuore degli altri. Siate lieti di ogni occasione che vi si presenta per dire la regale parola “grazie”, che si eleva da tutti gli altari e colmerà la nostra beatitudine eterna.

Mi sia permesso di ringraziare insieme con voi tutti quelli che in molte organizzazioni, associazioni e iniziative ecclesiali, civili e pubbliche, ad alto e comune livello, nella legislazione e nell’amministrazione o anche a titolo strettamente privato promuovono l’assistenza spirituale e materiale degli anziani, una loro vita piena e permanentemente inserita nella società.

6. Ed eccomi di nuovo a voi, cari sorelle e fratelli anziani, e al conforto che da me vi aspettate. Dice un proverbio: “Se sei solo, fai visita ad uno che è ancora più solo di te”. Aprite i vostri pensieri a quei compagni di viaggio, a cui sotto qualche aspetto è capitato peggio di voi e che potete in qualche modo aiutare dialogando con loro, porgendo loro una mano o almeno manifestando loro la vostra comprensione! Vi prometto in nome di Cristo che in ciò troverete forza e conforto (cf. At 20,35).

Così voi esercitate in piccolo ciò che noi siamo in grande. Siamo un corpo dalle molte membra: quelli che portano aiuto e quelli che lo ricevono, i più sani e i più malati, i più giovani e i più vecchi; quelli che si sono già realizzati nella vita, quelli che sono ancora in via di realizzazione; quelli che sono in crescita; quelli che sono giovani e quelli che un tempo furono giovani; quelli che sono anziani e quelli che lo saranno domani. Tutti rappresentiamo gli uni per gli altri la pienezza del corpo di Cristo e tutti ci aiutiamo a maturare in questa pienezza: “La piena maturità di Cristo” (Ef 4,13).

7. L’ultimo conforto, che cerchiamo insieme, miei cari pellegrini “in questa valle di lacrime” (cf. Salve, Regina) è quello di fronte alla morte. Sin dalla nostra nascita le andiamo incontro, ma nella vecchiaia diventiamo sempre più consci del suo approssimarsi, se non soffochiamo con violenza i nostri pensieri e sentimenti. Il Creatore ha disposto che nella vecchiaia si prepari, si faciliti e si eserciti l’accettazione e il superamento della morte. L’invecchiamento che abbiamo visto, è un congedarsi gradualmente dalla pienezza ininterrotta della vita, dal contatto diretto col mondo.

La grande scuola della vita e della morte ci porta poi presso qualche tomba aperta, ci fa assistere qualche moribondo, prima di essere noi stessi in quello stato, per assistere - ce lo conceda Iddio! - gli altri con la preghiera. L’anziano ha sperimentato spesso tali lezioni della vita e le sperimenta in frequenza crescente. È questo un grande vantaggio nel cammino verso la grande soglia, che spesso ci dipingiamo unilateralmente come abisso e notte. Siamo abituati a guardare oltre ma Dio può, più spesso di quanto pensiamo, concedere a quelli che ci hanno preceduto, di accompagnarci e prendersi cura di noi nella vita terrena. È stato un pensiero di fede viva e profonda l’aver dedicato una Chiesa alle “anime del Purgatorio”. E le due Chiese tedesche a Roma si denominano “Santa Maria in Campo Santo” e “Santa Maria dell’anima”. Quanto più i nostri fratelli del mondo visibile, giungono ai limiti della loro possibilità di aiutarci, tanto più dobbiamo vedere i messaggi dell’amore di Dio in coloro che hanno già affrontato la morte e di là ci attendono: i santi, i patroni di ciascuno di noi e i nostri parenti e amici defunti, che speriamo accolti dalla misericordia di Dio.

Molti di voi, miei cari fratelli e sorelle, avete perduto la vicinanza visibile del vostro compagno di vita. A loro è rivolta la mia preghiera pastorale: “Fate divenire sempre più coscientemente Dio il “partner” della vostra vita; allora sarete subito collegati con colui che Dio vi concesse come compagno di cammino ed ora ha trovato egli stesso la sua meta in Dio”.

