venerdì 12 settembre 2014

Papa Francesco e «Il capitan de la compagnia»





Nella collana «Principio y Fundamento» delle «Ediciones Mensajero» di Bilbao, Papa Francesco, riprendendo un testo edito a Buenos Aires, pubblica Reflexiones espirituales sobre la vida apostólica, che credo — ho potuto vedere solo le bozze del testo spagnolo — usciranno presto anche in italiano. 
Si tratta, soprattutto, di meditazioni che prendono lo spunto dal commento agli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola. Con una profonda sapienza teologica perfettamente fusa in una semplicità epica da parabola evangelica — quella semplicità delle cose d’ogni giorno che contengono tutto il mistero del vivere, soffrire, essere felici, illudersi, smarrirsi e continuare a camminare — il Papa va al fondo degli elementi costitutivi della fede, ma prima ancora della vita, quali la colpa, la misericordia, il desiderio, la magnanimità e la meschinità, la conoscenza e la torbida accusa di sé stessi, il dubbio e l’incertezza, l’amore, la forza d’animo e la grazia.

Si sente un Pontefice che ama la pace senza retorica e si oppone alla guerra senza ingenuità — all’attuale guerra che incendia il mondo e che forse è la Quarta guerra mondiale piuttosto che la Terza, come egli ha detto, la quale è già stata combattuta, anche se per nostra egoistica fortuna non sulle nostre teste. 
Si dice 45 milioni di morti fra il 1945 e il 1991. Questo libro, letto il quale ci si sente un po’ più capaci di guardare senza tremore e senza esaltarsi nell’assurdo caos dell’esistenza, è preceduto, come talvolta accade, da una pagina che contiene tre citazioni, tre frasi di altri scrittori, cui l’autore sembra affidare le sue parole; tre ideali punti di riferimento o costellazioni cui guardare per tenere la giusta rotta nella propria navigazione. 
La prima è il passo di un padre gesuita, Alonso de Barzana, che dice il desiderio di dividersi in due, in tre, in mille per poter stare con tutte le persone amate nei più diversi Paesi della terra. 
La seconda è la quartina di una poesia occitanica di Nino Costa — probabile omaggio alla propria origine e ai propri genitori e nonni, cui è dedicato il libro — che parla della malinconia di un paesaggio, della silenziosa fatica del lavoro e di una tomba in un cimitero straniero, con l’ardimento del canto popolare che accosta le cose vicine e lontane.

Ma è la terza citazione — quella centrale, collocata significativamente nel mezzo della pagina — il colpo di genio. Due righe, due versi: «L’ultimo pezzo alle montagne/che lo fioriscano di rose e fior». Due versi della canzone alpina «Il capitan de la compagnia, che l’è ferito e sta per morir» e chiama i suoi alpini perché, dopo morto, taglino il suo corpo in cinque pezzi dandone uno alla patria (al re, diceva la versione originale), uno alla compagnia, uno alla mamma che si ricordi del suo figliol, uno alla sua bella che si ricordi del primo amor e l’ultimo alle montagne che lo fioriscano di rose e fior. 
Il testo fondamentale di un grande santo e grande figura storica e il suo commento scritto da un Papa vengono affidati alla superiore verità umana di una canzone che dice, con una semplicità ignara e non bisognosa di letteratura, l’amore, l’amicizia, la buona verità del corpo, il piglio sanguigno e sensuale del vivere alieno da ogni mortificazione e non sgomento dinanzi al destino che fa diventar terra e anche rose e fiori, a loro volta destinati a appassire ma non per questo meno lieti e odorosi nel vento. Pane e vino, nella comunione come all’osteria con gli amici. 
Forse questo Pontefice — che, fedele al monito evangelico di essere semplici come colombe e astuti come serpenti, sta cambiando la Chiesa con un’aria tranquilla da normalità quotidiana che disarma sul nascere ogni reazione — sta pure reinsegnando agli uomini a pregare. Dire «Il capitan de la compagnia», alla fine della giornata, può non essere meno che dire Il Padre Nostro o l’Ave Maria.

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