venerdì 4 febbraio 2011

La fuga in Abruzzo


La prima volta fu quasi una “fuga”. Da tempo desideravamo che il Santo Padre potesse non solo sciare, ma rituffarsi nella vita normale della gente, e perciò decidemmo di tentare.
Non ricordo di chi fosse stata l’idea iniziale, ma probabilmente fu una iniziativa collettiva, nata a tavola. E comunque, la località prescelta, Ovindoli, venne suggerita da don Tadeusz Rakoczy (ora è Vescovo di Bielsko-Zywiec, in Polonia), il quale conosceva quei luoghi perché ci andava a sciare. Ma, per sicurezza, due o tre giorni prima, lui e don Jozef Kowalczyk (l’attuale nunzio apostolico in Polonia) fecero una perlustrazione, a evitare imprevisti.
Se non ricordo male, era il 2 gennaio 1981. Partimmo verso le 9 con la machina di don Jozef, per non dare nell’occhio all’uscita dal palazzo di Castelgandolfo, dove c’erano le Guardie Svizzere. Don Jozef era l’autista e, accanto a lui, don Tadeusz faceva finta di leggere il giornale, tenendolo tutto aperto per “coprire” il Santo Padre, ch’era dietro, e io stavo vicino a lui.
Don Jozef guidava con estrema cautela, rispettando i limiti di velocità, rallentando alla vista delle strisce pedonali. Immaginiamoci che cosa sarebbe successo nel caso di un incidente, o se la macchina si fosse guastata!
Passammo per vari paesi, così il Papa, da dietro i vetri, poté gustarsi quelle scene di ordinaria vita quotidiana. All’arrivo, ci fermammo fuori Ovindoli, vicino a una delle piste, ma dove non c’era quasi nessuno. E lì cominciò quella giornata meravigliosa, indimenticabile.
Le montagne attorno. La natura tutta imbiancata. Quel gran silenzio che ti permetteva di concentrarti, di pregare. Il Santo Padre riuscì anche a sciare. Era contentissimo per quel “regalo” che gli avevamo fatto. Sulla via del ritorno, sorridendo, ci disse: “Eppure siamo riusciti!” E nei giorni seguenti continuò a ringraziarci, e a ricordare i momenti topici della “spedizione”.
Anche nelle escursioni successive cercammo di scegliere luoghi solitari. Ma, volendo andare su certe piste, non sempre potevamo evitare la gente. E poi, perché preoccuparsi tanto? Il Santo Padre si comportava come un normalissimo sciatore. Era vestito come tutti: tuta, berretto e occhiali scuri. Si metteva in fila con le altre persone – ma noi avevamo sempre l’accortezza di stargli uno davanti e un altro dietro – e con lo skipass si serviva degli impianti di risalita.
Sembrerà incredibile, ma nessuno lo riconosceva. Anche perché chi poteva immaginarsi che un Papa andasse a sciare?!
Uno dei primi a scoprirlo fu un bambino, non avrà avuto più di dieci anni.
Era pomeriggio tardi. Io e don Jozef eravamo andati avanti. Don Tadeusz, dopo aver fatto la discesa, s’era fermato sul pendio aspettando il Santo Padre. In quel momento, più sotto, era passato un gruppo di fondisti; e dopo un po’, rimasto evidentemente indietro, ecco quel ragazzino, trafelato, affannato. Chiese: “Li ha visti?”. E mentre don Tadeusz gli indicava il sentiero, quello si voltò a guardare il Santo Padre, giunto proprio allora. Rimase a bocca aperta, gli occhi stralunati, poi cominciò a urlare: “Il Papa! Il Papa!”. E don Tadeusz: “Ma che dici, stupido! Pensa piuttosto a spicciarti, guarda che quelli li perdi…”.
Il ragazzino sparì all’inseguimento degli amici, e noi, arrivati giù, ci sbrigammo a salire in macchina e a ripartire per Roma…

Card. Stanislao Dziwisz, già segretario personale di Giovanni Paolo II, in "Una vita con Karol", Rizzoli, 2007

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