Si terrà a Vallombrosa (FI) la celebrazione di San Giovanni Gualberto, Patrono dei Forestali d'Italia e fondatore dell'Ordine Monastico Benedettino Vallombrosano.
La cerimonia avrà inizio alle ore 11,00 con la Santa Messa, che sarà officiata dall'Abate Generale della Congregazione dei Vallombrosani Padre Don Giuseppe Casetta.
La giornata vede ancora riunite le istituzioni preposte al settore forestale ed ambientale: il Corpo forestale dello Stato e le Regioni, la cui collaborazione assicura la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio forestale d'Italia.
Peculiarità della Festa è la donazione solenne dell'olio per la lampada votiva del Santo, che viene offerta ogni anno da una diversa Regione d'Italia, quest'anno toccherà al Piemonte.
Alla cerimonia parteciperanno il Vice Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Andrea Olivero, il Capo del Corpo forestale dello Stato Cesare Patrone, l'Assessore per l'Ambiente della Regione Piemonte Alberto Valmaggia e l'Assessore all'agricoltura della Toscana Gianni Salvadori, oltre ad Autorità civili, militari e religiose delle Regioni Toscana e Piemonte.
fonte: http://www.corpoforestale.it
Per l'occasione, riportiamo alcuni passi dell'omelia pronunciata da Giovanni Paolo II il 12 luglio 1987 a Pramarino di San Pietro di Cadore in Val Visdende (Belluno)
Per l'occasione, riportiamo alcuni passi dell'omelia pronunciata da Giovanni Paolo II il 12 luglio 1987 a Pramarino di San Pietro di Cadore in Val Visdende (Belluno)
“Beato l’uomo . . . che si compiace della legge del Signore e la sua legge
medita giorno e notte” (Sal 1, 2).
1. Con queste parole del salmo responsoriale or ora recitato, desidero salutare
tutti voi, fratelli e sorelle, convenuti in questa mirabile Val Visdende
(veramente “Vallis videnda”) per la celebrazione dell’Eucaristia nella festa
votiva di san Giovanni Gualberto, patrono degli operatori forestali.
Beato l’uomo che si compiace della legge del Signore, delle opere del Signore,
dei segni imponenti della sua presenza nelle meraviglie del creato.
Davanti a questo panorama di prati, di boschi, di torrenti, di cime svettanti
verso il cielo, noi tutti ritroviamo il desiderio di ringraziare Dio per le
meraviglie delle sue opere, e vogliamo ascoltare in silenzio la voce della
natura al fine di trasformare in preghiera la nostra ammirazione. Queste
montagne, infatti, suscitano nel cuore il senso dell’infinito, con il desiderio
di sollevare la mente verso ciò che è sublime. Queste meraviglie le ha create lo
stesso Autore della bellezza. Ora, se siamo colpiti dalla loro presenza e
attività, pensiamo da ciò quanto è più potente colui che le ha formate. Difatti
dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia se ne conosce l’autore (cf.
Sap 13, 3-5).
Le pagine del libro sacro che abbiamo letto portano la nostra meditazione
sulla vita di san Giovanni Gualberto, un santo fiorentino del secolo X,
misteriosamente condotto dalla grazia a testimoniare l’eroica carità del perdono
e a consacrarsi a Dio nella vita contemplativa. Come è noto, la giovinezza di
Giovanni Gualberto, della famiglia dei Visdomini, era stata turbata
dall’assassinio del fratello maggiore, Ugo. Il padre e la tradizione sociale del
suo tempo, spingevano Giovanni Gualberto a vendicare il delitto con l’uccisione
dell’assassino. Egli lo incontrò un venerdì santo; ma fu profondamente sconvolto
nel suo proposito di vendetta dall’implorazione del colpevole, il quale, con le
braccia in croce, chiedeva pietà in nome di Cristo. Il ricordo della
misericordia di Gesù morente ebbe nell’animo di Giovanni Gualberto la forza di
un messaggio irresistibile, che lo indusse al perdono e alla conversione. “Amate
i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano” (Lc 6, 27). La
tradizione narra che Giovanni Gualberto fu confortato dal Crocifisso con queste
parole: “Poiché hai perdonato al tuo nemico, vieni e seguimi”. Dopo avere
lottato in Firenze contro la simonia, fino al punto di essere perseguitato per
il suo zelo, Gualberto si ritirò nella solitudine di Vallombrosa per dare inizio
a una comunità monastica benedettina, qui rappresentata oggi dall’attuale abate.
Antiche testimonianze affermano che nella silenziosa foresta dell’Appennino
Toscano, fedele al motto della preghiera e del lavoro, egli si applicò, insieme
ai suoi monaci, all’orazione e alla coltura dei boschi. Nella dedizione a questa
attività prediletta i discepoli di san Giovanni Gualberto intuirono le leggi che
presiedono alla conservazione e allo sviluppo delle foreste, e in un’epoca in
cui non era possibile parlare di norme forestali, la religiosa e sapiente
costanza dei monaci vallombrosani poté tracciare metodi validi per un congruo
sviluppo del patrimonio boschivo delle regioni.
