domenica 20 marzo 2022

Europa, ritrova te stessa !

 


Al di là delle posizioni, tutte legittime (e sottolineo tutte, con buona pace di certa narrativa mainstream con tanto di revival maccartista) sulla guerra in corso in Ucraina, c’è un tema che meriterebbe una riflessione più approfondita. Anche, ma direi soprattutto alla luce della questione del “che fare?” dopo – e si spera il prima possibile – che le armi avranno taciuto. Il tema riguarda l’Europa. O meglio, il fallimento dell’idea di Europa che ha guidato, soprattutto a partire dal 1991, la costruzione della cosiddetta Unione Europea.

La questione è primariamente di ordine culturale, e solo dopo politica (e men che meno economica). D’altra parte, che sia questa “la” questione attorno alla quale tutto ruota è dimostrato da un fatto tanto semplice quanto apparentemente ignorato. Il fatto cioè che dalla fine del secondo conflitto mondiale a oggi le uniche due guerre accadute in Europa – quella dei Balcani del 1992-1995 e quella in corso – sono entrambe riconducibili al crollo l’ex Unione sovietica e al modo in cui dopo i fatti dell’89 e del ’91 venne gestita la delicata partita della riunificazione dei paesi dell’ex blocco sovietico con quelli occidentali e più in generale su quali basi impostare il rapporto con la Russia.

Democrazia in Europa

L’errore alla base del fallimento dell’idea di Europa poc’anzi accennato, è consistito nel credere che la storia fosse finita, che cioè alla vittoria del capitalismo e del liberalismo occidentali nei confronti del socialismo sovietico avrebbe corrisposto la naturale e spontanea affermazione della democrazia ovunque in Europa.

Non solo ciò si è rivelato quanto meno problematico per non dire illusorio; ad aggravare la situazione vi è stata anche la volontà, perseguita da ben precise élite, di accompagnare il processo di unificazione ed allargamento dell’Europa con l’imposizione di un altrettanto preciso modello di laicità, ma meglio sarebbe definirlo laicismo, cui ha specularmente corrisposto – per un malinteso quanto ingiustificato senso di colpa – la progressiva quanto inesorabile demolizione di tutto il retaggio culturale e valoriale del “vecchio” Occidente.

Detto altrimenti: se a livello politico il crollo del Muro ha significato, fatto in sé positivo, la fine di un lungo periodo di divisione, anche fisica tra i popoli, a livello culturale la riunificazione che ne è seguita ha assunto i connotati – per l’abbandono e il rifiuto di ciò che da millenni costituiva l’humus di riferimento, ossia il cristianesimo – di una vera e propria colonizzazione ideologica, per usare un’espressione cara a papa Francesco.

L’Atto Europeistico

L’esatto contrario di ciò che auspicava in epoca non sospetta Giovanni Paolo II. A tal riguardo torna utile rileggere per la sua straordinaria attualità l’”Atto Europeistico”, il memorabile discorso che il santo papa polacco tenne il 9 novembre 1982 a Santiago de Compostela.

Nel 1982 il mondo era ancora diviso in blocchi e il crollo del Muro di Berlino era di là da venire. Ma con la lungimiranza profetica che gli era propria Wojtyla già guardava avanti. Egli dapprima ricordò come «la storia della formazione delle nazioni europee scorre parallela a quella della loro evangelizzazione, fino al punto che le frontiere europee coincidono con quelle della penetrazione del Vangelo. Dopo venti secoli di storia… si deve affermare che l’identità europea è incomprensibile senza il Cristianesimo, e che proprio in esso si ritrovano quelle radici comuni dalle quali è maturata la civiltà del vecchio continente, la sua cultura, il suo dinamismo, la sua operosità, la sua capacità di espansione costruttiva anche negli altri continenti; in una parola, tutto ciò che costituisce la sua gloria».