Senza fiducia in Dio non c’è in definitiva alcun conforto in punto di morte. Anzi Dio con la morte vuole proprio che ci abbandoniamo totalmente al suo amore almeno in quest’ora suprema della nostra vita, senza alcun’altra sicurezza al di fuori di esso. Come potremmo mostrargli in maniera più serena la nostra fede, la speranza e l’amore!

Un ultimo pensiero in questo contesto. Certamente ho parlato al cuore di qualcuno di voi. La morte stessa è un conforto! La vita su questa terra, anche se non fosse “una valle di lacrime” non ci potrebbe offrire per sempre una patria. Essa diventerebbe sempre più una “prigione”, un “esilio” (cf. Salve, Regina). Infatti “tutto il transitorio è solo una figura” (Goethe, Faust, II, Schußchor)!

E così ci vengono pressantemente sulle labbra le parole incancellabili di sant’Agostino: “Ci hai creato per te, o Signore e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (S. Agostino, Confessiones, I,1,1).

Così non ci sono i consacrati alla morte e quelli che sono nella cosiddetta vita. Davanti a tutti noi sta una nascita, una trasformazione, di cui temiamo i dolori con Gesù nell’orto degli ulivi ma di cui già portiamo in noi l’esito radioso, da quando fummo immersi col battesimo nella morte e nella vittoria di Cristo (cf. Rm 6,3-6; Col 2,12).

Con tutti voi, che siete qui presenti in questo duomo dedicato alla Madonna o collegati mediante la radio e la televisione, con tutti coloro che ho potuto incontrare in questi giorni, con tutti i cittadini e ospiti di questo magnifico paese, con tutti i credenti e per tutti coloro che sono in ricerca, coi fanciulli e i giovani, gli adulti e gli anziani vorrei in quest’ora di congedo far divenire la nostra riflessione una preghiera: “Dal seno materno tu sei il mio sostegno... Non mi respingere nel tempo della vecchiaia” (Sal 70 [71],6.9).

“Vienici incontro con la tua misericordia e preservaci da ogni turbamento e peccato, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo!” (“Ordinarium” Missae).

E vorrei unire la mia preghiera da noi elevata in questo duomo, che è sempre espressa nello Spirito ed è sempre da Gesù presentata al Padre, alla preghiera di colei che quale prima redenta è per noi madre e sorella (cf. Paolo VI, Insegnamenti di Paolo VI, II [1964] 675 et 664).

“Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen!”.

Sia lodato Gesù Cristo!





