mercoledì 25 giugno 2014

Il mito della montagna



Dario Wolf, il mito della montagna, 1927


Sulla scia delle visioni segantiniane, si afferma in Trentino, all’inizio del Novecento, una sensibilità particolare nella raffigurazione della Natura che ha una duplice veste, descrivere il vero ed esplorare l’umano. “Siamo già alla fine dell’Ottocento –  dice la critica Giovanna Nicoletti – quando Giovanni Segantini lascia una traccia forte nella storia della raffigurazione del paesaggio, capace di parlare al cuore. La realtà della montagna è la rappresentazione stessa di un luogo “mitico” nel suo desiderio insito di conquista, di comprensione; in questo senso, all’inizio del XX secolo, l’esperienza della montagna coincide con la frenesia per la sua conquista, con il desiderio della ‘scalata”. 
L’acquaforte di Dario Wolf intitolata, appunto, Il mito della montagna (1927) idealmente vuole essere il filo conduttore delle esperienze degli artisti trentini che, nei primi decenni del Novecento, pur risentendo del clima culturale di rinnovamento dei linguaggi, realizzano nella descrizione della montagna un centro simbolico di forte attrazione e di esperienza. Dopo Segantini, i primi ad elaborare il tema della natura, verso la fine dell’Ottocento, sono Bartolomeo Bezzi, Romualdo Prati ed Eugenio Prati, con paesaggi che sembrano essere senza limiti, dove le atmosfere soffuse e vaporose assorbono ogni energia.

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