Durante la recente visita della cattedrale di Monaco (denominata Frauenkirche, ma nota anche come Dom zu Unserer Lieben Frau ovvero Cattedrale di Nostra Signora), la delegazione dello Sci Club ha potuto ammirare la stele muraria che ricorda la storica visita di Giovanni Paolo II alla città bavarese il giorno 19 novembre 1980.
In quell'occasione il Papa pronunciò due importanti discorsi rivolti rispettivamente agli anziani e agli artisti.
AGLI ANZIANI
Monaco di Baviera, 19 novembre 1980
Miei cari fratelli e sorelle avanzati negli anni!
Mi colma di gioia particolare il potervi incontrare durante la
mia visita in Germania, in un’ora di preghiera a voi riservata. Vengo a voi
come un amico intimo; so di essere sorretto nel mio ministero proprio dalla
vostra partecipazione, dalla vostra preghiera e dai vostri sacrifici. Perciò vi
saluto con commossa gratitudine qui nel grande duomo di Monaco dedicato alla
Madonna! Un grazie particolare per le sentite parole di saluto e per le
preghiere con cui mi avete accompagnato in questi giorni! Con voi saluto tutti i
vostri compagni anziani della vostra patria, specie quelli che sono collegati
con noi attraverso la radio e la televisione. “Dio benedica” tutti voi, che
nel pellegrinaggio di questa vita più a lungo di me “sopportate il peso della
giornata e il caldo” (Mt 20,12), più a lungo di me incontrate il Signore e vi
sforzate di servirlo fedelmente nel piccolo e nel grande, nella gioia e nel
dolore!
1. Il Papa s’inchina con rispetto davanti all’anzianità e
invita tutti a farlo con lui. L’anzianità è il coronamento delle tappe della
vita. Essa porta la raccolta di ciò che si è appreso e vissuto, la raccolta di
quanto si è operato e raggiunto, la raccolta di quanto si è sofferto e
sopportato. Come al finale di una grande sinfonia ritornano i temi dominanti
della vita per una potente sintesi sonora. E questa risonanza conclusiva
conferisce saggezza: saggezza implorata dal giovane Salomone (cf. 1Re 3,9.11),
che è per lui più decisiva della potenza e della ricchezza, più importante
della bellezza e della salute (cf. Sap 7,7.8.10); la saggezza, di cui leggiamo
nelle regole di vita dell’antica alleanza: “Come s’addice la sapienza ai
vecchi, il discernimento e il consiglio alle persone eminenti! Corona dei vecchi
è un’esperienza molteplice, loro vanto il timore del Signore” (Sir 25,5ss).
All’attuale generazione degli anziani, che siete voi, miei
cari fratelli e sorelle, spetta in maniera del tutto particolare questa corona
onorifica della saggezza: voi avete dovuto in parte sperimentare da soli e con
gli altri durante due guerre mondiali infiniti dolori; molti hanno perduto
parenti, salute, professione, casa e patria; avete conosciuto gli abissi del
cuore umano, ma anche la sua capacità e disponibilità eroica ad aiutare, la
sua costanza nella fede e la sua forza di cominciare da capo.
La saggezza conferisce distanza, ma non una distanza di
estraniamento dal mondo, permette all’uomo di elevarsi al di sopra delle cose,
senza disprezzarle; ci fa vedere il mondo con gli occhi e col cuore! - di Dio.
Ci fa dire “sì” a Dio, ai nostri limiti, al nostro passato con le sue
delusioni, defezioni e peccati. Infatti “noi sappiamo che tutto concorre al
bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28). Dalla forza conciliante di questa
saggezza fioriscono allora bontà, pazienza, comprensione e il prezioso
ornamento dell’anzianità: l’amore.
Voi stessi, mie venerate sorelle e fratelli, sapete meglio che
questa preziosa raccolta della vita, che il Creatore ha previsto, non è un
possesso inattaccabile. Esige vigilanza, cura, autocontrollo, talvolta anche
lotta decisa. Altrimenti viene, una volta per sempre, lesa o anche minata da
indolenza, capriccio, superficialità, dominio di potere o addirittura amarezza.
Non perdetevi d’animo, cominciate sempre da capo con la grazia di nostro
Signore, e servitevi delle fonti di energia che Cristo vi offre nel sacramento
del pane e del perdono, nella parola della predicazione e della lettura biblica
e nel dialogo spirituale!
A questo punto mi è certamente permesso cordialmente in nome
vostro di ringraziare tutti i sacerdoti che riservano alla cura pastorale degli
anziani un posto decisivo nel loro lavoro e nel loro cuore. Essi prestano con
ciò nello stesso tempo il migliore servizio a tutta la loro comunità;
acquistano nello stesso tempo in voi una schiera di oranti fedeli.
Dopo i vostri cappellani vorrei rivolgere la mia parola ai
sacerdoti anziani come voi. Miei cari confratelli! La Chiesa vi ringrazia per il
lavoro compiuto durante la vostra vita, nella vigna del Signore. Ai sacerdoti
più giovani Gesù dice nel Vangelo di Giovanni (Gv 4,38): “Altri hanno
lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro”. Reverendi presbiteri,
portate ancora le aspirazioni della Chiesa nel vostro servizio di oranti “ad
Deum, qui laetificat iuventutem meam” (Sal 43,4).