AGLI ARTISTI E AI GIORNALISTI
Monaco di Baviera, 19 novembre 1980

Gentili signore e signori.
Il mio cordiale saluto va agli artisti ed ai pubblicisti che, nel corso della mia visita, sono venuti a Monaco da tutte le parti della repubblica federale tedesca. Mi rallegro di potermi incontrare con voi in questa città, che è stata da sempre il cuore dell’arte e che in quest’ultimo periodo è diventata un importante centro dei mezzi di comunicazione di massa. Questo nostro incontro deve rappresentare un contributo al dialogo tra Chiesa e arte, tra Chiesa e mezzi di comunicazione sociale, un contributo al dialogo, che per lungo tempo e stato incompleto o si è svolto nel segno del contrasto e della opposizione. Vorrei accennare qui di seguito ai legami che esistono fra la Chiesa e l’arte, fra la Chiesa e il giornalismo, e che possono portare ad una migliore comprensione reciproca e ad una fruttuosa collaborazione al servizio dell’uomo.
1. Il rapporto tra la Chiesa e l’arte nell’architettura, nell’arte figurativa, nella letteratura, nel teatro e nella musica ha una storia complessa. Se non fosse stato per gli sforzi compiuti dai monasteri, ad esempio, presumibilmente non sarebbero sopravvissuti i tesori degli autori antichi greci e latini. Con grande schiettezza la Chiesa si è messa in contatto con l’antica letteratura e cultura. Per un lungo periodo di tempo la Chiesa è stata considerata la madre dell’arte. Essa agiva come mecenate; i contenuti della fede cristiana fornivano i motivi ed i temi dell’arte. Quanto ciò sia appropriato, lo si può riconoscere con un semplice esperimento mentale: togliamo dalla storia dell’arte europea e tedesca tutto ciò che ha a che fare con l’ispirazione cristiana e religiosa e vedremo quanto poco dell’arte sarà rimasto.
Negli ultimi secoli, soprattutto a partire dal 1800, il legame tra la Chiesa e la cultura, e quindi tra la Chiesa e l’arte, si è allentato. Ciò è avvenuto nel nome dell’autonomia e si è acuito nel nome di una dilagante secolarizzazione. Fra Chiesa ed arte si aprì un divario, che divenne sempre più ampio e più profondo. Ciò divenne particolarmente evidente nel campo della letteratura, del teatro e più tardi del cinema. Questo allontanamento reciproco si è accentuato con la critica alla Chiesa e al cristianesimo e soprattutto alla religione. La Chiesa, da parte sua - e ciò in certo qual modo è comprensibile - era diffidente nei confronti dello spirito moderno e delle sue molteplici forme di espressione. Questo spirito era ritenuto nemico della Chiesa e della fede, critico nei confronti della rivelazione e della religione. L’atteggiamento della Chiesa era quello di proteggersi, di prendere le distanze e di opporsi in nome della fede cristiana.
2. Il Concilio Vaticano II ha gettato le basi di un rapporto sostanzialmente nuovo fra la Chiesa e il mondo, fra la Chiesa e la cultura moderna e con ciò anche fra la Chiesa e l’arte. Si potrebbe definire come rapporto di comprensione, di apertura, di dialogo. A ciò si unisce l’attenzione verso l’oggi, l’“aggiornamento”. I padri conciliari dedicano nella costituzione pastorale “Gaudium et Spes” un intero capitolo (cf. 53-63) alla corretta promozione dei progressi culturali ed affrontano il problema, come nella Chiesa antica, senza limitazioni o timori, con franchezza. Il mondo è una realtà a sé stante, ha la propria legittimità. Qui viene anche trattata l’autonomia della cultura e dell’arte. Questa autonomia, se ben interpretata, non è una protesta contro Dio o contro le testimonianze della fede cristiana; essa è piuttosto la manifestazione che il mondo di Dio è una creazione unica, libera, consegnata ed affidata all’uomo per lo sviluppo della sua cultura e della sua responsabilità.
Con ciò si è gettata la premessa che ha permesso alla Chiesa di entrare in un nuovo rapporto con la cultura e con l’arte, in un rapporto di collaborazione, di libertà e di dialogo. Ciò è più facilmente possibile e può essere assai più fruttuoso, se l’arte nel vostro paese è libera e può realizzarsi e svilupparsi nella libertà. Se voi esercitate la vostra professione nella libertà responsabile, la Chiesa vuole e deve essere sempre al vostro fianco, vicino a voi nella sollecitudine per la dignità dell’uomo in un mondo che è scosso nelle sue fondamenta.