Nichilismo che disarma

Successivamente, dopo aver rivolto il suo sguardo all’Europa come al Continente – e qui prego sacerdoti e adepti woke di prendere nota – «che ha più contribuito allo sviluppo del mondo, tanto sul piano delle idee quanto su quello del lavoro, delle scienze e delle arti» – Wojtyla va dritto al problema: «Non posso tacere lo stato di crisi in cui esso (il Continente europeo, ndr) si dibatte, alle soglie del terzo millennio dell’era cristiana».

Crisi che – nella sua analisi -aveva un duplice aspetto, civile e religioso. «Sul piano civile, l’Europa è divisa. Innaturali fratture privano i suoi popoli del diritto di incontrarsi tutti reciprocamente in un clima di amicizia… La vita civile è anche segnata dalle conseguenze di ideologie totalitaristiche, la cui estensione va dalla negazione di Dio o dalla limitazione della libertà religiosa, all’importanza preponderante attribuita al successo economico rispetto ai valori umani del lavoro e della produzione; dal materialismo ed edonismo, che intaccano i valori della famiglia feconda e unita, dalla vita appena concepita alla tutela morale della gioventù, a un “nichilismo” che disarma la volontà di fronteggiare problemi cruciali come quelli dei nuovi poveri, degli emigrati, delle minoranze etniche e religiose…».

«Ritrova te stessa»

Come si vede, Wojtyla aveva già messo a fuoco che oltre alle ideologie totalitarie – chiaro il riferimento al comunismo – erano in atto dall’altra parte del muro dinamiche sociali e culturali non meno temibili e che oggi vediamo dispiegate in tutta la loro virulenza.

C’era poi la crisi sul piano religioso. Anche qui, notava Wojtyla, «l’Europa è divisa». Divisa non solo per via delle fratture storiche che hanno infranto l’unità dei credenti, ma anche (e soprattutto) per l’abbandono di tanti fedeli «dalle ragioni profonde della loro fede e dal vigore dottrinale e morale di quella visione cristiana della vita, che garantisce equilibrio alle persone e alle comunità».

Ed è a questo punto che Giovanni Paolo II, dando un tono volutamente solenne al discorso, pronuncia quello che lui stesso chiama un grido d’amore rivolto all’Europa e che merita essere riportato per intero:

«Ritrova te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima di pieno rispetto verso le altre religioni e le genuine libertà. Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Non inorgoglirti delle tue conquiste fino a dimenticare le loro possibili conseguenze negative; non deprimerti per la perdita quantitativa della tua grandezza nel mondo o per le crisi sociali e culturali che ti percorrono. Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te e da te si attendono la risposta che san Giacomo diede a Cristo: “Lo posso”».

Tornare a essere cristiana

Il papa credeva ancora nell’Europa, egli vedeva per l’Europa un futuro ancora di splendore – «tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo» – nonostante le crisi e le tensioni in essa presenti. Ma ad una condizione: che l’Europa riscoprisse e ritrovasse sé stessa, le sue vere radici. E questo nell’ottica di Giovanni Paolo II che voleva dire una cosa sola: tornare ad essere un’Europa cristiana. «…se l’Europa aprirà di nuovo le porte a Cristo e non avrà paura di aprire alla sua salvatrice potestà i confini degli Stati… il suo futuro non rimarrà dominato dall’incertezza e dal timore, ma si aprirà ad una nuova stagione di vita, sia interna che esteriore, benefica e determinante per il mondo intero, sempre minacciato – attenti ora – dalle nubi della guerra e dal possibile uragano dell’olocausto atomico».

La radice del problema

Rilette a quarant’anni di distanza e nel mezzo di una guerra dagli esiti imprevedibili, e senza dimenticare che dopo appena dieci anni da quel discorso una guerra sanguinosissima scoppiò nei Balcani, sono parole che fanno riflettere. Sono parole che debbono far riflettere. È vero, l’Europa è stata insanguinata per secoli da guerre e devastazioni anche quando era cristiana. Ma le guerre ci furono per i peccati degli uomini, certo non a causa del Vangelo.

