venerdì 20 settembre 2013

"Una persona ha chiesto di vederti"



Il 13 maggio 1981 è un mercoledì, Giovanni Paolo II ha in programma l'udienza pubblica.
Il terrorista turco Mehmet Alì Agca, da tre giorni risiede in una pensione nei pressi del Vaticano sotto falso nome: Pariu cu Zugum, uno studente iscritto all'Università per stranieri di Perugia, arriva nella piazza per tempo, accompagnato dal complice Oral Celik, muniti di pistole e bombe a mano.
Alle 17 il Papa comincia il suo giro, alle 17:21 Agca spara al Pontefice quattro volte con una Brown calibro 9, il Papa è ferito: all'addome, al braccio e alla mano sinistra. È la prima volta che il terrorista decide di raccontare la sua storia davanti alle telecamere, lo fa con me a Linea diretta in onda il 4 febbraio 1985.

Signor Agca, che cosa prova quando legge nei giornali che la definiscono un killer?
Io non sono un killer. Il Sinodo dei vescovi brasiliani ha detto che chi ha fame, ha diritto di rubare. Un ministro del dittatore Pinochet, dimissionario, ha detto: ‘Dove c'è fame è possibile tutto'. Questo accade nell'America Latina e in Medio Oriente. Nella civiltà occidentale parlano soltanto di killer. Ripeto: ‘Io non sono un killer'. Non dico questo per scaricare la mia responsabilità sugli altri.

Lei crede che qualcuno sia responsabile della sua condizione?
No. Ci sono condizioni reciproche che influenzano l'uomo e la società. Quando un individuo commette un delitto è condannabile. L'umanità ha creato condizioni disumane, per questo anche la società è condannabile. Nel mondo abbiamo realizzato progressi materiali incredibili, ma il degrado spirituale è drammatico. Ci sono terribili mali.

Lei apparteneva a un'associazione di stampo nazista che si chiamava "Lupi grigi".
Non era nazista. "Lupi grigi" è un'organizzazione nazionalista.

Nel 1979 viene ucciso a Istanbul il giornalista Abdi Ipekci. Qualcuno dice che l'attentato al Papa e questo omicidio hanno alcuni punti in comune. Lei c'entra?
Io non c'entro con nessun omicidio in nessun paese.

Perché è stato condannato a morte in Turchia?
Questa era una montatura politica prestabilita e io mi sono prestato, come un obbligo.

Come ha fatto a uscire dal carcere turco?
Sono evaso.

Appunto, come ha fatto a evadere, non è mica così facile uscire di prigione?
Con la complicità del potere turco.

Chi è, a suo parere, un terrorista?
Un terrorista non si può definire con qualche frase. Il mondo non è in grado di definire chi è un terrorista.

Che cos'è il terrorismo internazionale?
Per l'Occidente il terrorista è un criminale che usa l'ideologia come maschera. I sovietici definiscono terroristi gli afghani, gli americani, i palestinesi...

A un certo momento qualcuno l'ha avvicinata e l'ha convinta a entrare nell'organizzazione. Che cosa le hanno detto per convincerla?
Non mi hanno convinto. Io sono entrato nell'organizzazione nella speranza di migliorare il nostro paese, sono entrato per distruggere il sistema politico ed economico. Purtroppo ho capito, anni dopo, che la rivoluzione armata e la destabilizzazione non migliorano né le condizioni politiche né quelle umane.

Come ricorda il giorno in cui, in piazza San Pietro, ha attentato alla vita del Pontefice?
Ricordo con perfetta lucidità.

Allora me lo racconti, se crede, naturalmente.
Bè, ma...

Io faccio delle domande, lei è libero di rispondere se lo ritiene opportuno.
Io ero andato per sparare.

Come ha fatto un tiratore scelto ed esperto come lei a sbagliare la mira da cinque metri?
È stata la confusione, attorno a me c'era tanta gente.

Era emozionato?
No, non ero molto emozionato.

Per lei il Papa chi era? Un obiettivo, un uomo, il rappresentante di una grande religione? Era un nemico da abbattere?
No, era l'incarnazione dell'imperialismo, del capitalismo, qui sulla terra.

Lei si batteva per denaro oppure per un ideale?
Ho vissuto tutta la mia vita in povertà e tutti lo sanno.

I suoi genitori, se non sbaglio, sono dei poveri contadini.
Sì, lo sono ancora.

Che avvenire sognavano per lei? Cosa volevano che lei diventasse?
Volevano che imparassi un mestiere per dare a loro il pane.

Lei si è definito, ho letto, un personaggio straordinario...
Sì.