3. La Chiesa vede la professione degli artisti e dei giornalisti in una disposizione d’animo, che definisce allo stesso tempo i mezzi, la grandezza, e la responsabilità dei loro compiti. Secondo la concezione cristiana, ogni uomo è immagine e somiglianza di Dio. Ciò si riferisce in particolar modo all’attività creativa dei giornalisti e degli artisti. La vostra professione è una professione creativa, che corrisponde a quel compito. Voi date forma e sostanza alla realtà e al materiale che il mondo vi offre. Voi non vi fermate alla mera rappresentazione o alla descrizione della superficie. Voi cercate di “concentrare” la realtà dell’uomo e del suo mondo nel senso originario della parola. Voi cercate attraverso la parola, il tono, l’immagine e la rappresentazione, di far immaginare e di rendere comprensibili la verità e la profondità del mondo e dell’uomo, della quale fanno parte anche gli abissi umani.
Per così dire, ciò che è importante non è un accordo segreto, cristiano o di Chiesa, dell’arte o degli artisti, dei mezzi di comunicazione o dei giornalisti, ma piuttosto un riconoscimento dal punto di vista della fede cristiana, un riconoscimento che è pieno di positività, di rispetto e di comprensione.
Il Cardinale tedesco Nikolaus di Kues ha scritto questa frase: “La creatività e l’arte, che un’anima ha la fortuna di ospitare, non sono creative per se stesse, perché soltanto Dio crea, ma sono da lui trasmesse ed emanate”.
4. Chiediamoci ancora: su cosa si basano i legami ed i collegamenti reciproci fra l’arte e la Chiesa, fra la Chiesa e il giornalismo? A ciò possiamo rispondere: il tema della Chiesa ed il tema degli artisti e dei giornalisti è l’uomo, l’immagine dell’uomo, la verità dell’uomo, l’“ecce homo”, al quale va riferita la storia, il mondo e l’ambiente, come pure il contesto sociale, economico e politico in un’opera.
La Chiesa, come tramite del messaggio della fede cristiana, ricorderà sempre che la realtà dell’uomo non può essere descritta adeguatamente, prescindendo dalla dimensione teologica; che non deve mai essere dimenticata, che l’uomo è una creatura limitata nel tempo e nello spazio, che ha bisogno di aiuto e di completamento. Che la vita umana è dono e accettazione, che l’uomo è alla ricerca di significato, di salvezza e di liberazione, perché è limitato in molti modi dalle costrizioni e dalla colpa. La Chiesa ricorderà sempre che in Cristo si trova la vera ed unica immagine dell’uomo e dell’umanità. Gesù Cristo rimane, come dice il filosofo tedesco Karl Jaspers, la più autorevole fra le persone più autorevoli della storia. E il Concilio sottolinea: “Cristo, che è il nuovo Adamo... svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (Gaudium et Spes, 22).
Anche l’arte, in tutte le sue manifestazioni - e a questa si aggiungono le possibilità offerte dal cinema e dalla televisione - ha come tema fondamentale l’uomo, l’immagine dell’uomo, la verità dell’uomo.
Pure se l’apparenza spesso dice il contrario, anche l’arte contemporanea è cosciente di queste profonde asserzioni ed istanze. L’origine religiosa e cristiana dell’arte non è del tutto esaurita. Temi come la colpa e la grazia, l’inganno e la liberazione, l’ingiustizia e la giustizia, la misericordia e la libertà, la solidarietà e l’amore del prossimo, la speranza e la consolazione, si trovano nella letteratura odierna, nei libri di testo e nelle sceneggiature, e trovano ampia risonanza.
La collaborazione fra Chiesa e arte nei confronti dell’uomo si poggia sul fatto che entrambe desiderano liberare l’uomo dalla schiavitù e vogliono che egli prenda coscienza di se stesso. Esse gli aprono la via della libertà - libertà dalle pressioni dei bisogni, della produttività ad ogni costo, dell’efficienza, della programmazione e della funzionalità.
5. Abbiamo detto che la Chiesa e l’arte hanno come oggetto l’uomo, la sua immagine, la sua verità, la rivelazione della sua realtà - e questo lo diciamo adesso, nel momento dell’“aggiornamento”, per usare un termine del Concilio Vaticano II.
Questo impegno richiede, da parte della Chiesa e dell’arte, un grande servizio, il servizio alla concretezza. Alla Chiesa è assegnato questo compito; poiché la verità è concretezza. Nelle manifestazioni odierne dell’arte, nella letteratura e nel teatro, nell’arte figurativa, nel cinema ed anche nel giornalismo, l’uomo viene spogliato di tutte le componenti e le sovrastrutture romantiche - egli viene rappresentato, per così dire, in una realistica nudità. Fanno parte di questa caratteristica dell’arte di oggi anche l’esibizione delle aberrazioni e dei turbamenti, dei timori e della disperazione, dell’assurdità e dell’insensatezza, la rappresentazione di un mondo e di una storia depravati fino alla caricatura. Spesso ciò è giustificato con l’abbattimento di tutti i tabù.