Il tema posto da Wojtyla va alla radice del problema: senza Cristo non ci può essere vera pace, vera libertà, vera fratellanza, vera unità. In tale contesto la Chiesa, dirà ancora Wojtyla, «è cosciente della parte che le compete nel rinnovamento spirituale e umano dell’Europa. Senza rivendicare posizioni che occupò nel passato e che nell’epoca attuale sono totalmente superate, la Chiesa stessa si pone in servizio, come Santa Sede e come Comunità cattolica…».

Nuova evangelizzazione

La Chiesa è dunque a servizio di questa missione, è chiamata a cooperare per il raggiungimento del comune obiettivo di ricostruire l’Europa. Come? Facendo ciò che sa fare e ciò per cui esiste: evangelizzare. Non a caso l’11 maggio 1986 celebrando a Ravenna la ricorrenza dei santi Cirillo e Metodio, Giovanni Paolo II nell’omelia disse che il messaggio dei due patroni d’Europa, insieme a Benedetto, è «un invito al continente europeo a riscoprire nel cristianesimo la comune radice e la forza per costruire la civiltà di domani», chiedendo espressamente alle «nuove generazioni cristiane» di «adoperarsi, con efficace impegno, per attuare una nuova evangelizzazione della società europea».

Non solo. «Occorrerà inoltre cercare le vie di un rinnovato dialogo tra fede e cultura… È questo un compito che si impone specialmente ai giovani, ai quali l’Europa moderna lancia come una sfida. La rifondazione della cultura europea è l’impresa decisiva e urgente del nostro tempo. Per rinnovare la società, occorre far rivivere in essa la forza del messaggio di Cristo, redentore dell’uomo».

Questa è la vera posta in gioco del conflitto in Ucraina. Prima ancora che gli equilibri geopolitici, i rapporti di forza tra Nato e Russia e i tavoli diplomatici, oggi come e più di quarant’anni fa la sfida è solo una: ricostruire l’Europa a partire da ciò che, solo, può rendere veramente umana la vita.


fonte: Luca Del Pozzo, Tempi


VIAGGIO APOSTOLICO IN SPAGNA


ATTO EUROPEISTICO A SANTIAGO DE COMPOSTELA


DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II


Martedì, 9 novembre 1982


 


Maestà,

eccellentissimi e illustrissimi Signori,

Signore, fratelli.


1. Giunto al termine del mio pellegrinaggio in terra spagnola, ho desiderato sostare in questa splendida Cattedrale, così strettamente vincolata all’apostolo Giacomo e alla fede della Spagna. Permettetemi che prima di tutto ringrazi vivamente Sua Maestà il Re, per le significative parole che mi ha appena rivolto.


Questo luogo, così caro alla pietà dei galleghi e di tutti gli spagnoli, è stato nei secoli un punto di attrazione e di convergenza dell’Europa e di tutta la Cristianità. Per questo ho voluto incontrare qui gli illustri rappresentanti di Organismi europei, dei Vescovi e delle Organizzazioni del continente. A tutti rivolgo il mio deferente e cordiale saluto, e con voi desidero riflettere questa sera sull’Europa.


Il mio sguardo interiore si distende in quest’ora, su tutto il Continente europeo, sull’immensa rete delle vie di comunicazione che congiungono tra loro le città e le nazioni che lo compongono; e rivedo i cammini che, fin dal Medio Evo, convogliarono e convogliano a san Giacomo di Compostela - come dimostra l’Anno Santo che si celebra quest’anno - folle innumerevoli di pellegrini, attratti dalla devozione verso l’Apostolo.