2. Fratelli e sorelle delle generazioni più avanzate, voi siete
un tesoro per la Chiesa, voi siete una benedizione per il mondo. Quando spesso
dovete aiutare i genitori giovani, come potete ben iniziare i piccoli alla
storia della vostra famiglia e della vostra patria, nelle fiabe del vostro
popolo e nel mondo della fede! I giovani nei loro problemi trovano più facile
ricorrere a voi che ai loro genitori. Siate voi per i vostri figli e figlie l’aiuto
più prezioso nelle ore difficili. Col consiglio e l’azione portate la vostra
collaborazione nei gruppi, nelle associazioni e iniziative della vita ecclesiale
e civile.
Voi, complemento necessario di un mondo che ci entusiasma per lo
slancio dei giovani e per la forza dei cosiddetti anni migliori, di un mondo in
cui vale solo ciò che si può contare. Voi ricordate loro che essi continuano a
costruire sulla fatica di coloro che prima furono giovani e pieni di forza e che
anch’essi un giorno rimetteranno l’opera in mani più giovani.
In voi si vede chiaramente che il senso della vita non può solo
consistere nel guadagnare e spendere danaro, che in ogni azione esterna deve
maturare qualcosa di interiore e in ogni realtà temporale qualcosa di eterno
secondo la parola di san Paolo: “Anche se il nostro uomo esteriore si va
disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16).
Sì, l’anzianità merita il nostro rispetto, il rispetto che
riluce nella Sacra Scrittura quando ci pone davanti agli occhi Abramo e Sara,
invita ad andare al tempio Simeone e Anna per incontrare la sacra famiglia,
chiama i sacerdoti “anziani” (At 14,23; 15,2; 1Tm 4,14; 5,17.19; Tt 1,5; 1Pt
5,1), sintetizza l’omaggio di tutta la creazione nell’adorazione dei 24 “seniori”
e designa infine Dio stesso “il vegliardo” (Dn 7,9.22).
3. Si potrebbe elevare un inno di lode più splendido alla
dignità degli anziani? Ma voi resterete certamente delusi cari anziani che mi
ascoltate, se il Papa non guardasse anche l’altro aspetto dell’avanzamento
in età, se vi avesse portato solo l’omaggio - forse inaspettato - senza dirvi
una parola di conforto. Alla stagione autunnale in cui ci troviamo non
appartengono solo la raccolta e la festosa magnificenza dei rami, ma anche l’inaridimento
dei rami, la caduta e la disintegrazione delle foglie, non solo la piena e
splendida luce, ma anche la fosca e desolata nebbia. Analogamente è proprio
dell’anzianità non solo il potente accordo conclusivo o la somma
riconciliatrice della vita, ma anche un tempo di avvizzimento, un tempo in cui
il mondo può divenire estraneo ad una persona, la vita un peso, il corpo un
tormento.
Il peso dell’età consiste per i più in una certa fragilità
del corpo; i sensi non sono più acuti, le membra non più così agili, gli
organi diventano vulnerabili (cf. Qo 12,3ss). Ciò che si sperimenta da giorni
di malattia, accompagna spesso gli anziani di giorno e di notte!
Essi devono rinunciare definitivamente anche ad attività che
stavano loro molto a cuore. Anche la memoria può rifiutare il suo servizio: le
nuove informazioni non vengono accolte più così facilmente e molte di quelle
antiche si dileguano. Così il mondo perde la sua familiarità: il mondo della
propria famiglia con le condizioni di vita e di lavoro degli adulti divenute
totalmente diverse, con gli interessi e le forme espressive dei giovani tanto
cambiati, con i nuovi intenti e metodi di apprendimento dei fanciulli, col
crescente intensificarsi del traffico e il paesaggio molto modificato. Estraneo
diviene il mondo dell’economia e della politica, anonimo e impenetrabile il
mondo dell’assistenza sociale medica. E persino quell’ambito, che dovrebbe
offrire al massimo un rifugio, - la Chiesa con la sua vita e il suo insegnamento
- è per molti di voi divenuto in qualche caso estraneo, nell’intento di
soddisfare le esigenze dei tempi, le attese e i bisogni delle nuove generazioni.
Voi vi sentite mal compresi da questo mondo difficilmente
comprensibile, anzi spesso un poco respinti. Voi avete il sentore che non si
richiede la vostra opinione, collaborazione e presenza, e ciò talvolta
purtroppo è vero.
4. Che può dire allora il Papa? Con che cosa debbo consolarvi?
Non voglio sbrigarmela con troppa facilità. Non vorrei svalutare le pene dell’anzianità,
le vostre fragilità e malattie, il vostro abbandono e isolamento. Vorrei però
vederli con voi in una luce conciliante, alla luce del nostro Salvatore, “che
per noi ha sudato sangue, per noi è stato flagellato, per noi è stato coronato
di spine”. Nelle prove della vecchiaia sta il vostro itinerario di dolore e
voi accompagnate Cristo nel suo cammino, verso la croce. Voi non versate lacrime
da soli e non ne versate alcuna invano (cf. Sal 56,9). Per mezzo del dolore egli
ha redento il dolore e per mezzo del dolore voi collaborate alla sua opera
redentrice (cf. Col 1,24). Prendete le vostre sofferenze come un suo abbraccio e
trasformatele in benedizione, prendendole con lui dalla mano del Padre, che
nella sua imperscrutabile ma indubitabile sapienza e amore, costruisce in tal
modo il vostro perfezionamento.