La letteratura, il teatro, il cinema e l’arte figurativa si pongono oggi come critica, come protesta, come opposizione, come accusa contro questo stato di cose. La bellezza sembra appartenere ad una categoria dell’arte che va a vantaggio di una rappresentazione dell’uomo nella sua negatività, nella sua contraddizione, nella sua mancanza di vie d’uscita, nell’assenza di ogni significato. Questo sembra essere l’“ecce homo” di oggi. Il cosiddetto “mondo sano” diventa oggetto di dileggio e di cinismo. Il Concilio Vaticano II si è posto tutti questi quesiti con grande franchezza nel suo decreto sui mezzi di comunicazione sociale (Inter Mirifica).
Contro la rappresentazione del male, nelle sue forme e nei suoi vari aspetti, anche in nome della fede cristiana e della Chiesa, non vi è nulla da obiettare. Il male è una realtà, la cui dimensione è stata vissuta e sofferta proprio nel nostro secolo, proprio nella nostra patria e nella mia, fino ai confini più estremi. Senza questa realtà del male non sarebbe possibile misurare anche la realtà del bene, della liberazione, della grazia, della salvezza. Questo non è un lasciapassare per il male, ma è l’indicazione della sua ubicazione. E qui dobbiamo riferire uno stato di cose che non è né innocuo né meno importante. Lo specchio della negatività nella varie manifestazioni dell’arte odierna non potrebbe diventare uno scopo? Non potrebbe condurre al piacere del male, al gusto della distruzione e della rovina, al cinismo e al disprezzo per l’uomo?
Quando viene rappresentata la realtà del male, si vuole presentare, anche nell’intima logica dell’arte, il terribile come terribile, si vuole sgomentare. In questo modo la rappresentazione non ha come fine di confermare il male; piuttosto si propone come scopo che la situazione non peggiori, anzi, che migliori. Devi cambiare la tua vita, devi tornare indietro per iniziare di nuovo, devi opporti al male, perché non sia il male ad avere l’ultima parola, perché non diventi una concreta realtà.
Questo non è soltanto il grido e l’esortazione della Chiesa, è anche l’impegno dell’arte e del giornalismo in tutti i campi - e ciò non comporta un’ulteriore ipoteca moralistica. La forza che aiuta, la forza che salva, la forza liberatrice e purificatrice è stata rappresentata dall’arte fin dal tempo dei greci; da ciò ci viene l’incoraggiamento alla speranza e alla ricerca di un’interpretazione, anche se tutte le domande sul “perché” non possono essere risolte. Tutto ciò non deve andare perso nell’arte di oggi, per l’arte stessa e per l’uomo. In questo servizio si può e si deve giungere ad un’unione dell’arte e della Chiesa, senza che ciò ne cancelli le rispettive originalità.
6. Quando la Chiesa si è occupata dell’“aggiornamento”, dell’aggiornamento della fede cristiana, delle sue direttive e delle sue promesse, dobbiamo dire: mai la situazione dell’uomo di oggi, la sua sensibilità, ma anche i limiti delle sue possibilità sono state rappresentate in modo tanto efficace come dall’arte e dal giornalismo di oggi. La Chiesa è obbligata e indirizzata a seguire questa direzione. Quando la fede cristiana deve essere trasmessa come parola e risposta all’uomo, le domande devono essere poste consapevolmente.
La Chiesa ha bisogno dell’arte. Ne ha bisogno per trasmettere il suo messaggio. La Chiesa ha bisogno della parola, che sia testimonianza e trasmissione della parola di Dio e allo stesso tempo sia una parola umana, che faccia parte del patrimonio linguistico dell’uomo d’oggi, così come viene espressa dall’arte e dal giornalismo contemporaneo. Solo in questo modo la parola può rimanere viva e, allo stesso tempo, commuovere l’uomo.
La Chiesa ha bisogno dell’immagine. Il Vangelo viene narrato in immagini e parabole; deve e può essere reso visibile attraverso l’immagine. Nel nuovo testamento Cristo diventa l’immagine, l’icona di Dio invisibile. La Chiesa non è soltanto la Chiesa della parola, ma anche dei sacramenti, dei simboli santi. Per lungo tempo, oltre alla parola, sono state rappresentate le immagini del messaggio di salvezza, e ciò accade anche oggi. Ed è un bene. La fede non si rivolge soltanto all’udito, ma anche alla vista, ad entrambe le facoltà fondamentali dell’uomo.
