lunedì 15 ottobre 2012

Una luce sul mistero dell'uomo

    

"Mi chiedo ora: quale era la visione che del Concilio aveva Karol Wojtyła? Da ogni suo intervento sia da Arcivescovo di Cracovia e ancor più da Pontefice si comprende facilmente che per lui i decreti conciliari non segnano una rottura con il passato, ma sono un invito ai Pastori a tradurre il messaggio evangelico in modi comprensibili all’età contemporanea; un lavoro questo che non tocca l’essenza delle verità di fede immutabili, bensì la maniera di presentarle agli uomini di ogni epoca. Che questo sia il modo con cui recepì il Concilio Vaticano II il Servo di Dio Giovanni Paolo II lo si comprende da tanti significativi interventi. Mi limiterò qui a citarne qualcuno.
Nel 1985, per ricordare i 20 anni della chiusura del Concilio, egli convocò un Sinodo straordinario dei Vescovi, ed in quella circostanza i Padri sinodali non mancarono di evidenziare le «luci e ombre» che avevano caratterizzato il periodo post conciliare. Riprese le considerazioni del Sinodo nella Lettera Tertio millennio adveniente, in preparazione al Grande Giubileo del 2000, affermando che “l'esame di coscienza non può non riguardare anche la ricezione del Concilio” (n. 36). La preoccupazione di Papa Wojtyła fu dunque sempre quella di salvaguardare la genuina intenzione dei Padri conciliari, recuperando, anzi superando quelle “interpretazioni prevenute e parziali” che di fatto impedirono di esprimere al meglio la novità del Magistero conciliare.

C’è poi il discorso che tenne il 27 febbraio del 2000 al convegno internazionale di studio sull'attuazione del Concilio. In quella circostanza affermò che anzitutto il Concilio fu “un'esperienza di fede per la Chiesa”, anzi – disse testualmente –  “un atto di abbandono a Dio che, da un esame sereno degli Atti, emerge sovrano”. E continuò asserendo che chi volesse avvicinare il Concilio prescindendo da questa chiave di lettura “si priverebbe della possibilità di penetrarne l'anima profonda”. Inoltre – egli proseguì - il Concilio fu una vera sfida per i Padri conciliari, che consisteva – e cito ancora testualmente - “nell'impegno di comprendere più intimamente, in un periodo di rapidi cambiamenti, la natura della Chiesa e il suo rapporto con il mondo per provvedere all'opportuno «aggiornamento». Ed aggiunse, facendo leva su ricordi personali: “Abbiamo raccolto quella sfida – c’ero anch'io tra i Padri conciliari - e vi abbiamo dato risposta cercando un'intelligenza più coerente della fede. Ciò che abbiamo compiuto al Concilio è stato di rendere manifesto che anche l'uomo contemporaneo, se vuole comprendere a fondo se stesso, ha bisogno di Gesù Cristo e della sua Chiesa, la quale permane nel mondo come segno di unità e di comunione” (Insegnamenti, vol. XXIII/1, p. 274). E pertanto, una lettura del Concilio come rottura col passato è decisamente fuorviante.
Sempre in questo memorabile discorso, egli fece sue le parole di Paolo VI che, aprendo la IV sessione, definì il Concilio: “Un grande e triplice atto d'amore”: un atto d'amore “verso Dio, verso la Chiesa, verso l'umanità” (Insegnamenti, vol. III [1965], p. 475). Ed aggiunse Giovanni Paolo II che l'efficacia di quell'atto non si era esaurita, ma continuava ad operare attraverso la ricca dinamica dei suoi insegnamenti.

Torno ora brevemente alla già citata Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi. Aprendola, Giovanni Paolo II affermò: “Il Concilio, che ci ha donato una ricca dottrina ecclesiologica, ha collegato organicamente il suo insegnamento sulla Chiesa con quello sulla vocazione dell'uomo in Cristo” (Insegnamenti, vol. VIII, 2, p. 1371). 

La Costituzione pastorale Gaudium et Spes, molto cara a questo pontefice - ponendo gli interrogativi fondamentali a cui ogni persona è chiamata a rispondere, non cessa di ripetere queste parole sempre attuali: “Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo” (n. 22), parole che Papa Wojtyła volle riproporre nei passaggi fondamentali del suo magistero perché segnano come la “vera sintesi a cui la Chiesa deve sempre guardare nel momento in cui dialoga con l'uomo di questo come di ogni altro tempo”.

Il Vescovo Karol Wojtyła, appena terminato il Concilio, aveva scritto che “prendendo in esame l’insieme del magistero conciliare, ci accorgiamo che i pastori della Chiesa si prefiggevano non tanto e non soltanto di dare un risposta all’interrogativo: in che cosa bisogna credere, quale è il genuino senso di questa o quella verità di fede o simili, ma cercavano piuttosto di rispondere alla domanda più complessa, che cosa vuol dire essere credente, essere cattolico, essere membro della Chiesa?” . Per lui, dunque, il Concilio Vaticano II fu il Concilio “della Chiesa”, “di Cristo”, “dell’uomo”, parole che descrivono lo stretto rapporto esistente tra l’ecclesiologia, la cristologia e l’antropologia del Vaticano II. Parlare di Gesù, è parlare della Chiesa e quindi dell’uomo: l’uno richiama necessariamente l’altro perché non si può dividere la storia della redenzione in categorie che non abbiano a che fare con la nostra storia e personale e comunitaria.

Card. Tarcisio Bertone, 28 ottobre 2008

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