Fin dai secoli XI e XII, sotto l’impulso dei monaci di Cluny, i fedeli di ogni parte d’Europa convennero in folle sempre più numerose al sepolcro di san Giacomo, proseguendo, fino al luogo considerato “Finis terrae” di allora, quel celebre “camino de Santiago”, che già gli spagnoli percorrevano come pellegrini, trovando lungo la via assistenza e alloggio presso figure esemplari di carità, come san Domenico de la Calzada e san Giovanni Ortega, o in luoghi come il Santuario della Vergine della Strada.


Qui convenivano dalla Francia, dall’Italia, dal Centro-Europa, dai Paesi nordici, dalle Nazioni slave, cristiani di tutte le condizioni sociali, dai regnanti ai più umili abitanti di villaggio; cristiani di tutti i livelli spirituali, dai santi, come Francesco d’Assisi e Brigida di Svezia (per non parlare dei santi spagnoli), ai peccatori pubblici in cerca di penitenza.


L’intera Europa si è ritrovata attorno alla “memoria” di Giacomo in quegli stessi secoli nei quali essa si costruiva come continente omogeneo e spiritualmente unito. Per questo lo stesso Goethe affermerà che la coscienza dell’Europa è nata pellegrinando.


2. Il pellegrinaggio a Santiago fu uno degli elementi forti che favorirono la comprensione reciproca di popoli europei tanto diversi, quali erano i latini, i germani, i celti, gli anglosassoni e gli slavi. Il pellegrinaggio avvicinava, di fatto, metteva in contatto e univa tra loro quelle genti che, di secolo in secolo, raggiunte dalla predicazione dei testimoni di Cristo, abbracciavano il Vangelo e contemporaneamente, si può dire, emergevano come popoli e nazioni.


La storia della formazione delle nazioni europee scorre parallela a quella della loro evangelizzazione, fino al punto che le frontiere europee coincidono con quelle della penetrazione del Vangelo. Dopo venti secoli di storia, nonostante i sanguinosi conflitti che hanno contrapposto tra loro i popoli d’Europa, e nonostante le crisi spirituali che hanno segnato la vita del Continente - fino a porre alla coscienza del nostro tempo gravi interrogativi sulle sorti del suo futuro - si deve ancora affermare che l’identità europea è incomprensibile senza il Cristianesimo, e che proprio in esso si ritrovano quelle radici comuni dalle quali è maturata la civiltà del vecchio continente, la sua cultura, il suo dinamismo, la sua operosità, la sua capacità di espansione costruttiva anche negli altri continenti; in una parola, tutto ciò che costituisce la sua gloria.


E ancor oggi, l’anima dell’Europa rimane unita, perché, oltre alle sue origini comuni, vive gli identici valori cristiani e umani, come quelli della dignità della persona umana, del profondo sentimento della giustizia e della libertà, della laboriosità, dello spirito di iniziativa, dell’amore alla famiglia, del rispetto della vita, della tolleranza, del desiderio di cooperazione e di pace, che sono note che la caratterizzano.


3. Volgo il mio sguardo all’Europa come al Continente che ha più contribuito allo sviluppo del mondo, tanto sul piano delle idee quanto su quello del lavoro, delle scienze e delle arti. E mentre benedico il Signore per averlo illuminato con la sua luce evangelica fin dalle origini della predicazione apostolica, non posso tacere lo stato di crisi in cui esso si dibatte, alle soglie del terzo millennio dell’era cristiana.


Parlo a rappresentanti di Organizzazioni nate per la cooperazione europea, e a fratelli nell’Episcopato delle diverse Chiese locali d’Europa. La crisi investe sia la vita civile che quella religiosa. Sul piano civile, l’Europa è divisa. Innaturali fratture privano i suoi popoli del diritto di incontrarsi tutti reciprocamente in un clima di amicizia, e di congiungere liberamente i loro sforzi e le loro genialità in servizio di una convivenza pacifica e di un apporto solidale alla soluzione dei problemi che affliggono altri continenti. La vita civile è anche segnata dalle conseguenze di ideologie secolaristiche, la cui estensione va dalla negazione di Dio o dalla limitazione della libertà religiosa, all’importanza preponderante attribuita al successo economico rispetto ai valori umani del lavoro e della produzione; dal materialismo ed edonismo, che intaccano i valori della famiglia feconda e unita, della vita appena concepita e la tutela morale della gioventù, a un “nichilismo” che disarma le volontà dal fronteggiare problemi cruciali come quelli dei nuovi poveri, degli emigrati, delle minoranze etniche e religiose, del sano uso dei mezzi di comunicazione di massa, mentre attrezza le mani del terrorismo.


