martedì 22 agosto 2017

Gustavo Thoeni: "Le radici sono tutto"





Da quell’angolo dell’Alto Adige incastonato tra Austria e Svizzera, l’Italia gli appare molto nitida. Contrasto con il contorno? No, non è un confronto negativo. O perlomeno, non tutto: «Vedo un Paese pieno di cultura, talento e inventiva. Ma l’Italia è anche un Paese che potrebbe fare di più e che ha aree di inefficienza». Gustavo Thoeni non ha mai lasciato Trafoi. Inevitabile: nel campione icona dello sci degli anni ‘70, il senso dell’appartenenza è centrale. «A casa parliamo il tedesco e un dialetto simile a quello della Baviera. Le radici sono tutto: credo alla cultura locale che si tramanda da generazioni». La sua terra, che nel 2000 l’ha nominato sportivo sudtirolese del secolo, è ora il luogo per fare il nonno: tre figlie e nove nipoti, il più grande promette bene sugli sci. Assicura «di non aver mai sperimentato il rammarico», mentre il successo non ha cambiato la sua umiltà né scalfito una timidezza che non è assoluta ma va solo stuzzicata.

Anche se lei è Thoeni, cioè un campione, ha mai sognato di essere Stenmark o Tomba?

«No, mai. Semmai avrei voluto essere Killy o Sailer, quelli della generazione precedente: ma l’ho sognato solo da bambino».

Thoeni, assieme alla Valanga Azzurra, è stato lo «sponsor» dello sci e del suo boom.

«Abbiamo trasformato lo sci da hobby per pochi in sport di massa. Abbiamo costretto le stazioni invernali ad aggiornare gli impianti, la gente in quegli anni aveva i soldi e spendeva. I nostri successi “chiamarono” la tv e i media».

La rivalità con Gros: è vero che lei, sconfitto in slalom da Piero ai Giochi di Innsbruck e «solo» medaglia d’argento, non ci stava a fare la foto di rito dopo il podio?

«Massì, ero un po’ incavolato. Però poi è passato tutto e la foto l’ho fatta».

La Valanga Azzurra: più squadrone o fucina di rivalità?

«In allenamento nessuno voleva stare dietro. Ma tra di noi c’era amicizia. E c’è ancora oggi».

La scherzavano con il tormentone «Ho sciato male» e freddure come «Gustavo non può che indossare i calzetthoeni».


«La rivalità è stata la base della nostra forza. D’altra parte, la rivalità non è forse un ingrediente decisivo in tutti gli sport?».

«Li mettevo eccome, i calzetthoeni. Li mettevo anche di… lana gros. Tormentoni? Semmai erano tormenthoeni. No, non ero infastidito. Forse solo all’inizio, poi ci ho fatto il callo».

Ha pubblicizzato lo speck. Senfter, lo speck con gli sci. Dissero: solo il nome metteva a rischio la stabilità di ogni dentiera. E poi gli organetti e i campanacci in sottofondo…

«Non ricordo quello che dovevo dire. Complicato ricordare il nome del prodotto? Pure Thoeni, sostenevano, era difficile da memorizzare; poi però l’hanno imparato tutti. Ah, a fine carriera ho reclamizzato anche l’Ovomaltina».

Gustavo Thoeni «cuccava»?

«Poco. Ero troppo concentrato sulla futura moglie: filavamo già da tempo, ero blindato».

Ha battuto Stenmark in quel parallelo del 1975 di Ortisei diventato un manifesto dello sci: però poi Ingemar l’ha mandata a cuccia.

«Non ho pensato, dopo il parallelo, di non poterlo battere più. Nel 1976, anno olimpico, noi azzurri lo superammo varie volte. Ma poi si è capito che era un asso: vinceva sempre, dal 1978 in avanti non ce ne fu per nessuno».

Tomba ha fermato Sanremo, ma lei il Festival l’ha presentato: nel ‘99, da spalla di Fazio.

«Fu una bella esperienza, ma non era il mio mondo. Fazio è un amico, mi ha sempre coinvolto. È appassionato di montagna, però non è mai venuto a sciare con me».

Con Tomba ha fatto pari nel cinema: un flop a testa da attori. Alberto con «Alex l’ariete» e lei con «Un centesimo di secondo» di Duccio Tessari.

«Ero curioso di capire come funzionasse il cinema: fu Tessari a convincermi. Il flop non fu solo mio: il gruppo che lo finanziò andò a rotoli, devo ancora prendere dei soldi».