Al servizio della fede, come viene manifestata nel servizio divino, si pone anche la musica. Tutti sanno che molte grandi composizioni ed opere musicali devono la loro creazione all’invito alla fede viva della Chiesa e al suo servizio divino. La fede non ha soltanto bisogno di conoscenza e di parole, ma anche di canti. E la musica dimostra che la fede è anche gioia, amore, venerazione ed esuberanza. Queste motivazioni e queste ispirazioni sono vive ancora oggi. Spesso la musica ricerca nuove espressioni nell’ambito della riforma della liturgia. Qui il campo offre ancora vaste possibilità. Il legame fra la Chiesa e l’arte nel campo della musica è vivo e fruttuoso.
Qualcosa di simile si può dire per i rapporti fra la Chiesa e l’architettura e l’arte figurativa. La Chiesa ha bisogno di spazio, per poter celebrare il servizio divino, per riunire il popolo di Dio e per le sue molteplici attività. Dopo le terribili distruzioni dell’ultima guerra mondiale, in tutto il mondo, e soprattutto nella repubblica federale di Germania, è nata un’architettura cristiana, che testimonia la vitalità della Chiesa. L’architettura delle chiese moderne non vuole essere un’imitazione del romanico, del gotico, del rinascimentale, del barocco, le cui splendide creazioni arricchiscono la Baviera; l’architettura delle chiese moderne, con lo spirito e la sensibilità del nostro tempo, e servendosi dei mezzi oggi disponibili, vuole dare forma ed espressione alla fede di oggi e allo stesso tempo vuole darle una dimora dove ritrovarsi. Ve ne sono di eccellenti esempi. A tutti coloro che hanno preso parte a quest’opera grandiosa - gli architetti e gli artisti, i teologi e i costruttori, i parroci ed i laici - va il nostro ringraziamento.
7. La Chiesa ha bisogno dell’arte. E ne ha bisogno in molti modi. Anche l’arte ha bisogno della Chiesa? Finora sembra di no. Ma quando il legame fra religione, Chiesa ed arte è così stretto, come ho cercato di dimostrare, soprattutto nei confronti dell’uomo, dell’immagine dell’uomo e della sua verità - e quando la fede cristiana con i suoi contenuti, trasmessi dalla Chiesa, ha ispirato l’arte nelle epoche del suo maggior splendore ed ha continuato ad ispirarla fino ad oggi, anche e soprattutto in Germania, allora ci si può chiedere: forse non si impoverisce l’arte? È forse essa in grado di dare contenuti e motivi essenziali, quando abbandona la strada della verità, che viene rappresentata dalla Chiesa?
L’incontro di oggi vuole essere un invito sincero per tutti gli artisti ad una nuova collaborazione, ad una nuova cooperazione in piena fiducia con la Chiesa, un invito a riscoprire la profondità della dimensione spirituale e religiosa che ha caratterizzato in ogni tempo l’arte nelle sue forme di espressione più nobili e più alte.
8. Nella riflessione di oggi abbiamo compreso anche i pubblicisti ed i giornalisti, che svolgono la loro opera professionale nella stampa, alla radio e alla televisione.
La visita del Papa nella repubblica federale di Germania è stata accompagnata dai mezzi della comunicazione sociale, vale a dire da voi, pubblicisti e giornalisti; viene continuamente seguita da voi con trasmissioni dal vivo, informazioni e commenti, che esprimono soprattutto benevolenza e approvazione. Per tutto ciò, desidero ringraziarvi di cuore. Grazie al vostro lavoro ciò che avviene in alcune città della repubblica federale, viene divulgato a milioni e milioni di persone. Mai il Vangelo ha avuto nella storia una possibilità di questo genere: di raggiungere tanti uomini. Per questo servizio - che è un servizio alla fede, alla Chiesa, e quindi un servizio all’uomo - desidero ringraziarvi nuovamente.
In quest’occasione tutti hanno modo di vedere quale potere sia stato posto nelle vostre mani, nelle mani dei pubblicisti e dei giornalisti. Avete un enorme influenza sul pubblico, nella formazione delle opinioni e sulla coscienza di milioni di uomini. La parola e l’immagine che voi trasmettete della realtà del mondo, dell’uomo, della società ed anche della fede cristiana, è determinante per il giudizio, il comportamento e l’agire di molti uomini.
