mercoledì 4 settembre 2013

Da Gregorio Magno a Karol Wojtyla il «dovere» di parlare contro l'orrore



Il modo in cui papa Francesco s'è fatto voce della tragedia di Siria e il gesto che ha annunciato per sabato hanno un significato che sarebbe riduttivo incasellare nella sequenza delle «rivoluzioni» bergogliane. Nell'Angelus di domenica ci sono infatti due citazioni teologicamente impegnative sia per chi le ha fatte sia per chi le ha ascoltate. 

«IL GRIDO CHE SALE» - Il Papa ha supplicato di porgere l'orecchio al «grido che sale» dalla terra: un movimento che, nella Scrittura, è quello che porta verso Dio la voce d'Israele in Mizraim (Egitto). Non lo si ritrova, quel riferimento all'Esodo, nelle tante condanne papali della guerra che papa Francesco domenica poteva ricalcare. Poteva riferirsi al «dovere di parlare» con cui Wojtyla deplorò inascoltato la guerra nel 2003; alla formula di Pio XII del 1939 per cui «nulla è perduto con la pace» o a quella di Benedetto XV sulla «inutile strage» del 1917; poteva congiungere come Paolo VI all'Onu nel 1965 il «mai più la guerra» alla teoria della guerra come conseguenza fatale del peccato. Invece non ha omesso nulla, ma ha scelto come cifra di riferimento quella del grido che è una citazione dell'Esodo e insieme una citazione del messaggio con cui Giovanni XXIII nell'ottobre 1962 scongiurò la deflagrazione atomica ai tempi della crisi di Cuba. Una scelta che dice come Francesco non abbia in mente una rituale deplorazione, ma voglia andare oltre. 

IL DIGIUNO - E l'oltre è indicato dall'altra citazione biblica del Vangelo di Marco che disegna il gesto annunciato per sabato 7. Francesco ha invitato al digiuno e alla preghiera i cristiani - e i capi delle grandi chiese dovranno prendere posizione. Ma si è rivolto allo stesso titolo anche ai non cristiani (per gli ebrei è l'indomani di Rosh Hashana, il Capodanno) e agli atei, invitati non in un cortile per esclusi, ma in una piazza che vuol essere icona dell'unità della famiglia umana in una lotta escatologica contro la guerra. «Col digiuno e la preghiera», secondo il Vangelo di Marco, non si placa Dio, ma si caccia quel demonio resistente perfino all'insorgenza messianica e alla santità dell'Inerme. Proponendo così una sorta di esorcismo del disumano che passa dalla «lectio divina», Francesco riporta alla mente la predicazione di Gregorio Magno davanti all'assedio dei Longobardi del 593-594. Mentre incombe la catastrofe Gregorio apre la Scrittura col popolo e vi legge ciò che prima non appariva, perché «le parole divine crescono con chi le legge». 

Cimentarsi in questa lettura è un atto coraggioso. Il mondo di oggi gradisce messaggi brevi, al limite del vuoto ben confezionato che ad esempio la politica italiana conosce. 

VISIONE GLOBALE - Francesco dovrà dimostrare di avere una lettura piena e globale di una serie di crisi che la diplomazia vede come episodi separati e che le comunità cristiane, alla luce della loro minorità, sanno invece essere l'una il destino dell'altra. Quello che dal 1989 insanguina l'ex Impero ottomano, e le sue vicinanze, è un unico grande sisma (dello stesso tipo di quello che avrebbe spappolato l'Europa senza l'ecumenismo e senza l'euro). Un sisma moltiplicato dalla riapertura di cicatrici confessionali interne all'Islam che per rimarginarsi richiederanno pochi secoli e che intanto formeranno intere generazioni alla efferatezza. Le comunità cristiane ortodosse, cattoliche, protestanti sanno grazie alla loro disseminata irrilevanza quantitativa che senza iniziative serie e audaci (di cui non si vede traccia e che eccedono l'Onu) la Libia diventerà come la Siria, la Siria come l'Iraq, l'Iraq come l'Afghanistan e via di questo passo, in una somma di violenza di cui, alla fine, come sempre, si rischia che paghi il conto Israele anche se dovesse pagare il conto da vincitore. Trovare il filo politico di questa lettura globale non è il mestiere del Papa: ma se il Papa trova il filo spirituale può darsi che qualcuno si accorga che quello che lega le terre dei figli di Abramo è un filo unico. Unico e insanguinato. 

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