domenica 31 luglio 2011

Hemingway a Cortina




Dopo il post del 25 luglio, diversi amici ci hanno chiesto di occuparci nuovamente di Hemingway, approfondendo il suo rapporto con la montagna e l'Italia.
Lo facciamo ben volentieri, proponendovi un articolo di Fernanda Pivano.



A Cortina lo scrittore passò diversi mesi sia nel 1948 sia nel 1950 mentre lavorava alla stesura definitiva del nuovo romanzo “Di là dal fiume e tra gli alberi”, ambientato proprio nei luoghi veneti che aveva conosciuto in quegli anni.

Per seguire le orme di Hemingway a Cortina bisogna soggiornare all’Hotel Concordia, un albergo recentemente ristrutturato che esiste dal 1907 nella celebre via dello shopping Corso Italia.
 
Oppure si può scegliere l’Hotel de la Poste. Annoverato tra i locali storici d'Italia, è situato nel pieno centro ed è da sempre luogo di ritrovo della mondanità ampezzana. L'albergo racconta il suo antico passato attraverso fotografie appese alle pareti delle camere che ricordano i suoi illustri ospiti. I tavolini del suo bar, invece, erano il luogo dove Hemingway si fermava all’ora dell’aperitivo per bere la sua solita caraffa di Bloody Mary

Il suo primo soggiorno a Cortina lo ricorda bene anche Fernanda Pivano che fu invitata da Ernest Hemingway in persona a passare con lui e la sua amata Mary il Capodanno di quell’anno. La scrittrice ricordò quell’evento in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 31 dicembre del 1997.




Bisogna risalire al 1948 a Cortina, quando c'era ancora il trenino delle Dolomiti, e si stava li' non ricordo quante ore col fischio della favolosa locomotiva - giocattolo che suonava ogni tanto e dal finestrino si vedevano sbuffi di fumo candido come nelle favole, cosi' belli da farsi perdonare, loro e il fischio, che non ci lasciavan dormire dopo il viaggio quasi eroico nel treno senza finestrini e senza orario che ci aveva portato li' dopo un viaggio durato dall'alba al tramonto. 

Il tramonto li' sul fianco della montagna era, o forse sembrava, bellissimo guardato con l'emozione che mi accompagnava verso il mio primo incontro con Hemingway. E quando ero arrivata, coperta di fuliggine come uno spazzacamino, e lo avevo visto li' proprio lui, con le braccia spalancate per abbracciarmi, mi era parso che la favola del viaggio fosse finita. Invece era appena incominciata. Perche' Hemingway stava affittando la villa della famiglia Aprile, una casa minuscola e ridente semi - montanara ai bordi della citta', con una vista stupenda, circondata da grandi pendii erbosi presto coperti di neve, con una piccola camera a due letti per gli ospiti, una camera matrimoniale, la cameretta dove Hemingway dormiva e lavorava, e un soggiorno spesso invaso da amici e curiosi. 

Hemingway si alzava alle cinque e girava per casa coi bermuda infilati alla meglio, ancora con la visiera bianca tenuta per difendersi dalle luci forti quando leggeva la notte, e subito cominciava a battere qualche riga sulla piccola portatile tedesca che gli ha fatto scrivere alcuni dei suoi libri piu' importanti, poi si allontanava e guardava a due passi di distanza quello che aveva scritto, come fanno certi pittori coi quadri; ma il piu' delle volte leggeva quello che aveva scritto il giorno prima e buttava in un cestino che teneva li' accanto decine di pagine. Quelle ore, dalle cinque alle undici, erano le piu' belle per chi poteva stargli vicino: si scopriva il suo modo di scrivere, il suo modo di pensare, il suo modo di soffrire. In quei momenti era disarmato, rispondeva senza sarcasmi, parlava della realta' con una pena infinita. 

Intanto Mary, la moglie geisha - segretaria, mandava avanti la casa. Aveva due donne ad aiutarla: una era Maria, la figlia dei loro vicini di casa austriaci li' sulla loro collina, che portava il latte delle sue mucche imprigionate tutto l'inverno in una stalla, burro senza sale e calzini fatti a maglia con la lana delle sue pecore. L'altra era Eliza di Grande, che tutti chiamavano Liza, che aveva fatto a piedi quaranta chilometri per chiedere di essere assunta. Poi c'era lo chauffeur Ricardo, che ogni tanto cercava, senza successo, di fare il latin lover con Mary. Costei lasciava fare le pulizie a loro; per se' teneva il compito di vuotare il cesto con gli scarti di Hemingway e quello, quando ne aveva voglia, di cucinare. La sua specialita' erano le torte al limone, ma cucinava anche, quasi ogni giorno, la bistecca al forno: era l'unica capace di accontentare Hemingway, che comunque fosse la bistecca ne masticava adagio il primo boccone e poi diceva con grande solennita': "Very nice, Mary", suscitando ogni volta in Mary un sorriso molto orgoglioso. 

La vigilia di quel Capodanno, mentre Hemingway leggeva i giornali americani appena arrivati con un sarcasmo piu' tagliente di qualsiasi lama, Mary, Maria e Liza avevano incominciato le discussioni per il menu, o meglio per uno spuntino, perche' poi la cena si sarebbe fatta in un grande albergo. Liza si era messa a fare "la pasta in casa", di cui era indiscussa maestra: la rotolava sul piano di marmo di cucina, aggiungendo spesso uova e sugo di spinaci, e poi tagliandola fine o larga, a seconda come le suggeriva l'estro. Durante lo spuntino, mentre si consumava una brocca di "Bloody Mary" e mentre le bottiglie si vuotavano rapidamente, parlavamo del problema degli alberi in America e del problema politico in Cina. Si parlava anche del piu' importante regalo che Hemingway aveva avuto per Natale, l'acquisto fatto dalla "20th Century Fox" del racconto "My Old Man" (Il mio vecchio) per 45 mila dollari. E si parlava di libri che stava leggendo, "The Young Lions" (I giovani leoni) di Irwin Shaw (lo scrittore che a Parigi, durante la guerra, lo aveva presentato a Mary) e del ritratto pubblicato da Malcolm Cowley su Life, il primo approvato e permesso da Hemingway. Queste erano le chiacchiere di quello spuntino, con un Hemingway rilassato e ancora felice con Mary. Poi, tutti vestiti a festa, avevamo raggiunto il grande albergo per il cenone. 

Li' Hemingway era stato accolto come al solito da una gran folla, meravigliosamente non ubriaco, gentile con tutti, soprattutto con le persone poco famose. A un certo punto mi ero allontanata per andare a telefonare a mia madre. Hemingway mi aveva seguito, un po' curioso e molto protettivo come sempre, per vedere cosa facevo e, quando ha sentito che parlavo con la mamma, ha preso la cornetta e ha voluto anche lui farle gli auguri, cosa che mi ha molto commossa perche' lui detestava il telefono; le ha detto qualche frase gentile, poi e' stato riassorbito dalla sua folla di ammiratori e dalle affettuosita' di Mary, che ancora era in grande armonia con lui. 


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