In contrapposizione all’unificazione e all’abuso della stampa durante il periodo del nazionalsocialismo, nella repubblica federale di Germania è sorta una stampa pluralistica. A prescindere dalle differenze politiche ed ideologiche, i giornalisti hanno il compito di discutere con gli altri le proprie convinzioni e posizioni, di distinguere e di esporre le proprie tendenze ideologiche e di chiarire e precisare il proprio punto di vista. Questa grande “chance” di libertà racchiude in sé anche una grande responsabilità. L’informazione ed il commento delle notizie di stampa debbono essere caratterizzate dall’obiettività, dalla capacità di giudizio e dal senso di giustizia. Il pericolo di manipolare le notizie secondo le proprie tendenze è simile a quello di dare la precedenza ad avvenimenti sensazionali. Nel campo della stampa scandalistica esistono molti deplorevoli esempi.
È nel campo dell’informazione politica che si manifesta l’etica del giornalista. Il peso della sua responsabilità non sarà mai giustamente apprezzato. In una società libera, il giornalista non può lavorare, senza manifestare chiaramente una chiara, fondamentale certezza morale e senza la consapevolezza della grande importanza della comunicazione di massa.
9. La responsabilità dei pubblicisti diventa manifesta soprattutto quando si prende in considerazione l’effetto dei mezzi di comunicazione. È responsabilità dei pubblicisti tenere sempre presente i possibili effetti della loro attività. Le indagini sugli effetti dei mezzi di comunicazione, nell’ambito della scienza, è soltanto agli inizi. Vi sono le prime indicazioni sugli effetti che le trasmissioni di violenza hanno sui giovani. È giusto sottolineare che, per il tipo e il grado di questi effetti, non sono responsabili soltanto i mezzi di comunicazione, ma essi non possono negare il proprio ruolo e respingere le accuse dietro un comodo riparo. I pubblicisti, insieme ai genitori e agli insegnanti, sono chiamati a valutare gli effetti nocivi di queste rappresentazioni di violenza e a dare il proprio contributo per eliminarli.
Lo stesso vale per lo sviluppo della cultura politica. Anche qui i mezzi di comunicazione sono legati da un intreccio di rapporti. Il giornalista responsabile deve avere piena coscienza delle proprie possibilità di contribuire ad un sano sviluppo della cultura politica, della aderenza alla verità, ad una maggiore considerazione del valore personale degli altri.
Una chiara indicazione del ruolo-guida dei mezzi di comunicazione, soprattutto della televisione, è fornita dall’analisi dello sviluppo dei nostri valori morali. Qui i mezzi di comunicazione hanno contribuito al cambiamento dei regolamenti, delle norme e degli obblighi morali degli uomini: nel campo del comportamento sessuale sia dei giovani che degli adulti, della concezione del matrimonio e della famiglia e della sua realtà vissuta, dell’educazione dei bambini. Alcuni mezzi di comunicazione sociale, cambiando in maniera responsabile gli atteggiamenti, hanno dischiuso agli uomini una maggiore libertà nelle reciproche relazioni, e spesso hanno approfondito i rapporti personali fra un uomo e l’altro. Ma oggi è anche chiaro ciò che forse viene tenuto in scarsa considerazione dai mezzi di comunicazione e dai giornalisti che lavorano per essi: il cambiamento repentino di una presunta maggiore libertà è diventato mancanza di freni; l’abbandono degli obblighi morali ha portato a nuove violenze, che non sono degne dell’uomo e della sua dignità globale; la fiducia nei rapporti personali si è indebolita. Certamente i mezzi di comunicazione non sono i soli responsabili di questo stato di cose, ma essi hanno dato inizio a questo processo ed hanno contribuito ad incrementarlo.
Il giornalista ha l’obbligo di prendere sempre più coscienza degli effetti del suo lavoro, e di non chiudere gli occhi davanti a questo problema. Infatti il potere che gli è stato conferito non rappresenterà mai un pericolo, se egli lo gestirà con scrupolosità e responsabilità. Il criterio dell’opera di un giornalista non deve essere il risultato ad effetto, bensì la verità e l’obiettività. In tal modo voi servite la vostra professione, in tal modo voi servite ed aiutate l’uomo.
Per questo servizio autentico alla verità e all’uomo nell’arte e nel giornalismo, chiedo ed impetro di cuore per voi tutti, che siete qui convenuti, e per tutti i vostri colleghi la luce e l’assistenza di Dio.
 

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