domenica 19 giugno 2011

Lo zaino di Zio Karol


Nominato cappellano della Parrocchia di San Floriano a Cracovia, don Karol forma una comunità di giovani che assume il nome di “Ambiente” o anche “Famigliola”.
Nelle gite e durante gli incontri, i giovani erano soliti indicare don Wojtyla come “lo Zio”, un modo affettuoso che serviva anche a mascherare l’identità del gruppo agli occhi dei servizi segreti comunisti.

“Lo conobbi il 23 gennaio 1951 nella chiesa di San Floriano. Un’amica ci chiese di andare a cantare in chiesa, perché c’era un giovane sacerdote simpatico.Cominciammo ad incontrarci in un coretto. Andavamo alle sue conferenze.Poi ci propose la Messa alle 7 del mattino. Queste Messe erano brevi, senza canti, prima delle lezioni.Vi partecipavano alcune decine di persone. Così nacque la Famigliola. Il suo modello di pastorale erano i colloqui personali. Don Karol univa tutto il proprio lavoro scientifico alla pastorale per i giovani”.

“Era magnetico. Vedevamo in lui il sacerdote dei nostri ideali giovanili, vale a dire il sacerdote che ha tempo, confessa, prega molto e in un certo modo. Era luminoso. Parlava poco, ma ascoltava molto.Di tanto in tanto poneva delle domande. Erano domande che ci scavavano dentro”.

“L’educazione che ci impartì fu tale da prepararci al matrimonio in un modo assolutamente fuori dal comune. Quando la mattina partivamo per una gita, cominciavamo con la Messa. Per strada il clima era molto allegro, c’era sempre la possibilità di fare un pezzo di strada insieme allo “Zio” e di parlare direttamente  con lui di cose personali o riguardanti la concezione della vita. Una cosa caratteristica era che, benchè egli fosse uno di noi e condividesse la nostra vita, mangiando e cantando con noi, ad un certo momento si allontanava e pregava. Fisicamente era molto forte; mi ricordo che una volta gli mettemmo una pietra nello zaino perché non potevamo stargli dietro tenendo il suo passo”.

“Parlando delle autorità, distingueva il sistema dagli uomini.Non criticava le persone concrete, ma parlava in generale delle autorità. Non lanciava accuse o invettive. Neppure quando gli chiedevamo provocatoriamente:  “Zio, davvero hai dato la mano a quel segretraio di partito?”. Era critico nei confronti del potere comunista. Vedeva lo sviluppo dell’ateismo, lo sradicamento delle persone dalle loro tradizioni cristiane e le persecuzioni palesi e nascoste, e ne soffriva. Ma per lui era più importante la lotta “per qualcosa” e non “contro qualcuno”. Questa posizione di impegno nella difesa dei diritti umani divenne la norma per la Chiesa polacca”.

Fonte: Avvenire, 1 maggio 2011

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