venerdì 25 marzo 2011

La conquista del Cervino


Dalla nostra delegazione - in questi giorni ospite di Valtournenche per l'iniziativa "Sci uniti per  l'Italia Unita" - riceviamo  un interessante contributo riguardante la conquista  della vetta del Cervino, avvenuta nel 1865 ad appena 4 anni dalla proclamazione dell'Unità d'Italia.
Sul muro perimetrale del Municipio  sono collocate decine di lapidi, a ricordo delle imprese  intrepide degli alpinisti che si cimentarono - spesso con esiti tragici -  nella scalata della montagna.


Date ad un bambino dell’asilo un foglio e un pennarello e chiedetegli di disegnarvi una montagna. Vi disegnerà la montagna per eccellenza, il Cervino.
L’Italia bambina del 1865 guardava come un sogno le pareti bianche del Cervino.
Da alcuni anni si intensificavano i tentativi di raggiungere quella leggendaria cima a 4.478 metri.
Le attrezzature erano romanticamente primordiali, rispetto a ciò di cui dispone qualsiasi alpinista dilettante oggi.
Ma provate invece a paragonare la forza di volontà.
Di fronte alla gara internazionale per conquistare quella montagna mitica, il primo ministro Quintino Sella non ebbe dubbi: fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani (a quei tempi molti la pensavano così) e la vittoria di una cordata del Club Alpino Italiano sarebbe stata utile per la causa.
Sulla cima invece arrivò per primo l’inglese Edward Whymper, il 14 luglio 1865. Poche centinaia di metri più sotto c’era la cordata italiana di Jean Antoine Carrel.
Prima ancora che le notizie si diffondessero, Sella pretese almeno un pareggio. La cordata italiana di Carrel ripartì e conquistò la cima il 17 luglio.
Dietro l’impresa, seminascosto nella penombra della storia, c’è un sacerdote, l’abate Amè Gorret. Aveva 29 anni in quel 1865. Era stato ordinato nel 1861, anno in cui coronava i suoi studi, la sua vocazione ed ad un tempo vedeva realizzati i suoi ideali di patriota con la nascita dell’Italia unita.
Veniva, Amè Gorret, da una casa dove non c’era pane per tutti, com’erano le case di tanti italiani allora, case dove neppure il lavoro più duro vinceva la povertà. Aveva studiato, era diventato uno scrittore colto. Era un figlio della montagna, alpinista per vocazione e per amore. Col suo spirito aveva rincuorato anche Jean Antoine Carrel: gli italiani potevano farcela.
Era partito con lui verso la cima. All’ultimo passaggio qualcuno doveva scaricarsi e restare fermo per far salire gli altri.
Amè Gorret non ebbe dubbi e si sacrificò pur di far compiere l’impresa. Era stato educato dalla montagna, un’educazione che dava forza al carattere e della montagna una particolare visione. Anni dopo, nel 1869, tenne una relazione al congresso del Club Alpino Italiano. Il titolo ci dice già molto: “Le montagne che ci separano sono le stesse che ci uniscono.”
Piccola grande storia dell’Italia che eravamo.

Roberto Olla, articolo tratto dalla rivista "S. Francesco Patrono d'Italia", marzo 2011

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