giovedì 4 agosto 2011

Il poeta del legno

Di Mauro Corona, recente vincitore del Premio Bancarella (vedi il post del 20 luglio) non possiamo dimenticare lo straordinario talento di scultore. Vi proponiamo, dunque, un articolo di Raffaela Brusati che descrive con precisione le capacità artistiche dello scrittore con i contributi autorevoli di Claudio Magris e Erri De Luca.

Se cerchi una risposta a un tuo dilemma, osserva la natura e la troverai”. Così insegnano i maestri di tutte le tradizioni.

Lo ha compreso bene Mauro Corona, vero selvatico dei giorni nostri, che nei boschi di Erto e Casso, del Vajont, della val Cellina, ha trascorso cinquant’anni.
Un uomo dal fisico possente, di quelli che sprizzano energie da tutti i pori. Nato nel 1950 a Erto, in provincia di Pordenone, vive nel paese natale dove svolge l’attività di scultore con grande genialità.
 

Così peraltro lo encomia Claudio Magris: “Le sue figure di legno hanno l’incredibile forza e insieme la dolorosa friabilità della vita”. Per l’autore del celebre Microcosmi “Corona è poeta del legno, del suo mistero doloroso e appassionato”. È lo stesso Magris a scoprirne le qualità di scrittore: ha uno “stile lineare, scarno; la lingua viene scolpita come un tronco, la mano sapiente sbalza via l’inutile e il superfluo ed emergono i connotati, i volti, i corpi, le storie”.

E così sono le sue sculture: lineari, asciutte, e insieme magiche nella loro essenzialità. Raccontano storie fiabesche e insieme reali. Come i suoi racconti hanno l’autorità della favola, in cui il meraviglioso s’impone con assoluta semplicità con l’evidenza del quotidiano, così le sue opere scultoree s’impongono per la sobrietà del tratto. In loro c’è comunione con la natura, col fluire nascosto e incessante della vita, e un’infinita, intrepida solitudine.
Toglie il superfluo, quello che nasconde l’essenza delle cose, quello che mimetizza la verità e impedisce di scoprire la naturalezza del legno.

 

La passione per la lavorazione del legno Mauro Corona l’ha ereditata nella sua valle, tra la sua gente.
S’intagliava il legno per necessità, gli oggetti creati si vendevano, si sopravviveva con il mercato ambulante. Enormi ammassi di trucioli, l’odore inconfondibile del legno che prendeva forma così il bambino Mauro Corona osservava il nonno paterno che con abile manualità creava cucchiai, ciotole e altri svariati utensili.
Abbracciato alle rocce, figlio dei boschi, fratello degli animali, Corona fa rivivere le immagini di un passato ormai già segnato dall’oblio.

Dal nonno, ancora bambino, oltre a fumare il sigaro, dunque, ha imparato i primi rudimenti nell’arte della lavorazione del legno, successivamente approfondita nella bottega dello scultore Augusto Murer. È considerato uno dei migliori scultori lignei d’Europa. "Mauro Corona è un uomo leale, scala montagne in stile pulito, scolpisce legno seguendo la vena e la luna, scrive libri e storie di persone vere e perciò rare", scrive di lui Erri De Luca.

Una ridda di volti e personaggi che sembrano cavati "nel legno e nella pietra", folli ed eroici, sobri e bevuti, ammiccanti tra boschi, dirupi montani e panche di osteria. Sono spaccapietre e carbonai, streghe e boscaioli, bracconieri e cacciatori, bevitori impenitenti, selvatici, violenti, ma facili alla commozione come fanciulli. Sono vecchie, madri-coraggio, venditori ambulanti di ciotole, mestoli di legno, setacci e pale da forno; sono fantasmi benevoli e maligni, spiriti dei boschi che conoscono il linguaggio delle foglie e del vento, anime inquiete che popolano le valli, i burroni. Le sue figure rappresentano la drammaticità dell’uomo vissuto nell’asprezza di quella valle.

 

Ha ascoltato con religioso amore la voce degli alberi, ha passeggiato fra di loro, li ha tagliati con grande rispetto, trasformandoli in oggetti della vita quotidiana o in bellissime sculture.
Il legno vivo degli alberi palpita e parla nelle sue sculture, sotto la leggiadra forma di una donna, sotto forma di pensieri. In alcune appare l’occhio dei laghi alpini, i ghiacci, la neve.

Ad ogni ritorno d’autunno gli alberi lasciano cadere le foglie e Corona non taglia più, lascia cadere il silenzio tra gli amici alberi, perché sono stanchi, sfiniti, disorientati dalle carezze di bizzarre primavere e torride estati. Hanno sopportato pazienti, temporali, uragani, venti improvvisi e violenti e il sole di luglio che ha brunito le loro chiome di un verde bronzo antico. Ora hanno voglia di riposare, riflettere e apprestarsi al sonno dell’inverno.

Mauro Corona ascolta gli alberi, sa riconoscere il richiamo delle magiche creature che vivono fra i rami e le foglie ed è in grado di liberarle dando loro una forma, creando in questo modo straordinarie sculture: quasi l’epica missione di uno stregone, più che una semplice passione. Non è raro nemmeno vederlo disegnare, quest’uomo dall’aspetto piratesco e dal perenne toscanello fra le labbra, che solitamente usa un carboncino e del vino rosso.
Ha qualità rare nel rapportarsi con la natura, in cui intravede forme vitali che con la sua arte riesce a materializzare. Questo suo rapporto d’amore con il creato ci regala opere d’arte e racconti che insegnano a vivere.


fonte: Raffaella Brusati
transfinito.eu



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