L’oro si prova col fuoco (cf. 1Pt 1,7); nel tino l’uva si fa
vino.
In questo spirito, che solo Dio ci può dare, diventa allora
più facile aver comprensione anche per coloro che mettono alla prova la nostra
sofferenza con la loro noncuranza, disattenzione e sbadataggine, e perdonare
anche quelli che coscientemente, anzi volutamente aggravano il nostro dolore, ma
non possono mai misurare quanta pena c’infliggono. Diciamo col Crocifisso: “Padre,
perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Anche per noi
stessi è stata pronunciata questa parola redentrice.
5. In tale spirito - per il quale ora preghiamo insieme gli uni
per gli altri - prendiamo coscienza con gratitudine delle amorevoli parole; dei
pensieri e delle opere che ci vengono offerte ogni giorno, ma alle quali
facilmente ci abituiamo, per cui, finiamo facilmente per considerarle come
dovute.
Celebriamo oggi la festa di sant’Elisabetta, una santa che la
vostra nazione ha donato a tutto il mondo come simbolo della carità
soccorritrice. Ella è l’alto esemplare e la sublime patrona di tutti coloro
che per la loro professione, in una carica onorifica o nell’anonimato, servono
il proprio fratello bisognoso e in lui - lo sappia o no - incontrano Cristo.
Questa è, cari anziani, la ricompensa che date a coloro, per i quali tanto mal
volentieri siete di peso. Voi offrite loro l’occasione di incontrarsi con
Cristo, l’opportunità di superare se stessi, e con la vostra amorevolezza li
rendete partecipi dei menzionati frutti della vita, che Dio fa maturare in voi!
Non seppellite quindi le vostre preghiere in un cuore trepidante, disilluso o
pieno di rimbrotti, ma esprimetele in tutta la loro evidenza, persuasi della
vostra dignità e del bene che si trova nel cuore degli altri. Siate lieti di
ogni occasione che vi si presenta per dire la regale parola “grazie”, che si
eleva da tutti gli altari e colmerà la nostra beatitudine eterna.
Mi sia permesso di ringraziare insieme con voi tutti quelli che
in molte organizzazioni, associazioni e iniziative ecclesiali, civili e
pubbliche, ad alto e comune livello, nella legislazione e nell’amministrazione
o anche a titolo strettamente privato promuovono l’assistenza spirituale e
materiale degli anziani, una loro vita piena e permanentemente inserita nella
società.
6. Ed eccomi di nuovo a voi, cari sorelle e fratelli anziani, e
al conforto che da me vi aspettate. Dice un proverbio: “Se sei solo, fai
visita ad uno che è ancora più solo di te”. Aprite i vostri pensieri a quei
compagni di viaggio, a cui sotto qualche aspetto è capitato peggio di voi e che
potete in qualche modo aiutare dialogando con loro, porgendo loro una mano o
almeno manifestando loro la vostra comprensione! Vi prometto in nome di Cristo
che in ciò troverete forza e conforto (cf. At 20,35).
Così voi esercitate in piccolo ciò che noi siamo in grande.
Siamo un corpo dalle molte membra: quelli che portano aiuto e quelli che lo
ricevono, i più sani e i più malati, i più giovani e i più vecchi; quelli
che si sono già realizzati nella vita, quelli che sono ancora in via di
realizzazione; quelli che sono in crescita; quelli che sono giovani e quelli che
un tempo furono giovani; quelli che sono anziani e quelli che lo saranno domani.
Tutti rappresentiamo gli uni per gli altri la pienezza del corpo di Cristo e
tutti ci aiutiamo a maturare in questa pienezza: “La piena maturità di Cristo”
(Ef 4,13).
7. L’ultimo conforto, che cerchiamo insieme, miei cari
pellegrini “in questa valle di lacrime” (cf. Salve, Regina) è quello
di fronte alla morte. Sin dalla nostra nascita le andiamo incontro, ma nella
vecchiaia diventiamo sempre più consci del suo approssimarsi, se non
soffochiamo con violenza i nostri pensieri e sentimenti. Il Creatore ha disposto
che nella vecchiaia si prepari, si faciliti e si eserciti l’accettazione e il
superamento della morte. L’invecchiamento che abbiamo visto, è un congedarsi
gradualmente dalla pienezza ininterrotta della vita, dal contatto diretto col
mondo.
La grande scuola della vita e della morte ci porta poi presso
qualche tomba aperta, ci fa assistere qualche moribondo, prima di essere noi
stessi in quello stato, per assistere - ce lo conceda Iddio! - gli altri con la
preghiera. L’anziano ha sperimentato spesso tali lezioni della vita e le
sperimenta in frequenza crescente. È questo un grande vantaggio nel cammino
verso la grande soglia, che spesso ci dipingiamo unilateralmente come abisso e
notte. Siamo abituati a guardare oltre ma Dio può, più spesso di quanto
pensiamo, concedere a quelli che ci hanno preceduto, di accompagnarci e
prendersi cura di noi nella vita terrena. È stato un pensiero di fede viva e
profonda l’aver dedicato una Chiesa alle “anime del Purgatorio”. E le due
Chiese tedesche a Roma si denominano “Santa Maria in Campo Santo” e “Santa
Maria dell’anima”. Quanto più i nostri fratelli del mondo visibile,
giungono ai limiti della loro possibilità di aiutarci, tanto più dobbiamo
vedere i messaggi dell’amore di Dio in coloro che hanno già affrontato la
morte e di là ci attendono: i santi, i patroni di ciascuno di noi e i nostri
parenti e amici defunti, che speriamo accolti dalla misericordia di Dio.
