E' morto Patrick Edlinger, l'uomo che ha "inventato" l'arrampicata. Era
nato 52 anni fa a Dax, in Aquitania, il suo corpo è stato trovato in
casa, a La Palud-sur-Verdon, dove si era trasferito molti anni fa per
avere le sue pareti, i canyon vertiginosi del Verdon, in Provenza, a
portata di mano. Le ragioni della morte non si conoscono ancora.
Potrebbe essersi trattato di un malore - da qualche anno aveva problemi
d'alcolismo - ma non si esclude il suicidio, l'essersi lasciato andare a
una depressione che spesso ha colpito alpinisti e arrampicatori di
altissimo livello, quando sono costretti ad abbandonare la scena. Lui
s'era tirato da parte nel 1995, quando nelle Calanques, la catena
calcarea che piomba nel mare a est di Marsiglia, era caduto per diciotto
metri: arresto cardiaco, rianimazione, ma la sua vita non era più
quella di prima.
Quando a meno di vent'anni Edlinger ha cominciato a muoversi come un ballerino sulla roccia, l'arrampicata come disciplina a sé non esisteva ancora. E' stato lui - e la sua generazione, con personaggi che spaziano da Catherine Destivelle a Manolo, per dire solo i più noti - a farne prima uno sport con tutti i crismi, ben distinto dall'alpinismo, poi una fonte di guadagno, con i suoi sponsor, i libri, i film. Il manifesto di lui con le scarpette nere e gialle San Marco è stato appeso sul letto di gran parte dei climber italiani e francesi che oggi vanno per la cinquantina. Come l'altro, che lo ritraeva in valle dell'Orco, nel parco del Gran Paradiso, mani e piedi incastrati nell'allucinante fessura Kosterlitz, che Edlinger sale in apparente - e reale - scioltezza.
Pressoché sconosciuto al pubblico dei non specialisti, divenne "le dieu de l'escalade libre" quando, proprio sulle pareti del Verdon, fu protagonista nel 1982 di "La vie aux bout des doigts" (la vita sulla punta delle dita) di Jean-Paul Janssen, in cui arrampicava su difficoltà fino ad allora impensabili in solitaria senza corda. Erano gli anni della scoperta delle gole provenzali da parte degli arrampicatori di tutto il mondo ed Edlinger di quell'universo divenne un capofila. Bello come un angelo biondo, con un fisico scolpito, fu un divo grazie a quel film, che vinse premi in tutti i festival specializzati del mondo. Janssen lo volle anche, lo stesso anno, in "Opéra vertical", che lo vede arrampicare di nuovo senza corda né scarpette e come colonna sonora la cantata "Allein zu dir, Herr Jesu Christ" di Bach.
Quando a meno di vent'anni Edlinger ha cominciato a muoversi come un ballerino sulla roccia, l'arrampicata come disciplina a sé non esisteva ancora. E' stato lui - e la sua generazione, con personaggi che spaziano da Catherine Destivelle a Manolo, per dire solo i più noti - a farne prima uno sport con tutti i crismi, ben distinto dall'alpinismo, poi una fonte di guadagno, con i suoi sponsor, i libri, i film. Il manifesto di lui con le scarpette nere e gialle San Marco è stato appeso sul letto di gran parte dei climber italiani e francesi che oggi vanno per la cinquantina. Come l'altro, che lo ritraeva in valle dell'Orco, nel parco del Gran Paradiso, mani e piedi incastrati nell'allucinante fessura Kosterlitz, che Edlinger sale in apparente - e reale - scioltezza.
Pressoché sconosciuto al pubblico dei non specialisti, divenne "le dieu de l'escalade libre" quando, proprio sulle pareti del Verdon, fu protagonista nel 1982 di "La vie aux bout des doigts" (la vita sulla punta delle dita) di Jean-Paul Janssen, in cui arrampicava su difficoltà fino ad allora impensabili in solitaria senza corda. Erano gli anni della scoperta delle gole provenzali da parte degli arrampicatori di tutto il mondo ed Edlinger di quell'universo divenne un capofila. Bello come un angelo biondo, con un fisico scolpito, fu un divo grazie a quel film, che vinse premi in tutti i festival specializzati del mondo. Janssen lo volle anche, lo stesso anno, in "Opéra vertical", che lo vede arrampicare di nuovo senza corda né scarpette e come colonna sonora la cantata "Allein zu dir, Herr Jesu Christ" di Bach.
Dopo i film arrivano i libri fotografici. In Italia è Zanichelli a pubblicare "Verdon: opéra vertical" e "Rock Games", una magnifica antologia fotografica di Gérard Kosicki, che lo ritrae sugli specchi roccia statunitensi. Gli sponsor si mettono in fila per averlo come tesimonial, ma Edlinger, rigoroso come un monaco, non si concede più di tanto. Non sono molte le aziende che riescono a sfruttarne l'immagine, a lui basta guadagnare abbastanza per vivere e trovar casa appunto a La Palud, nelle gole selvagge che ama di più. Ma spesso si accontenta di un furgone parcheggiato alla base dei siti d'arrampicata e dice di non aver bisogno d'altro che di un panino e di un bicchier d'acqua. Jean-Mi Asselin, giornalista specializzato francese, alpinista di buon livello e himalaysta, suo amico da 25 anni, ritiene che "sia grazie a lui se oggi l'arrampicata ha migliaia di praticanti. Aveva uno stile, un'eleganza e una capacità di parlare che stonava in tempi in cui solo gli affari contavano. Patrick ha rivoluzionato l'arrampicata sul piano mondiale, rendendo popolare uno sport che allora era estremamente confidenziale".
Dopo l'incidente del '95 abbandona l'arrampicata di livello estremo, ma nel 2000 segue volentieri l'amico Patrick Berhault che lo coinvolge in un progetto di traversata delle Alpi lungo le vie che hanno segnato un'epoca. "La passione - racconta ancora Asselin - non lo aveva mai abbandonato. Continuava ad arrampicare e sognava di fare il giro del mondo". Ma la sua vita sulla punta delle dita è finita alla base delle pareti che lo avevano visto protagonista assoluto. Lascia una figlia, che oggi ha dieci anni.
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