L’istinto della vendetta, purtroppo tanto radicato nei sentimenti dell’uomo,
è stato definitivamente superato e pienamente vinto dalla forza dell’amore che
perdona. Il Vangelo oggi ci dice che non solo gli amici, ma anche i nemici
devono essere oggetto dell’amore cristiano: “Fate del bene a coloro che vi
odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano”
(Lc 6, 27-28). Il perdono cristiano esige non solo la rinuncia alla
vendetta, ma una risposta di amore verso il nemico; non una pura passività
davanti all’insulto e al torto, ma la risposta morale più eloquente che si possa
dare: l’affetto e la preghiera per chi è nemico. Solo la forza di Dio e la
grazia di Cristo possono condurci a questo atteggiamento di amore. La lettura di
san Paolo, perciò, ci invita ad attingere “forza nel Signore e nel vigore
della sua potenza” (Ef 6, 10).
Ma la conquista della capacità di perdonare e di amare i propri nemici passa
attraverso una trasformazione più profonda del cuore. L’esistenza umana ha
bisogno di essere guarita e salvata dalla costante tentazione dell’egoismo.
Occorre, allora, una conversione assidua, che coinvolge tutte le espressioni
della persona: la fatica del pensare, la preoccupazione dell’agire, lo sforzo
della volontà. L’aspirazione dell’amore non deve rimanere muta, informe,
infeconda, né oppressa e distrutta al momento della prova. Il Signore ci invita,
perciò, a liberare costantemente la nostra personalità dalla grettezza e dalla
povertà del calcolo, dalle motivazioni interessate che nascondono una insidiosa
presenza di egoismo anche in tanti gesti umanitari: “Da’ a chiunque ti
chiede . . . Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avrete? . . . Amate i
vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare nulla, e il vostro premio
sarà grande e sarete figli dell’Altissimo” (Lc 6, 30-35). Il vero
discepolo di Gesù Cristo ama il suo prossimo “senza sperarne nulla”, in
atteggiamento di costante e gratuito dono di sé ai fratelli. “Ciò che volete
che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo loro . . . Siate misericordiosi,
come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 31-36).
Può capitare nella vita - come nel caso di san Giovanni Gualberto - che si
presentino difficoltà estremamente acute, momenti in cui la logica umana ha
bisogno di essere rivoluzionata dalla forza del precetto della carità,
circostanze che impongono la necessità di rivedere e purificare la coscienza che
l’uomo ha di se stesso e del suo posto nella comunità dei fratelli. È in tali
momenti che urge “indossare l’armatura di Dio” (Ef 6, 3), cioè
fare delle scelte secondo Cristo, il modello unico del comportamento cristiano.
Ciò esige una revisione radicale dei valori, richiede una sorta di seconda
nascita, la tenace volontà di percorrere una via simile a quella di Cristo, fino
a entrare nello spogliamento della sua croce. Cristo è la fonte di queste
scelte: in lui ogni credente si illumina e spera, anche se si sente chiamato ad
affrontare una lotta tremenda contro i propri sentimenti e contro la mentalità
prevalente nel mondo. Resistete nel giorno del malvagio (cf. Ef 6, 13),
ci ha detto san Paolo, cioè in quel giorno e in quei momenti che ci mettono alla
prova circa le scelte consequenziali della fede.
Al termine di questo faticoso processo per la coerenza della carità evangelica
sta, però, una grande speranza: “Date e vi sarà dato, una misura buona,
pigiata, scossa e traboccante” (Lc 6, 38), perché la grandezza del
dono sperato è infinitamente maggiore della fatica impiegata per meritarlo.
La festa odierna riguarda in modo speciale voi, operatori forestali, per il
problema ecologico che è sotteso al vostro impegno.
È noto quanto oggi sia urgente diffondere la coscienza del rispetto per le
risorse del nostro pianeta. Tutti ne sono coinvolti, poiché la terra che
abitiamo rivela sempre più chiaramente la sua intrinseca unitarietà, sicché le
vicende inerenti alla conservazione del suo patrimonio riguardano tutti i popoli
senza distinzione. La conservazione e lo sviluppo del patrimonio boschivo in
qualsiasi zona è fondamentale per il mantenimento e la ricomposizione degli
equilibri naturali indispensabili alla vita. Ciò va affermato ancora di più
oggi, mentre ci accorgiamo di quanto sia urgente realizzare una decisa
inversione di tendenza in tutti quei comportamenti che portano a preoccupanti
forme di inquinamento. Ciascun uomo è tenuto ad evitare iniziative e azioni che
possono intaccare la purezza dell’ambiente, e giacché le piante, nel loro
insieme, svolgono un ruolo indispensabile sugli equilibri naturali, necessari
alla vita in tutti i suoi gradi, la loro tutela e il loro rispetto divengono
sempre più un fatto umano di singolare necessità.