Molti di voi, miei cari fratelli e sorelle, avete perduto la
vicinanza visibile del vostro compagno di vita. A loro è rivolta la mia
preghiera pastorale: “Fate divenire sempre più coscientemente Dio il “partner”
della vostra vita; allora sarete subito collegati con colui che Dio vi concesse
come compagno di cammino ed ora ha trovato egli stesso la sua meta in Dio”.
Senza fiducia in Dio non c’è in definitiva alcun conforto in
punto di morte. Anzi Dio con la morte vuole proprio che ci abbandoniamo
totalmente al suo amore almeno in quest’ora suprema della nostra vita, senza
alcun’altra sicurezza al di fuori di esso. Come potremmo mostrargli in maniera
più serena la nostra fede, la speranza e l’amore!
Un ultimo pensiero in questo contesto. Certamente ho parlato al
cuore di qualcuno di voi. La morte stessa è un conforto! La vita su questa
terra, anche se non fosse “una valle di lacrime” non ci potrebbe offrire per
sempre una patria. Essa diventerebbe sempre più una “prigione”, un “esilio”
(cf. Salve, Regina). Infatti “tutto il transitorio è solo una figura”
(Goethe, Faust, II, Schußchor)!
E così ci vengono pressantemente sulle labbra le parole
incancellabili di sant’Agostino: “Ci hai creato per te, o Signore e il
nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (S. Agostino, Confessiones,
I,1,1).
Così non ci sono i consacrati alla morte e quelli che sono
nella cosiddetta vita. Davanti a tutti noi sta una nascita, una trasformazione,
di cui temiamo i dolori con Gesù nell’orto degli ulivi ma di cui già
portiamo in noi l’esito radioso, da quando fummo immersi col battesimo nella
morte e nella vittoria di Cristo (cf. Rm 6,3-6; Col 2,12).
Con tutti voi, che siete qui presenti in questo duomo dedicato
alla Madonna o collegati mediante la radio e la televisione, con tutti coloro
che ho potuto incontrare in questi giorni, con tutti i cittadini e ospiti di
questo magnifico paese, con tutti i credenti e per tutti coloro che sono in
ricerca, coi fanciulli e i giovani, gli adulti e gli anziani vorrei in quest’ora
di congedo far divenire la nostra riflessione una preghiera: “Dal seno materno
tu sei il mio sostegno... Non mi respingere nel tempo della vecchiaia” (Sal 70
[71],6.9).
“Vienici incontro con la tua misericordia e preservaci da ogni
turbamento e peccato, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il
nostro salvatore Gesù Cristo!” (“Ordinarium” Missae).
E vorrei unire la mia preghiera da noi elevata in questo duomo,
che è sempre espressa nello Spirito ed è sempre da Gesù presentata al Padre,
alla preghiera di colei che quale prima redenta è per noi madre e sorella (cf.
Paolo VI, Insegnamenti
di Paolo VI, II [1964] 675 et 664).
“Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e
nell’ora della nostra morte. Amen!”.
Sia lodato Gesù Cristo!
AGLI ARTISTI E AI GIORNALISTI
Monaco di Baviera, 19 novembre 1980
Gentili signore e signori.
Il mio cordiale saluto va agli artisti ed ai pubblicisti che,
nel corso della mia visita, sono venuti a Monaco da tutte le parti della
repubblica federale tedesca. Mi rallegro di potermi incontrare con voi in questa
città, che è stata da sempre il cuore dell’arte e che in quest’ultimo
periodo è diventata un importante centro dei mezzi di comunicazione di massa.
Questo nostro incontro deve rappresentare un contributo al dialogo tra Chiesa e
arte, tra Chiesa e mezzi di comunicazione sociale, un contributo al dialogo, che
per lungo tempo e stato incompleto o si è svolto nel segno del contrasto e
della opposizione. Vorrei accennare qui di seguito ai legami che esistono fra la
Chiesa e l’arte, fra la Chiesa e il giornalismo, e che possono portare ad una
migliore comprensione reciproca e ad una fruttuosa collaborazione al servizio
dell’uomo.
1. Il rapporto tra la Chiesa e l’arte nell’architettura,
nell’arte figurativa, nella letteratura, nel teatro e nella musica ha una
storia complessa. Se non fosse stato per gli sforzi compiuti dai monasteri, ad
esempio, presumibilmente non sarebbero sopravvissuti i tesori degli autori
antichi greci e latini. Con grande schiettezza la Chiesa si è messa in contatto
con l’antica letteratura e cultura. Per un lungo periodo di tempo la Chiesa è
stata considerata la madre dell’arte. Essa agiva come mecenate; i contenuti
della fede cristiana fornivano i motivi ed i temi dell’arte. Quanto ciò sia
appropriato, lo si può riconoscere con un semplice esperimento mentale:
togliamo dalla storia dell’arte europea e tedesca tutto ciò che ha a che fare
con l’ispirazione cristiana e religiosa e vedremo quanto poco dell’arte
sarà rimasto.
Negli ultimi secoli, soprattutto a partire dal 1800, il legame
tra la Chiesa e la cultura, e quindi tra la Chiesa e l’arte, si è allentato.