Anche sul piano religioso l’Europa è divisa. Non tanto né principalmente in ragione delle divisioni avvenute lungo i secoli, quanto per la defezione di battezzati e credenti dalle ragioni profonde della loro fede e dal vigore dottrinale e morale di quella visione cristiana della vita, che garantisce equilibrio alle persone e alle comunità.


4. Per questo, io, Giovanni Paolo, figlio della Nazione polacca, che si è sempre considerata europea, per le sue origini, tradizioni, cultura e rapporti vitali, slava tra i latini e latina tra gli slavi; io, successore di Pietro nella Sede di Roma, Sede che Cristo volle collocare in Europa e che l’Europa ama per il suo sforzo nella diffusione del Cristianesimo in tutto il mondo; io, Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, da Santiago, grido con amore a te, antica Europa: “Ritrova te stessa. Sii te stessa”. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima di pieno rispetto verso le altre religioni e le genuine libertà. Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Non inorgoglirti delle tue conquiste fino a dimenticare le loro possibili conseguenze negative; non deprimerti per la perdita quantitativa della tua grandezza nel mondo o per le crisi sociali e culturali che ti percorrono. Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te e da te si attendono la risposta che san Giacomo diede a Cristo: “Lo posso”.


5. Se l’Europa sarà una, e può esserlo con il dovuto rispetto per tutte le sue differenze, ivi comprese quelle dei diversi sistemi politici; se l’Europa tornerà a pensare, nella vita sociale, con il vigore che possiedono alcune affermazioni di principio come quelle contenute nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nella Dichiarazione Europea dei Diritti dell’Uomo, nell’“Atto” finale della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa; se l’Europa tornerà ad agire, nella vita più propriamente religiosa, con il dovuto riconoscimento e rispetto di Dio, nel quale si fonda ogni diritto e ogni giustizia; se l’Europa aprirà di nuovo le porte a Cristo e non avrà paura di aprire alla sua salvatrice potestà i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi della cultura, della civiltà, dello sviluppo (cf. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I [1978), 35 ss), il suo futuro non rimarrà dominato dall’incertezza e dal timore, ma si aprirà ad una nuova stagione di vita, sia interna che esteriore, benefica e determinante per il mondo intero, sempre minacciato dalle nubi della guerra e dal possibile uragano dell’olocausto atomico.


6. Ora mi vengono in mente i nomi di grandi personalità: uomini e donne che hanno dato splendore e gloria a questo Continente per il loro genio, capacità e virtù. La schiera è talmente numerosa, tra i pensatori, gli scienziati, gli artisti, gli esploratori, gli inventori, i reggitori di popoli, gli apostoli e santi che non permette esemplificazioni. Essi costituiscono un patrimonio stimolante di esempio e di fiducia. L’Europa ha ancora riserve di energie umane incomparabili, capaci di sostenerla in questo storico lavoro di rinascita continentale e di servizio all’umanità.


Mi è caro ricordare ora, con semplicità, la forza d’animo di Teresa di Gesù, la cui memoria ho inteso particolarmente onorare in questo viaggio, e la generosità di Massimiliano Kolbe, martire della carità nel campo di concentramento di Auschwitz, che ho recentemente proclamato santo.