È impegno morale per il cristiano avere cura della terra “affinché essa produca
frutto e diventi una dimora degna dell’universale famiglia umana” (Gaudium et Spes, 57).
Chiedo a Dio per tutti voi, operatori forestali, e per tutti voi, uomini e
donne della montagna, appassionati cultori delle solide tradizioni di queste
terre, che le vostre comunità conservino sempre le preziose eredità della
cultura che vi riguarda. La gente della montagna possiede il gusto della
contemplazione della natura, e con questa una conseguente profonda religiosità,
che investe tutti i settori della vita, suscitando laboriosità, spirito di
sacrificio, attaccamento alla famiglia e alla propria terra. Può essere che la
forza da cui traete il sostentamento vi appaia talvolta dura ed esigente per il
lavoro che vi chiede; ma voi amatela come un dono di Dio, come un meraviglioso
ambiente nel quale egli si rivela ai vostri occhi nello splendore delle cose da
lui create.
Desidero perciò esprimere il mio compiacimento e il mio più vivo incoraggiamento
ai responsabili della Regione e dello Stato per tutti gli impegni finora assunti
al fine di sostenere e incoraggiare la permanenza delle popolazioni in questa
regione montana, nel tentativo di arrestare o almeno ridurre la tendenza ad
abbandonare i luoghi d’origine. La montagna non deve spopolarsi, e un sincero
plauso va rivolto a tutti coloro che contribuiscono a fare in modo che questi
luoghi, conservati e sviluppati secondo le esigenze della loro naturale
vocazione, siano una valida fonte di lavoro per l’economia degli abitanti.
Prego, ancora, Dio che voglia mantenere tra di voi le nobili tradizioni di
solidarietà e di fraterna carità che da tempi antichissimi regolano le vostre
forme di vita sociale. Confermo l’auspicio già espresso ai vostri vescovi nel
corso della recente visita “ad limina”: possano le vostre comunità rinsaldare la
loro radice etica e spirituale, nel contesto di una identità culturale non
attinta al di fuori delle loro tradizioni genuine.
Tutto quello di cui viviamo, la natura, la comunità, la cultura, la carità
fraterna, tutto ci è stato donato da Dio, come una vocazione che ci sprona a
fare in modo che la famiglia umana possa trarne sollievo e gioia. Le intenzioni
di Dio, le sue volontà, sono intenzioni di amore, conducono a salvezza esigono
comunione, parlano di vita eterna. Nella creazione egli ci ha posti come
servitori di una volontà universale di bene e vuole che ogni nostra opera sia
utile a tutti, affidandoci il servizio della carità come impegno prezioso del
suo paterno amore. Sforziamoci di ritrovare o ricostruire in ogni uomo una
personalità veramente cristiana, per poter essere nel mondo cooperatori della
bontà di Dio, nostro Padre.
Beato l’uomo che medita la legge del Signore giorno e notte".
Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II
La preghiera del Forestale
O Signore,
che con la tua grazia illumini la nostra mente e i nostri cuori,
aiutaci ad accrescere ogni giorno la nostra speranza.
La vita ci ha posto al servizio del Paese,
per la conservazione, la cura e la difesa delle cose più belle del creato:
gli alberi, gli animali, le acque delle montagne che tu ci hai donato a beneficio dell'uomo.
Rendici, o Signore,
più consapevoli di questo privilegiato impegno
e mantienici ad esso pienamente fedeli.
E tu, San Giovanni Gualberto, nostro Patrono e Maestro,
guidaci per il sentiero della vita che porta alla carità cristiana e alla solidarietà civile.
Aiutaci a comprendere sempre più le opere del Creatore
Ed i legami che uniscono tra loro le sue creature,
in modo che anche la nostra fatica si svolga sempre in armonia con il disegno divino.
che con la tua grazia illumini la nostra mente e i nostri cuori,
aiutaci ad accrescere ogni giorno la nostra speranza.
La vita ci ha posto al servizio del Paese,
per la conservazione, la cura e la difesa delle cose più belle del creato:
gli alberi, gli animali, le acque delle montagne che tu ci hai donato a beneficio dell'uomo.
Rendici, o Signore,
più consapevoli di questo privilegiato impegno
e mantienici ad esso pienamente fedeli.
E tu, San Giovanni Gualberto, nostro Patrono e Maestro,
guidaci per il sentiero della vita che porta alla carità cristiana e alla solidarietà civile.
Aiutaci a comprendere sempre più le opere del Creatore
Ed i legami che uniscono tra loro le sue creature,
in modo che anche la nostra fatica si svolga sempre in armonia con il disegno divino.
Amen
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