Ciò è avvenuto nel nome dell’autonomia e si è acuito nel nome di una
dilagante secolarizzazione. Fra Chiesa ed arte si aprì un divario, che divenne
sempre più ampio e più profondo. Ciò divenne particolarmente evidente nel
campo della letteratura, del teatro e più tardi del cinema. Questo
allontanamento reciproco si è accentuato con la critica alla Chiesa e al
cristianesimo e soprattutto alla religione. La Chiesa, da parte sua - e ciò in
certo qual modo è comprensibile - era diffidente nei confronti dello spirito
moderno e delle sue molteplici forme di espressione. Questo spirito era ritenuto
nemico della Chiesa e della fede, critico nei confronti della rivelazione e
della religione. L’atteggiamento della Chiesa era quello di proteggersi, di
prendere le distanze e di opporsi in nome della fede cristiana.
2. Il Concilio Vaticano II ha gettato le basi di un rapporto
sostanzialmente nuovo fra la Chiesa e il mondo, fra la Chiesa e la cultura
moderna e con ciò anche fra la Chiesa e l’arte. Si potrebbe definire come
rapporto di comprensione, di apertura, di dialogo. A ciò si unisce l’attenzione
verso l’oggi, l’“aggiornamento”. I padri conciliari dedicano nella
costituzione pastorale “Gaudium et Spes” un intero capitolo (cf. 53-63) alla corretta promozione dei progressi culturali ed affrontano il
problema, come nella Chiesa antica, senza limitazioni o timori, con franchezza.
Il mondo è una realtà a sé stante, ha la propria legittimità. Qui viene
anche trattata l’autonomia della cultura e dell’arte. Questa autonomia, se
ben interpretata, non è una protesta contro Dio o contro le testimonianze della
fede cristiana; essa è piuttosto la manifestazione che il mondo di Dio è una
creazione unica, libera, consegnata ed affidata all’uomo per lo sviluppo della
sua cultura e della sua responsabilità.
Con ciò si è gettata la premessa che ha permesso alla Chiesa
di entrare in un nuovo rapporto con la cultura e con l’arte, in un rapporto di
collaborazione, di libertà e di dialogo. Ciò è più facilmente possibile e
può essere assai più fruttuoso, se l’arte nel vostro paese è libera e può
realizzarsi e svilupparsi nella libertà. Se voi esercitate la vostra
professione nella libertà responsabile, la Chiesa vuole e deve essere sempre al
vostro fianco, vicino a voi nella sollecitudine per la dignità dell’uomo in
un mondo che è scosso nelle sue fondamenta.
3. La Chiesa vede la professione degli artisti e dei giornalisti
in una disposizione d’animo, che definisce allo stesso tempo i mezzi, la
grandezza, e la responsabilità dei loro compiti. Secondo la concezione
cristiana, ogni uomo è immagine e somiglianza di Dio. Ciò si riferisce in
particolar modo all’attività creativa dei giornalisti e degli artisti. La
vostra professione è una professione creativa, che corrisponde a quel compito.
Voi date forma e sostanza alla realtà e al materiale che il mondo vi offre. Voi
non vi fermate alla mera rappresentazione o alla descrizione della superficie.
Voi cercate di “concentrare” la realtà dell’uomo e del suo mondo nel
senso originario della parola. Voi cercate attraverso la parola, il tono, l’immagine
e la rappresentazione, di far immaginare e di rendere comprensibili la verità e
la profondità del mondo e dell’uomo, della quale fanno parte anche gli abissi
umani.
Per così dire, ciò che è importante non è un accordo
segreto, cristiano o di Chiesa, dell’arte o degli artisti, dei mezzi di
comunicazione o dei giornalisti, ma piuttosto un riconoscimento dal punto di
vista della fede cristiana, un riconoscimento che è pieno di positività, di
rispetto e di comprensione.
Il Cardinale tedesco Nikolaus di Kues ha scritto questa frase:
“La creatività e l’arte, che un’anima ha la fortuna di ospitare, non sono
creative per se stesse, perché soltanto Dio crea, ma sono da lui trasmesse ed
emanate”.
4. Chiediamoci ancora: su cosa si basano i legami ed i
collegamenti reciproci fra l’arte e la Chiesa, fra la Chiesa e il giornalismo?
A ciò possiamo rispondere: il tema della Chiesa ed il tema degli artisti e dei
giornalisti è l’uomo, l’immagine dell’uomo, la verità dell’uomo, l’“ecce
homo”, al quale va riferita la storia, il mondo e l’ambiente, come pure il
contesto sociale, economico e politico in un’opera.
La Chiesa, come tramite del messaggio della fede cristiana,
ricorderà sempre che la realtà dell’uomo non può essere descritta
adeguatamente, prescindendo dalla dimensione teologica; che non deve mai essere
dimenticata, che l’uomo è una creatura limitata nel tempo e nello spazio, che
ha bisogno di aiuto e di completamento. Che la vita umana è dono e
accettazione, che l’uomo è alla ricerca di significato, di salvezza e di
liberazione, perché è limitato in molti modi dalle costrizioni e dalla colpa.
La Chiesa ricorderà sempre che in Cristo si trova la vera ed unica immagine
dell’uomo e dell’umanità. Gesù Cristo rimane, come dice il filosofo
tedesco Karl Jaspers, la più autorevole fra le persone più autorevoli della
storia. E il Concilio sottolinea: “Cristo, che è il nuovo Adamo... svela
anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”
(Gaudium et Spes, 22).