Però meritano un ricordo particolare i santi Benedetto da Norcia e Cirillo e Metodio, Patroni d’Europa. Sin dai primi giorni del mio pontificato, non ho mai cessato di sottolineare la mia sollecitudine per la vita dell’Europa, e di indicare quali sono gli insegnamenti che provengono dallo spirito e dall’azione del “patriarca dell’Occidente” e dei “due fratelli greci”, apostoli dei popoli slavi.


Benedetto seppe unire la romanità con il Vangelo, il senso della universalità e del diritto con il valore di Dio e della persona umana. Con il suo famoso motto “ora et labora” - prega e lavora -, ci ha lasciato una regola valida ancor oggi per l’equilibrio della persona e della società, minacciate dal prevalere dell’“avere” sull’“essere”.


I Santi Cirillo e Metodio seppero anticipare alcune conquiste, che sono state pienamente assunte dalla Chiesa nel Concilio Vaticano II, circa l’inculturazione del messaggio evangelico nelle rispettive civiltà, assumendone la lingua, i costumi e lo spirito della stirpe in tutta la pienezza del proprio valore. E questo lo realizzarono nel secolo IX, con l’approvazione e l’appoggio della Sede Apostolica, iniziando così quella presenza del Cristianesimo tra i popoli slavi, che rimane ancora oggi insopprimibile, al di là delle attuali vicende contingenti. Ai tre Patroni d’Europa ho dedicato pellegrinaggi, discorsi, documenti pontifici e culto pubblico, implorando sul Continente la loro protezione, e additando allo stesso tempo il loro pensiero e il loro esempio alle nuove generazioni.


La Chiesa è inoltre cosciente della parte che le compete nel rinnovamento spirituale e umano dell’Europa. Senza rivendicare posizioni che occupò nel passato e che nell’epoca attuale sono totalmente superate, la Chiesa stessa si pone in servizio, come Santa Sede e come Comunità cattolica, per contribuire al conseguimento di quei fini che procurino un autentico benessere materiale, culturale e spirituale alle nazioni. Per questo, anche a livello diplomatico, essa è presente per mezzo dei suoi Osservatori nei diversi Organismi comunitari non politici; per la medesima ragione mantiene relazioni diplomatiche, il più possibile estese, con gli Stati; per lo stesso motivo, ha partecipato, in qualità di membro, alla Conferenza di Helsinki e alla firma del suo importante “Atto” finale, così come alle riunioni di Belgrado e di Madrid; quest’ultima, radunata oggi, e per la quale formulo i migliori voti, in un momento non facile per l’Europa.


Ma è anzitutto la vita ecclesiale ad essere chiamata in causa, al fine di continuare la sua testimonianza di servizio e di amore, per contribuire al superamento delle attuali crisi del Continente, come ho avuto occasione di ripetere recentemente al Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (cf. Giovanni Paolo II, Allocutio ad Consilium Conferentiarum Episcopalium Europae habita, die 5 oct. 1982: vide supra, pp. 689 ss)


7. L’aiuto di Dio è con noi. La preghiera di tutti i credenti ci accompagna. La buona volontà di molte persone sconosciute, artefici di pace e di progresso, è presente in mezzo a noi, come garanzia che questo Messaggio diretto ai Popoli d’Europa vada a cadere su un terreno fertile.


Gesù Cristo, Signore della storia, tiene aperto il futuro alle decisioni generose e libere di tutti coloro che, accogliendo la grazia delle buone ispirazioni, si impegnano a un’azione decisa per la giustizia e la carità, nel segno del pieno rispetto della verità e della libertà.


Affido questi pensieri alla santissima Vergine, perché li benedica e li renda fecondi; e ricordando il culto che si rende alla Madre di Dio nei numerosi Santuari d’Europa, da Fatima a Ostra Brama, da Loreto a Czestochowa, la supplico di accogliere le preghiere di tanti cuori: perché il bene continui ad essere una gioiosa realtà in Europa e Cristo tenga sempre unito a Dio il nostro Continente.

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