In che senso? In che cosa lei è straordinario?
Lo confermo anche ora: sono un personaggio straordinario.

Lei fa delle affermazioni ma non spiega il perché. In cosa consiste la sua straordinarietà? Ha delle virtù fuori del comune?
Non è un problema di qualità...

Allora che problema è?
Non posso spiegarlo...

O non sa cosa dire... Oltre al Papa lei doveva sparare a qualcun altro?
No, l'ho detto per depistare le indagini. Io non ho intenzione di sparare a nessuno. Io ho lasciato il terrorismo. Io condanno ogni violenza.

Mi scusi, lei chi è?
Io sono Mehemet Alì Agca, un turco terrorista, così mi definisco sempre.

Lei viene descritto come uomo di destra, è vero?
Io sembro uno di destra, ma non lo sono. Io ero addestrato per destabilizzare la democrazia turca. Quando non ho più avuto la possibilità di rimanere nel mio paese mi hanno incaricato di fare altre missioni in Occidente.

Com 'era la sua vita di terrorista? Come passava le giornate?
Facevo una vita esemplare, i miei rapporti con gli altri erano ottimi, incontravo sempre i miei amici.

Quando ha incontrato il Papa in carcere che cosa ha provato?
Il mio incontro con il Papa rimarrà il più importante momento della mia vita. Per questo sono molto riconoscente al Papa. Lui è il simbolo dell'umanità, ma non condivido la sua mentalità cristiana.

Questo è un suo diritto. Si può sapere, se non pecco di discrezione, che cosa vi siete detti. Cosa le ha detto il Papa che lei ricorda?
Abbiamo parlato soltanto della religione.

Lei ha sentito parlare del caso di Emanuela Orlandi?
Sì, ho seguito il caso Orlandi, che è molto strano. Tutto il mondo lo sta seguendo. Forse molti sanno la verità. Nell'Occidente manca il coraggio intellettuale di raccontare quello che sta succedendo veramente. Confesso che neanche io ho il coraggio di dirlo.
Lei ha però il coraggio di dire che la sua vita può essere barattata con quella di Emanuela Orlandi. Dia una prova di intraprendenza.
No, non è così. Io vorrei che Emanuela Orlandi venisse liberata senza nessuna condizione. Io faccio questo appello ai rapitori, che non sono molto lontani...

Come fa a dirlo...
Io vorrei ottenere la libertà per motivi umanitari dallo Stato italiano.

Lei crede che Emanuela Orlandi sia stata rapita dai suoi, che sia viva oppure no? Scendiamo dai grandi ideali...
Bene. Emanuela Orlandi è viva, la sua vita non è in pericolo, forse...

Le pare giusto questo: chiede allo Stato italiano di mostrarsi umano con lei, dice che Emanuela è viva e su che cosa si basa per fare questa affermazione?
Lo faccio secondo alcune deduzioni logiche.

Non lo fa per conoscenza diretta di qualche fatto?
No.

Come passa la sua giornata qua dentro?
Sono trattato come ogni altro terrorista. Leggo, guardo un po' la televisione, lo sport.

Come immagina la sua vita fuori di qui, se per caso lei uscisse?
Vorrei predicare la verità in cui io credo.

In che cosa crede?
Credo nell'Islam.

Uscendo di qua che rischi correrebbe?
Io non corro nessun rischio: né ora né in libertà.

Mi permette di fare un passo indietro? Perché la ragazzina Orlandi è stata rapita? Lei dice di sapere tante cose.
Io spero che il caso Orlandi si concluda felicemente.

Perché è stata rapita?
È stata rapita per la mia libertà. Purtroppo è stata un'azione non intelligente, che non è riuscita.

Lei si presenta come un missionario.
Sì, il mondo non ha molto tempo, neppure io.

C'è una pena che lei ritiene giusta per quello che ha fatto? Se fosse il giudice di se stesso a cosa si condannerebbe?
Mi condannerei alla pena di morte, insieme a tutto il mondo.

Tutti dovrebbero essere condannati alla pena di morte? Cosa vuol dire?
Lo dico nel senso politico.



Lei non ha fatto solo dei gesti politici. Lei ha usato delle pistole.
Non ho potuto esprimermi in nessun altro modo. Ho potuto solo sparare.

C'è un personaggio della storia che lei ammira?
Il profeta Maometto.

Scendendo un po' più giù, qualche soldato...
Io ammiro tutti gli uomini...

A chi vorrebbe assomigliare?
Sempre a me stesso.

È soddisfatto?
Sono contento di essere quello che sono.

