Dario Wolf, il mito della montagna, 1927 |
Sulla scia delle visioni segantiniane, si afferma in Trentino,
all’inizio del Novecento, una sensibilità particolare nella
raffigurazione della Natura che ha una duplice veste, descrivere il vero
ed esplorare l’umano. “Siamo già alla fine dell’Ottocento – dice la critica Giovanna Nicoletti – quando Giovanni Segantini lascia una
traccia forte nella storia della raffigurazione del paesaggio, capace di parlare al cuore. La realtà della montagna è
la rappresentazione stessa di un luogo “mitico” nel suo desiderio
insito di conquista, di comprensione; in questo senso, all’inizio del XX
secolo, l’esperienza della montagna coincide con la frenesia per la sua
conquista, con il desiderio della ‘scalata”.
L’acquaforte di Dario Wolf intitolata, appunto, Il mito della
montagna (1927) idealmente vuole essere il filo conduttore delle
esperienze degli artisti trentini che, nei primi decenni del Novecento,
pur risentendo del clima culturale di rinnovamento dei linguaggi,
realizzano nella descrizione della montagna un centro simbolico di forte
attrazione e di esperienza. Dopo Segantini, i primi ad elaborare il
tema della natura, verso la fine dell’Ottocento, sono Bartolomeo Bezzi,
Romualdo Prati ed Eugenio Prati, con paesaggi che sembrano essere senza
limiti, dove le atmosfere soffuse e vaporose assorbono ogni energia.
Nessun commento:
Posta un commento