Anche l’arte, in tutte le sue manifestazioni - e a questa si
aggiungono le possibilità offerte dal cinema e dalla televisione - ha come tema
fondamentale l’uomo, l’immagine dell’uomo, la verità dell’uomo.
Pure se l’apparenza spesso dice il contrario, anche l’arte
contemporanea è cosciente di queste profonde asserzioni ed istanze. L’origine
religiosa e cristiana dell’arte non è del tutto esaurita. Temi come la colpa
e la grazia, l’inganno e la liberazione, l’ingiustizia e la giustizia, la
misericordia e la libertà, la solidarietà e l’amore del prossimo, la
speranza e la consolazione, si trovano nella letteratura odierna, nei libri di
testo e nelle sceneggiature, e trovano ampia risonanza.
La collaborazione fra Chiesa e arte nei confronti dell’uomo si poggia sul fatto che entrambe desiderano liberare l’uomo dalla schiavitù e vogliono che egli prenda coscienza di se stesso. Esse gli aprono la via della libertà - libertà dalle pressioni dei bisogni, della produttività ad ogni costo, dell’efficienza, della programmazione e della funzionalità.
La collaborazione fra Chiesa e arte nei confronti dell’uomo si poggia sul fatto che entrambe desiderano liberare l’uomo dalla schiavitù e vogliono che egli prenda coscienza di se stesso. Esse gli aprono la via della libertà - libertà dalle pressioni dei bisogni, della produttività ad ogni costo, dell’efficienza, della programmazione e della funzionalità.
5. Abbiamo detto che la Chiesa e l’arte hanno come oggetto l’uomo,
la sua immagine, la sua verità, la rivelazione della sua realtà - e questo lo
diciamo adesso, nel momento dell’“aggiornamento”, per usare un termine del
Concilio Vaticano II.
Questo impegno richiede, da parte della Chiesa e dell’arte, un
grande servizio, il servizio alla concretezza. Alla Chiesa è assegnato questo
compito; poiché la verità è concretezza. Nelle manifestazioni odierne dell’arte,
nella letteratura e nel teatro, nell’arte figurativa, nel cinema ed anche nel
giornalismo, l’uomo viene spogliato di tutte le componenti e le sovrastrutture
romantiche - egli viene rappresentato, per così dire, in una realistica
nudità. Fanno parte di questa caratteristica dell’arte di oggi anche l’esibizione
delle aberrazioni e dei turbamenti, dei timori e della disperazione, dell’assurdità
e dell’insensatezza, la rappresentazione di un mondo e di una storia depravati
fino alla caricatura. Spesso ciò è giustificato con l’abbattimento di tutti
i tabù.
La letteratura, il teatro, il cinema e l’arte figurativa si
pongono oggi come critica, come protesta, come opposizione, come accusa contro
questo stato di cose. La bellezza sembra appartenere ad una categoria dell’arte
che va a vantaggio di una rappresentazione dell’uomo nella sua negatività,
nella sua contraddizione, nella sua mancanza di vie d’uscita, nell’assenza
di ogni significato. Questo sembra essere l’“ecce homo” di oggi. Il
cosiddetto “mondo sano” diventa oggetto di dileggio e di cinismo. Il
Concilio Vaticano II si è posto tutti questi quesiti con grande franchezza nel
suo decreto sui mezzi di comunicazione sociale (Inter Mirifica).
Contro la rappresentazione del male, nelle sue forme e nei suoi
vari aspetti, anche in nome della fede cristiana e della Chiesa, non vi è nulla
da obiettare. Il male è una realtà, la cui dimensione è stata vissuta e
sofferta proprio nel nostro secolo, proprio nella nostra patria e nella mia,
fino ai confini più estremi. Senza questa realtà del male non sarebbe
possibile misurare anche la realtà del bene, della liberazione, della grazia,
della salvezza. Questo non è un lasciapassare per il male, ma è l’indicazione
della sua ubicazione. E qui dobbiamo riferire uno stato di cose che non è né
innocuo né meno importante. Lo specchio della negatività nella varie
manifestazioni dell’arte odierna non potrebbe diventare uno scopo? Non
potrebbe condurre al piacere del male, al gusto della distruzione e della
rovina, al cinismo e al disprezzo per l’uomo?
Quando viene rappresentata la realtà del male, si vuole
presentare, anche nell’intima logica dell’arte, il terribile come terribile,
si vuole sgomentare. In questo modo la rappresentazione non ha come fine di
confermare il male; piuttosto si propone come scopo che la situazione non
peggiori, anzi, che migliori. Devi cambiare la tua vita, devi tornare indietro
per iniziare di nuovo, devi opporti al male, perché non sia il male ad avere l’ultima
parola, perché non diventi una concreta realtà.
Questo non è soltanto il grido e l’esortazione della Chiesa,
è anche l’impegno dell’arte e del giornalismo in tutti i campi - e ciò non
comporta un’ulteriore ipoteca moralistica. La forza che aiuta, la forza che
salva, la forza liberatrice e purificatrice è stata rappresentata dall’arte
fin dal tempo dei greci; da ciò ci viene l’incoraggiamento alla speranza e
alla ricerca di un’interpretazione, anche se tutte le domande sul “perché”
non possono essere risolte. Tutto ciò non deve andare perso nell’arte di
oggi, per l’arte stessa e per l’uomo. In questo servizio si può e si deve
giungere ad un’unione dell’arte e della Chiesa, senza che ciò ne cancelli
le rispettive originalità.
