lunedì 17 aprile 2017

Alle pendici del monte San Vicino, lungo la valle dell'Esinante



Tradizionale gita sociale in occasione del Lunedì di Pasqua.
Meta prescelta per l'anno 2017 la valle dell'Esinante lungo l'itinerario che collega Domo di Serra San Quirico, le Abbazie di Sant'Urbano e di Sant'Elena: dalle pendici del Monte San Vicino al fiume Esino.
Caratteristica unificante dei tre luoghi, la comune matrice camaldolese.
L'itinerario ha inizio dalla chiesa di San Paterniano, nella frazione di Domo.

(Domo: San Paterniano)

L'edificio è a navata unica con soffitto a capriate lignee a vista e nasce dalla sopraelevazione di una preesistente chiesa ancora visibile a livello inferiore oggi sconsacrata. L'esterno, in pietra faccia a vista, è privo di decorazioni fatta eccezione per il portale principale rivestito in pietra bianca e sormontato da una cuspide in mattoni rossi di accento tardo-gotico. 



Sull'architrave, ornato di tre corone floreali contenti lo stemma dell'ordine camaldolese, la figura di San Paterniano e lo stemma di papa Niccolò V, corre la scritta dedicataria con l'anno dell'inaugurazione della chiesa, 1473. La facciata principale è quella laterale posta sul fronte Nord. 



L'impianto strutturale molto semplice è arricchito al suo interno da diversi cicli di affreschi databili tra il XV secolo e gli inizi del XVII. Probabilmente attribuibili a più mani, questi dipinti sono di origine votiva e svolgono un preciso programma religioso: l'esaltazione dell'iconografia mariana e dell'agiografia legate al mondo popolare ed agreste. Sono oggi visibili due presbiteri ai due lati della chiesa. Nel lato ovest si trova il nuovo presbiterio, quello utilizzato oggi, che è in stile barocco settecentesco ed è coperto da una cupola decorata al centro con la colomba della pace realizzata in stucco a rilievo. Nel lato est si trova l'antico presbiterio, restaurato a più riprese a partire dagli anni '70, che ospita affreschi del XV secolo e il pregevole trittico di San Paterniano databile fra il 1470 e il 1480 e attribuibile al "Maestro di Domo". Il trittico raffigura, in stile tardo-gotico, la Madonna di Loreto, San Paterniano Vescovo e Santa Lucia (fonte: La Repubblica).



Il trittico di San Paterniano



A pochi chilometri da Apiro si trova un Abbazia dedicata al patrono del paese, S. Urbano. Viene ricordata la prima volta nel 1033 in una pergamena che documenta una convenzione con il suo abate e quello di San Vittore alle Chiuse. 




Nominata già come Abbazia di notevole importanza in quegli anni, si potrebbe dedurre che la sua origine risalga a qualche decennio prima dell’anno Mille. Un’iscrizione sull’altare maggiore, ormai poco leggibile, data la sua consacrazione all’anno 1086, quando la sua egemonia già si estendeva in ogni luogo lungo la valle di San Clemente.





 A quel tempo l’Abbazia costituiva un formidabile centro di potere politico e religioso ma, ebbe anche rapido sviluppo sul piano civile: alle sue dipendenze poté avere una quindicina di chiese, il possesso del vicino castello omonimo, oltre che il dominio su altri castelli vicini. Fu per questa sua importanza che raramente conobbe la tranquillità a causa dei continui contrasti con il vicino e forte Comune di Apiro. 





Durante uno dei cruenti scontri con le bande armate di Apiro, intorno al XIII. sec., la chiesa originaria venne data al fuoco e in gran parte distrutta. In quel tempo l’Abbazia fu costretta a sottomettersi più volte alla giurisdizione di Jesi per ricevere protezione. Successivamente, nella seconda metà del XIII sec., l’Abbazia fu rinnovata ed ampliata e visse un periodo di relativa tranquillità nel quale riuscì a svilupparsi e a prosperare, divenendo punto di sosta per i pellegrini diretti a Roma. All’inizio del XV sec. iniziò la sua irreversibile decadenza che, con un decreto papale, promulgato nel 1442, la spinse ad unirsi a Il’ Abbazia di Val di Castro. Da allora i Camaldolesi ressero l’Abbazia fino al 1810, anno in cui fu acquistata da privati. Attualmente è proprietà del Comune di Apiro. 






L’architettura dell’Abbazia di S. Urbano rappresenta un chiaro esempio di arte romanica. Il corpo absidale è composto da tre absidi, di cui quella centrale è la più larga. I due portali sono tipicamente romanici, ma di grandezza limitata. Il principale di essi conserva i residui di quattro pilastri e colonnine, sormontate con capitelli decorati, ed un arco non molto ampio, a testimonianza dell’antica facciata romanica. Il corpo anteriore della Chiesa, riservato ai fedeli adoranti, presenta un atrio ampio, a pianta quadrata, diviso in tre navate ed è separato da un muro dal presbiterio che era invece riservato ai monaci. 





Il presbiterio, anch’esso molto ampio, costituisce una sorta di chiesa a sé. L’esclusione dal santuario e dal presbiterio di tutti, tranne i soli monaci, fu a quel tempo una norma rara che stava a significare la divisione che doveva esistere tra il mondo dei monaci, che pregavano e meditavano, e i fedeli che potevano assistere solo da lontano al rito religioso, senza distrarre i monaci assorti nella preghiera. 





La cripta, quasi un seminterrato, cui si accede da sotto l’ambone, è caratterizzata da numerosi pilastrini, capitelli e archi a tutto sesto. Il suo altare è datato 1140 ed è posto di fronte all’abside divisa su due livelli. 





I capitelli presenti nella Abbazia sono riccamente scolpiti e rappresentano lotte, scene di caccia, animali immaginari, tipici simboli medievali come delfini, pesci e galli, senza contare fiori e fogliame. Alcuni di questi è probabile che provengano da un antico tempio pagano, le cui rovine erano ancora presenti in quell’area, così da poter essere riciclate, per la costruzione della originaria Abbazia da parte dei primi monaci (fonte: www.iluoghidelsilenzio.it)




Fondata nel 1005 da San Romualdo, Sant'Elena divenne la piu' importante Abbazia benedettina della Vallesina sul piano politico, civile e sociale.
Nel XII secolo vantava il possesso di circa 50 chiese e 10 edifici fra castelli e ville con tutti i beni annessi. 
Nel 1180 si uni' all' Eremo di Camaldoli inserendosi nella congregazione Camaldolese.
L' importanza dell' Abbazia era accresciuta dal diritto dell' Abate di esercitare la giurisdizione civile e penale, incluso il diritto di vita e di morte.
Il territorio che va dalla Gola della Rossa fino a Moie, compreso il Castello del Massaccio (ora Cupramontana) era sotto la sua giurisdizione.
La decadenza ebbe inizio nel XV secolo quando il papa Innocenzo VIII tolse all' ordine Camaldolese l' Abbazia nominando un Abate Commendatario nella persona del cardinale Giovanni Colonna (Commendatario perché pur avendo tutti i poteri dell' Abate non era un monaco appartenente ad un ordine e non era obbligato a risiedere nell'Abbazia).
Il 6 Aprile 1816 quest' ultimo cedette in enfiteusi l' Abbazia con tutti i beni annessi alla famiglia Pianesi che affranco' in seguito a proprio favore l' enfiteusi divenendo cosi' la legittima proprietaria (fonte:
www.abbaziasantelena.com)


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