Come vorrebbe essere ricordato dalla gente?
Non voglio condizionare il giudizio di nessuno, tutti devono liberamente giudicarmi come mi vedono.

Lei ha detto che Emanuela Orlandi è stata rapita per lei. Lei ha un'occasione quasi irripetibile: dica qualcosa a chi l'ha rapita, per riportare la pace in una famiglia disgraziata che da un anno soffre e sono tutti innocenti: la ragazza, suo padre, sua madre, il fratello, se lei vuole la comprensione degli altri faccia qualcosa per questa gente. Lo faccia.
Il problema non deve essere abbassato a livello familiare, in mezzo c'è il futuro di tante nazioni, di tanti popoli...

C'è una vita di mezzo. In tutto questo tempo che lei ha trascorso in carcere, mi scusi, non ha capito niente. La vita di una ragazza non le pare una ragione sufficiente?
Nei popoli ci sono centinaia di milioni di vite.

Basterebbe salvarne una per essere in pari con Dio. Lei che crede in Maometto...
Come ho detto prima, il caso Orlandi non è assolutamente un mistero, quasi tutti sanno cosa sta succedendo.

Noi non sappiamo niente e lo sa lei che è qui in carcere. In ogni modo: grazie.
Grazie anche a lei.
Intervista di Enzo Biagi ad Alì Agca (ripresa da Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2013)




Pubblichiamo due stralci dal libro del cittadino turco che il 13 maggio 1981 ferì Woityla, “Mi avevano promesso il paradiso, la mia vita e la verità sull’attentato al papa”, edito da Chiarelettere in libreria dal 1 febbraio.

"Sono cresciuto nell’odio.
Nell’odio per l’Occidente, i cristiani, gli ebrei, gli Stati Uniti d’America.
Sono cresciuto credendo che contasse soltanto imporsi, affermarsi, se necessario annientando i propri nemici.
Nessuno mi ha mai detto che esisteva un’altra possibilità: porgere l’altra guancia, rispondere alla sete di potere e affermazione, di distruzione e odio, con la loro antitesi, l’amore. Sono passati parecchi anni dal 13 maggio 1981, giorno in cui ho sparato al Papa in piazza San Pietro. Trentadue per l’esattezza, trenta dei quali li ho trascorsi in carcere, fino al 2000 in Italia, a Roma, nelle prigioni di Rebibbia e Regina Coeli, poi ad Ascoli Piceno e ad Ancona. Nel 2000 ho ottenuto la grazia e, quindi, l’estradizione in Turchia. Ma anche lì ho dovuto saldare i conti con la giustizia, fino al 2010, l’anno della liberazione. Nel carcere di Istanbul ho scontato la pena per una sentenza del 1980 che mi riconosceva colpevole dell’assassinio di Abdi Pekçi, direttore del quotidiano liberale Milliyet , ucciso il 1° febbraio 1979. In realtà non ero stato io a sparare. Era stato il mio amico appartenente ai Lupi grigi, Oral Çelik. Io avevo fatto soltanto da palo.
1983. L’inaspettata visita del pontefice. Certo, è vero, avevo partecipato anch’io all’organizzazione dell’omicidio. Ma non avevo sparato. Un uomo ci può mettere anni a capire di aver sbagliato. La conversione, chiamiamola pure così, può essere molto lenta, una goccia che cadendo sempre nello stesso punto riesce a intaccare anche la scorza più dura. Anche per me è stato un cambiamento di sguardo e di prospettiva lento, maturato nei lunghi anni in cui sono stato costretto alla detenzione. Eppure questo cambiamento ha avuto un inizio. C’è stato un giorno, un’ora, perfino un minuto preciso nel quale la metamorfosi è cominciata. Il 27 dicembre 1983 uno spillo bucò quasi impercettibilmente l’enorme massa di odio che avevo dentro. L’odio, quell’odio cieco che chiede solo morte, ha impiegato poi anni ad andarsene del tutto. Eppure il miracolo è stato possibile, e lo è stato grazie a quella puntura, a quello spillo invisibile. Quel giorno, mentre ero rinchiuso in una cella d’isolamento del carcere di Rebibbia, dopo il tentato omicidio a Giovanni Paolo II, un secondino ha aperto lo spioncino della porta blindata e si è rivolto a me. “Mehmet Ali Agca, preparati. Una persona ha chiesto di vederti”. Non conosco nessuno in Italia. Nessuno ha mai chiesto di me. “Chi è?”, chiedo incredulo. “È lui, Ali”. “Lui chi?”.

Nessun commento:

Posta un commento