6. Quando la Chiesa si è occupata dell’“aggiornamento”,
dell’aggiornamento della fede cristiana, delle sue direttive e delle sue
promesse, dobbiamo dire: mai la situazione dell’uomo di oggi, la sua
sensibilità, ma anche i limiti delle sue possibilità sono state rappresentate
in modo tanto efficace come dall’arte e dal giornalismo di oggi. La Chiesa è
obbligata e indirizzata a seguire questa direzione. Quando la fede cristiana
deve essere trasmessa come parola e risposta all’uomo, le domande devono
essere poste consapevolmente.
La Chiesa ha bisogno dell’arte. Ne ha bisogno per trasmettere
il suo messaggio. La Chiesa ha bisogno della parola, che sia testimonianza e
trasmissione della parola di Dio e allo stesso tempo sia una parola umana, che
faccia parte del patrimonio linguistico dell’uomo d’oggi, così come viene
espressa dall’arte e dal giornalismo contemporaneo. Solo in questo modo la
parola può rimanere viva e, allo stesso tempo, commuovere l’uomo.
La Chiesa ha bisogno dell’immagine. Il Vangelo viene narrato
in immagini e parabole; deve e può essere reso visibile attraverso l’immagine.
Nel nuovo testamento Cristo diventa l’immagine, l’icona di Dio invisibile.
La Chiesa non è soltanto la Chiesa della parola, ma anche dei sacramenti, dei
simboli santi. Per lungo tempo, oltre alla parola, sono state rappresentate le
immagini del messaggio di salvezza, e ciò accade anche oggi. Ed è un bene. La
fede non si rivolge soltanto all’udito, ma anche alla vista, ad entrambe le
facoltà fondamentali dell’uomo.
Al servizio della fede, come viene manifestata nel servizio
divino, si pone anche la musica. Tutti sanno che molte grandi composizioni ed
opere musicali devono la loro creazione all’invito alla fede viva della Chiesa
e al suo servizio divino. La fede non ha soltanto bisogno di conoscenza e di
parole, ma anche di canti. E la musica dimostra che la fede è anche gioia,
amore, venerazione ed esuberanza. Queste motivazioni e queste ispirazioni sono
vive ancora oggi. Spesso la musica ricerca nuove espressioni nell’ambito della
riforma della liturgia. Qui il campo offre ancora vaste possibilità. Il legame
fra la Chiesa e l’arte nel campo della musica è vivo e fruttuoso.
Qualcosa di simile si può dire per i rapporti fra la Chiesa e l’architettura
e l’arte figurativa. La Chiesa ha bisogno di spazio, per poter celebrare il
servizio divino, per riunire il popolo di Dio e per le sue molteplici attività.
Dopo le terribili distruzioni dell’ultima guerra mondiale, in tutto il mondo,
e soprattutto nella repubblica federale di Germania, è nata un’architettura
cristiana, che testimonia la vitalità della Chiesa. L’architettura delle
chiese moderne non vuole essere un’imitazione del romanico, del gotico, del
rinascimentale, del barocco, le cui splendide creazioni arricchiscono la
Baviera; l’architettura delle chiese moderne, con lo spirito e la sensibilità
del nostro tempo, e servendosi dei mezzi oggi disponibili, vuole dare forma ed
espressione alla fede di oggi e allo stesso tempo vuole darle una dimora dove
ritrovarsi. Ve ne sono di eccellenti esempi. A tutti coloro che hanno preso
parte a quest’opera grandiosa - gli architetti e gli artisti, i teologi e i
costruttori, i parroci ed i laici - va il nostro ringraziamento.
7. La Chiesa ha bisogno dell’arte. E ne ha bisogno in molti
modi. Anche l’arte ha bisogno della Chiesa? Finora sembra di no. Ma quando il
legame fra religione, Chiesa ed arte è così stretto, come ho cercato di
dimostrare, soprattutto nei confronti dell’uomo, dell’immagine dell’uomo e
della sua verità - e quando la fede cristiana con i suoi contenuti, trasmessi
dalla Chiesa, ha ispirato l’arte nelle epoche del suo maggior splendore ed ha
continuato ad ispirarla fino ad oggi, anche e soprattutto in Germania, allora ci
si può chiedere: forse non si impoverisce l’arte? È forse essa in grado di
dare contenuti e motivi essenziali, quando abbandona la strada della verità,
che viene rappresentata dalla Chiesa?
L’incontro di oggi vuole essere un invito sincero per tutti
gli artisti ad una nuova collaborazione, ad una nuova cooperazione in piena
fiducia con la Chiesa, un invito a riscoprire la profondità della dimensione
spirituale e religiosa che ha caratterizzato in ogni tempo l’arte nelle sue
forme di espressione più nobili e più alte.
8. Nella riflessione di oggi abbiamo compreso anche i
pubblicisti ed i giornalisti, che svolgono la loro opera professionale nella
stampa, alla radio e alla televisione.
La visita del Papa nella repubblica federale di Germania è
stata accompagnata dai mezzi della comunicazione sociale, vale a dire da voi,
pubblicisti e giornalisti; viene continuamente seguita da voi con trasmissioni
dal vivo, informazioni e commenti, che esprimono soprattutto benevolenza e
approvazione. Per tutto ciò, desidero ringraziarvi di cuore. Grazie al vostro
lavoro ciò che avviene in alcune città della repubblica federale, viene
divulgato a milioni e milioni di persone. Mai il Vangelo ha avuto nella storia
una possibilità di questo genere: di raggiungere tanti uomini. Per questo
servizio - che è un servizio alla fede, alla Chiesa, e quindi un servizio all’uomo
- desidero ringraziarvi nuovamente.