Il film si ispirava alla tragedia di Leonardo David e alla discesa a Kitzbühel in cui lei perse per 3 millesimi da Klammer. Ma c’erano battute tipo «Come sto? Come un frullato di sciatore che ha fermato il treno con le gengive».

«Ho lasciato il cinema senza rimpianti. Il cinema e il resto: ho detto di no a un reality show. Come attore, comunque, meglio Tomba: lo faceva già prima di andare sul set…».

Rino Gaetano l’ha citata nella canzone «Nuntereggae più», in tripletta con Niki Lauda e Mike Bongiorno

«Forse anch’io ero diventato un simbolo…».

La definiamo sudtirolese o altoatesino?

«Questo è Sud Tirolo: l’Alto Adige si lega al Trentino. Però alla distinzione non bado».




Eva Klotz: l’ha mai votata?

«Lei ce l’ha con l’Italia. Del resto, con il padre che ha avuto… Mediamente, qui tanti vedono bene la Klotz. Io non amo gli estremismi, ma qualche volta il suo partito l’ho votato».

Voterebbe invece per Matteo Renzi?

«Non mi era dispiaciuto come premier… Ma non ho le idee chiare sulle prossime elezioni. In Italia non le si può avere: daranno di nuovo una girata di mestolo e ripescheranno un po’ tutti».

Uno a caso: Berlusconi. È tornato in pista.

«Dubbio: la politica italiana è immobile? In realtà la seguo poco, ma noto che appena uno fa una cosa, diciotto sono contro. Le idee altrui non piacciono, ci vorrebbe più coraggio».

Lo sa che tanti si chiedono quanto lei abbia l’Italia nel cuore?

«Ho vinto per l’Italia e ho portato il tricolore. È un’emozione forte, soprattutto oggi che si dovrebbe pensare di più al senso del Paese».

Prima di una gara in Badia il suo ex compagno di squadra Marcello Varallo disse di augurarsi la vittoria dell’austriaco Hirscher.

«Hirscher è un campione. Ma io tifo sempre per gli azzurri, sperando che vincano».

Come giudica l’Europa?

Da un lato vedo che c’è, dall’altro noto che non c’è. Quando si va al sodo, ciascuno tira l’acqua al proprio mulino».

Intanto l’Italia ha il problema dei migranti e l’Austria minaccia di chiudere il Brennero.

«Nelle nostre valli ci sono pochi profughi e si può lavorare sull’integrazione nonostante la difficoltà della lingua. Il guaio è quando i numeri dei migranti sono alti: le situazioni si complicano, anche se stiamo parlando di poveracci che sarebbero da aiutare. Ma come si fa?».

Quando intuì il talento di Alberto Tomba?

«Lo vidi al Tonale. Era nella squadra C e faceva da apripista alla A. Uscì due volte, ma andava a manetta. Chiesi a Pietrogiovanna: “Chi è?”. E Tino: “Lascia stare, è di Bologna ed è un figlio di papà”. Per fortuna non gli ho dato retta».

Gli ruberebbe le fidanzate o i trionfi, anche se lei ha vinto tre Coppe del Mondo più di lui?

«Le fidanzate sono troppe…».

Davanti agli atti giudiziari che parlavano di «imponente evasione fiscale», lei commentò: «Vuol dire che Tomba ha sciato gratis».

«Quella vicenda ha inciso sul suo ritiro. Però Alberto non sopportava più gli allenamenti estivi, mentre le gare lo divertivano sempre. Se fosse andato avanti, avrebbe vinto ancora».

Gli austriaci della generazione di Hermann Maier erano dopati?

«Un tecnico, Theo Nadig, disse che i muscoli non potevano nascere dal muessli o dalla pastasciutta. Non so che dire: i test antidoping li hanno sempre superati. In realtà un po’ di sospetti li abbiamo avuti: anche noi italiani lavoravamo sui muscoli, ma non sono mai cresciuti».

Le spiace non aver gareggiato nell’era web?

«Un po’ sì, sarei anche molto più giovane… Ma comunicare sempre, proprio no: non faccio i selfie, non sono sui social. Però grazie al web sarei ancora più popolare e forse avrei qualche soldo in più. All’epoca dovevamo rispettare lo statuto olimpico: Karl Schranz fu squalificato per professionismo, ai Giochi di Sapporo ci portavano via gli sci per impedirci di mostrarli ai fotografi. Era giusto prima o oggi? Oggi: lo sport è passione, ma è un lavoro. Invece noi, dopo il ritiro, dovevamo inventarci un mestiere».

fonte: Corriere della Sera, 19 agosto 2017, intervista di Flavio Vanetti

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