mercoledì 25 maggio 2016

"Io non sono d'accordo quasi su nulla, ma quest'uomo è amore"

13 febbraio 1986: Giovanni Paolo II incontra Marco Pannella ed Emma Bonino


Il primo incontro - scontro con Marco Pannella, da parte di chi scrive, risale a una serata torrida di quarant’anni fa. Tema il rapporto con la Chiesa: divorzio, aborto, omosessualità. Un’ora di confronto senza aria condizionata su Radio Radicale, alla vigilia delle elezioni del 20 giugno 1976, quelle che avrebbero polarizzato il paese in due blocchi Dc – Pci, polverizzato i piccoli partiti e paralizzato i governi di unità nazionale, altro nome del consociativismo, eretto ed eletto a sistema, nella denuncia di Pannella, che come noto lo contrastò fieramente, ferocemente, irrompendo a Montecitorio con un drappello di quattro “sabotatori” e quadruplicandoli tre anni dopo, nel ’79.
Nell’Italia divisa in due “chiese”, cattolica e comunista, il leader referendario incarnò all’improvviso il magnetismo inedito, alternativo di un profeta che dissacrava i partiti e le rispettive dottrine, ma predicava contestualmente la sacralità delle istituzioni. Un vangelo “secondo Marco” che rivendicava una religiosità della politica in sé, a prescindere da ogni sorta di rivelazione, ideologica o divina. Un ateismo mistico, sublimato e officiato con trasporto sacerdotale, da vera vestale, nel tempio laico del parlamento repubblicano.
La teocrazia d’Oltretevere in tale scenario veniva percepita ovviamente come un freno, il principale, sulla strada della democrazia compiuta. Un bottegone oscurantista che gareggiava con Botteghe Oscure, la “curia” del PCI, alla stregua di due idrovore posizionate a presidiare le rive del fiume, drenando linfe vitali alle correnti esangui del socialismo “fabiano”, pacifista e libertario, in pieno thatcherismo e incipienti guerre stellari, mentre Craxi coltivava gli euromissili, Berlinguer l’eurocomunismo e Andreotti l’andreottismo tout court, nel giardino mediterraneo degli anni ’80 e dell’Italia felix, fra armi e aperitivi, batterie di Comiso e Milano da bere.
Ma non appena lo sguardo, dalle strettoie dell’Urbe, si allargava in direzione dell’Orbe, il freno diventava un volano, i lacci e i palazzi del potere temporale si scioglievano al fumo della sigaretta e lasciavano il posto, nell’immaginario, all’abbraccio e alla suggestione di una piazza universale. Ribalta ineguagliabile, richiamo irresistibile per un tribuno.
La personalità straripante, solidamente appenninica e solidalmente transnazionale, di Pannella colse subito la svolta che l’avvento di un papa polacco rappresentava per la causa dei diritti umani. Non solo sull’asse, scontato, tra l’Est e Ovest. Di qui la celebre affermazione "Dio ce l'ha dato, guai a chi me lo tocca". Una generosa, rigorosamente illuministica professione di fede nell’astuzia e “provvidenza” della ragione, recondito deus ex machina della storia, per dirla con Benedetto Croce. Di qui, soprattutto e conseguentemente, la decisione “scandalosa” di marciare su San Pietro, proseguendo e portando a termine a distanza di un secolo il tragitto di Porta Pia. Poiché colui che in tutta la vita non ha mai smesso di chiedere l’abrogazione del concordato, non ha di converso cessato di credere, a più riprese, in un’alleanza con il papato, con altrettanta evidenza e concettuale coerenza, su base di pari dignità e rispettoso, caloroso agnosticismo.
Le marce della domenica di Pasqua contro la fame del mondo, snobbate da una gerarchia infastidita e derubricate a folkloristiche provocazioni dal Vaticano, nascevano infatti da una fascinazione, da un riconoscimento di centralità geopolitica dei pontefici e postulavano il principio di un ecumenismo sui generis: che in mancanza di consenso sull’esistenza dell’anima si preoccupava nel frattempo di far risorgere i corpi, sottraendoli a morte certa e offrendo a tutti, laici e cattolici, una comune modalità di “santificare” la festa.
Il simbolo dell’uno per cento, impresso sulla fronte di Pannella come un'unzione, o un sacramento secolare, indicava la quota del Pil da destinare subito ai paesi poveri e invocava un trasferimento di denari dai forzieri del Nord ai popoli del Sud, prima che questi a loro volta decidessero di venirseli a prendere, inaugurando una stagione di migrazioni epocali.
Profezia che si avvera drammaticamente ai nostri giorni e s’invera delicatamente nella lettera che il leader radicale ha indirizzato a Bergoglio. “Ti voglio bene davvero”: a riprova del fatto che con i papi non ha mai usato vie di mezzo, passando da estremi di separazione istituzionale a picchi di affezione confidenziale, rifiutando le interferenze politiche e rifuggendo, anzi azzerando in uguale misura le deferenze diplomatiche. Sbattendo le porte agli spifferi di curia e spalancandole al “vento dello spirito”. Come quando gli chiesi un augurio televisivo, e un suo dono di compleanno a Wojtyla, in occasione dell’ottantesimo genetliaco.
Era di maggio e correva pure allora un Giubileo, quello del 2000. “Qual è l’aspetto più radicale del carattere di Giovanni Paolo II, che glielo fa sentire vicino nella distanza delle posizioni?”, esordii nel tinello di casa, seduto a tavola. “Guardi”, aveva risposto, “io non sono d’accordo quasi su nulla, ma posso anche dire che sull’essenziale quest’uomo è amore, più ancora che avere amore. Posso augurargli, meglio, posso augurarti, grande buon Papa Karol, di essere sempre più parola contro le parole, di essere sempre più speranza contro la speranza che manca. E posso augurarti sempre più di essere profezia e sempre meno anatema, anche involontario. Da questo il millennio, non solo la Chiesa ma anche noi che non siamo d’accordo, credo trarrebbero una ricchezza immensa”.
Poi, fissando alla sua maniera l’occhio della telecamera, mostrò e sfogliò il “regalo di famiglia”, un manoscritto del 1596, “che Monsignor Giacinto Pannella mio prozio ha salvato. La storia drammatica, lunga, splendida di Teramo, perché tu conosca la storia di noi abruzzesi, grazie a zio Giacinto Pannella, sapendo che papà Leonardo sarebbe felicissimo di questo dono che ti facciamo io e mia sorella Liliana, con gli auguri e la riconoscenza, quella che tu hai quando guardi la gente e ci si accorge che nella tua stanchezza riconosci conoscendo…”.
Spes contra spem: “un pensiero fisso che mi accompagna ancora oggi”. Dopo tre lustri, o quattro secoli se vogliamo, il verbo “televisivo” si è fatto calligrafia, gravata dalla fatica dell’infermità, e si aggiunge come un epilogo, all’omaggio di sedici anni or sono, un post scriptum al manoscritto, nelle righe inviate a Francesco e pubblicate postume. Mentre Teramo riceve le spoglie di un suo figlio e il Vaticano accoglie, a sua volta, e conserva una nuova pagina della storia d’Abruzzo, tra due sponde d’Italia e del Mediterraneo, mai come oggi mare di lotta, e di battaglie, tra la speranza e la disperazione degli uomini.

Piero Schiavazzi, Huffington Post, 23 maggio 2016

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