In quest’occasione tutti hanno modo di vedere quale potere sia
stato posto nelle vostre mani, nelle mani dei pubblicisti e dei giornalisti.
Avete un enorme influenza sul pubblico, nella formazione delle opinioni e sulla
coscienza di milioni di uomini. La parola e l’immagine che voi trasmettete
della realtà del mondo, dell’uomo, della società ed anche della fede
cristiana, è determinante per il giudizio, il comportamento e l’agire di
molti uomini.
In contrapposizione all’unificazione e all’abuso della
stampa durante il periodo del nazionalsocialismo, nella repubblica federale di
Germania è sorta una stampa pluralistica. A prescindere dalle differenze
politiche ed ideologiche, i giornalisti hanno il compito di discutere con gli
altri le proprie convinzioni e posizioni, di distinguere e di esporre le proprie
tendenze ideologiche e di chiarire e precisare il proprio punto di vista. Questa
grande “chance” di libertà racchiude in sé anche una grande
responsabilità. L’informazione ed il commento delle notizie di stampa debbono
essere caratterizzate dall’obiettività, dalla capacità di giudizio e dal
senso di giustizia. Il pericolo di manipolare le notizie secondo le proprie
tendenze è simile a quello di dare la precedenza ad avvenimenti sensazionali.
Nel campo della stampa scandalistica esistono molti deplorevoli esempi.
È nel campo dell’informazione politica che si manifesta l’etica
del giornalista. Il peso della sua responsabilità non sarà mai giustamente
apprezzato. In una società libera, il giornalista non può lavorare, senza
manifestare chiaramente una chiara, fondamentale certezza morale e senza la
consapevolezza della grande importanza della comunicazione di massa.
9. La responsabilità dei pubblicisti diventa manifesta
soprattutto quando si prende in considerazione l’effetto dei mezzi di
comunicazione. È responsabilità dei pubblicisti tenere sempre presente i
possibili effetti della loro attività. Le indagini sugli effetti dei mezzi di
comunicazione, nell’ambito della scienza, è soltanto agli inizi. Vi sono le
prime indicazioni sugli effetti che le trasmissioni di violenza hanno sui
giovani. È giusto sottolineare che, per il tipo e il grado di questi effetti,
non sono responsabili soltanto i mezzi di comunicazione, ma essi non possono
negare il proprio ruolo e respingere le accuse dietro un comodo riparo. I
pubblicisti, insieme ai genitori e agli insegnanti, sono chiamati a valutare gli
effetti nocivi di queste rappresentazioni di violenza e a dare il proprio
contributo per eliminarli.
Lo stesso vale per lo sviluppo della cultura politica. Anche qui
i mezzi di comunicazione sono legati da un intreccio di rapporti. Il giornalista
responsabile deve avere piena coscienza delle proprie possibilità di
contribuire ad un sano sviluppo della cultura politica, della aderenza alla
verità, ad una maggiore considerazione del valore personale degli altri.
Una chiara indicazione del ruolo-guida dei mezzi di
comunicazione, soprattutto della televisione, è fornita dall’analisi dello
sviluppo dei nostri valori morali. Qui i mezzi di comunicazione hanno
contribuito al cambiamento dei regolamenti, delle norme e degli obblighi morali
degli uomini: nel campo del comportamento sessuale sia dei giovani che degli
adulti, della concezione del matrimonio e della famiglia e della sua realtà
vissuta, dell’educazione dei bambini. Alcuni mezzi di comunicazione sociale,
cambiando in maniera responsabile gli atteggiamenti, hanno dischiuso agli uomini
una maggiore libertà nelle reciproche relazioni, e spesso hanno approfondito i
rapporti personali fra un uomo e l’altro. Ma oggi è anche chiaro ciò che
forse viene tenuto in scarsa considerazione dai mezzi di comunicazione e dai
giornalisti che lavorano per essi: il cambiamento repentino di una presunta
maggiore libertà è diventato mancanza di freni; l’abbandono degli obblighi
morali ha portato a nuove violenze, che non sono degne dell’uomo e della sua
dignità globale; la fiducia nei rapporti personali si è indebolita. Certamente
i mezzi di comunicazione non sono i soli responsabili di questo stato di cose,
ma essi hanno dato inizio a questo processo ed hanno contribuito ad
incrementarlo.
Il giornalista ha l’obbligo di prendere sempre più coscienza
degli effetti del suo lavoro, e di non chiudere gli occhi davanti a questo
problema. Infatti il potere che gli è stato conferito non rappresenterà mai un
pericolo, se egli lo gestirà con scrupolosità e responsabilità. Il criterio
dell’opera di un giornalista non deve essere il risultato ad effetto, bensì
la verità e l’obiettività. In tal modo voi servite la vostra professione, in
tal modo voi servite ed aiutate l’uomo.
Per questo servizio autentico alla verità e all’uomo nell’arte
e nel giornalismo, chiedo ed impetro di cuore per voi tutti, che siete qui
convenuti, e per tutti i vostri colleghi la luce e l’assistenza di Dio.
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