Cento e cento volte, abbiamo raggiunto con gli sci il Rifugio Emilio Comici (m. 2154), forse il più "glamour" della Val Gardena per la posizione geografica e le frequentazioni (www.rifugiocomici.com).
Ma quale è l'origine del nome di questo Rifugio? Per saperlo, vi invitiamo a leggere l'articolo che segue.
«Papà!
Guarda! Eccoli là i "rampicatori"». Non più di cinque o sei anni, il
bambino in scarponcini è trionfante mentre il padre annuisce e gli porge
il binocolo: «Proprio così, guardali meglio». Siamo a Forcella
Lavaredo, a 2454 metri, e il piccolo si è guadagnato il buffetto di
congratulazioni del padre per l’oretta di facile cammino che dal rifugio
Auronzo li ha portati in uno dei luoghi più famosi delle Alpi e delle
montagne di tutto il mondo. Sbucati sulla forcella, infatti, ecco
apparire come per magia "loro", le pareti nord delle Tre Cime di
Lavaredo, tre badili strapiombanti piantati nei ghiaioni. Il luogo non è
certo solitario, anzi: decine di migliaia di persone vi salgono ogni
estate dopo aver percorso la strada a pedaggio che sale da Misurina,
dopo avere lasciato l’auto nei grandi parcheggi che circondano il
rifugio Auronzo e dopo aver toccato lungo il comodissimo sentiero-strada
il rifugio Lavaredo.
Nella folla di turisti, escursionisti e
alpinisti diretti al vicino rifugio Locatelli, forse nessuno sa che
esattamente 80 anni fa e esattamente qui sono state scritte due pagine
cruciali per la storia dell’alpinismo. Tra l’11 e il 14 agosto del 1933,
infatti, la cordata composta dai cortinesi Giuseppe e Angelo Dimai e
dal triestino Emilio Comici vinceva per la prima volta la parete nord
della Cima Grande, la più alta e centrale delle tre vette del gruppo.
«Dei tre, il più famoso allora come oggi era senz’altro Comici», spiega
Roberto Mantovani, giornalista, scrittore e storico dell’alpinismo. «La
via alla Grande segna indubbiamente una svolta nell’alpinismo perché era
il principale "grande problema insoluto" dell’epoca in Dolomiti, per
l’ambiente spettacolare in cui si articola e per lo sviluppo di grande
valore estetico. In realtà la via dello stesso Comici sulla Nord Ovest
del Civetta era probabilmente più difficile e continua, ma certo meno
bella e spettacolare».
I "rampicatori" avvistati dal nostro
piccolo compagno di gita stanno esattamente ripetendo la via
Comici-Dimai. Anche quelli che abbiamo ammirato mezz’ora fa
sull’incredibile Spigolo Giallo della Cima Piccola stavano ripetendo una
via di Comici. Seconda delle due "pagine" storiche datate 1933 ed
esteticamente ancora più affascinante, la via dello Spigolo Giallo fu
salita pochi giorni dopo la Nord della Cima Grande, il 9 settembre, e in
cordata con Comici c’erano Renato Zanutti e Mary Varale, moglie del
giornalista Vittorio Varale, vero e proprio aedo dell’alpinista
triestino. Racconta Mantovani: «L’alpinismo, allora come sempre, era
molto competitivo e senza dubbio il regime fascista calcava la mano
sulle gesta degli arrampicatori italiani. Il Cai, allora Centro
Alpinistico Italiano, era definito da Mussolini «Scuola di ardimento e
italianità». Comici aveva un carattere silenzioso e quasi timido;
speleologo e ginnasta per formazione era un grande sperimentatore di
tecnica di arrampicata e di assicurazione sin dalla palestra di Val
Rosandra, nei pressi di Trieste». Moderno nello stile, attento
all’estetica della via e della progressione più che alla cima, Comici si
trasferisce in Dolomiti a Selva di Val Gardena dove fa il commissario
prefettizio, oltre che la guida alpina e il maestro di sci. Devoto al
regime? «Direi con la camicia nera come milioni di italiani di allora,
ma non "fascista dentro". Anzi, la sua straordinaria bravura lo rende
presto un alpinista-simbolo al quale il fascismo (con l’aiuto della
stampa sempre in cerca di personaggi-mito e con il facile spunto della
sua Trieste, città laboratorio per tanti aspetti della cultura del
Ventennio) cerca di cucire addosso la divisa del superuomo. Che non gli
si attaglia per nulla, minuto e quasi esile com’era, lontanissimo dal
mito virile. Comici non fa nulla per assecondare questa operazione».
Carlo Gandini è stato presidente degli Scoiattoli,
il gruppo di élite degli alpinisti ampezzani, e Cortina gli deve molto
perché da anni raccoglie cimeli e testimonianze sulla storia alpinistica
della regione. Mi mostra un prezioso documento che conferma la tesi di
Mantovani. È una lettera battuta a macchina e firmata da Emilio Comici;
la data è il 20 agosto 1933, sei giorni dopo la "prima" alla Nord della
Cima Grande e il destinatario è Angelo Dimai, uno dei due compagni di
cordata. Comici è imbarazzato perché l’articolo di Varale sull’impresa è
«esagerato in mio favore» e «disconosce i meriti» di Angelo e
soprattutto di Giuseppe Dimai nel «tirare» la salita. Una vecchia
"grana" che ha avuto anche toni accesi e che Gandini non vuole
rinfocolare. Anche se la relazione ufficiale firmata dai tre e custodita
sempre da Gandini fa capire il ruolo almeno paritario tra Giuseppe
Dimai e Comici. Che comunque, quattro anni più tardi, nel 1937, ripeterà
la via alla Cima Grande da solo e in meno di quattro ore.
Conclude
Mantovani: «Comici era l’uomo giusto per la roccia dolomitica, leggero,
elegante. Spiccava per la straordinaria condizione psicologica e
l’assenza di inibizioni con cui guardava ai grandi problemi. Ancor più
della Nord è l’impresa dello Spigolo Giallo a dimostrarlo». Comici
morirà nel 1940, nella palestra di Vallunga in Val Gardena, tradito
dalla rottura di un cordino.
Marco Berchi, Avvenire, 21 agosto 2013
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